Come si trasforma l’intelligenza artificiale in un sostegno vero al lavoro? Chiacchiere con Sace

Arriva l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro – tema di cui si è occupato ieri anche il consiglio dei ministri – e c’è chi la vede come un rischio, soprattutto per i servizi ordinari del pubblico impiego: una parte del sindacato rispolvera il vecchio slogan “lavorare meno, lavorare tutti” e auspica ammortizzatori sociali per i tanti che potrebbero perdere il posto. Arriva l’intelligenza artificiale e c’è chi la vede invece come un vantaggio. E lo slogan diventa allora “lavorare meno, lavorare meglio”:  approfittare del tempo che gli algoritmi sofisticati dell’IA hanno liberato da procedure ripetitive e deresponsabilizzate, e usarne una parte per migliorare il processo produttivo e le proprie capacità. Due visioni opposte. La prima molto conservativa; la seconda evolutiva, e che – sorpresa – viene proprio da un attore del settore pubblico. “Il mondo del lavoro sta affrontando una svolta epocale – spiega Alessandra Ricci, ad di Sace, la spa controllata dal Mef che assicura i crediti all’export delle imprese italiane – e oggi il punto è: ci limitiamo a gestire e ammortizzare un cambiamento, che è un processo subìto, o vogliamo essere protagonisti di una trasformazione, che è invece un processo voluto?”. In Sace hanno scelto la seconda strada, e la spa è diventata un laboratorio, con l’ambizione di rappresentare un modello estensibile a molte attività di servizio. Anche quelle della pubblica amministrazione e della sua invadente burocrazia. Il modello si chiama si chiama Flex for Future, e nasce da una considerazione: lo smart working imposto e ereditato dall’emergenza Covid, così come si è strutturato non è stato un vantaggio: si è lavorato di più senza migliorare la produttività e senza avere alla fine più tempo libero.

E finita la pandemia si è allora rovesciato il tavolo, con riforme organizzative drastiche che riguardano tempo, spazio e ruolo. Il tempo e lo spazio lo decide chi lavora, che sia a casa o in ufficio: va fissato un obiettivo e deve essere raggiunto nel modo che si ritiene più efficace (“Ognuno ha i suoi ritmi”, chiosa Ricci). Il ruolo invece quasi scompare. Il lavoro in Sace è organizzato in squadra, con ampie deleghe per tutti, una sorta di leadership diffusa. La frase “non so devo chiedere al mio capo” viene bandita. “Comandare e controllare non richiede coraggio – spiega Ricci – il coraggio è saper decidere, e questo non deve essere demandato in alto in base a un’organizzazione rigidamente verticistica”. E’ questa invece proprio la struttura della macchina burocratica statale, che diventa soffocante per il Paese. Un recente studio dell’Istituto Ambrosetti ha calcolato che per le sole imprese il costo della burocrazia a loro carico (consulenze, ricorsi, spese legali, assistenza amministrativa) arriva a toccare 52 miliardi di euro l’anno, pari allo stipendio di 2 milioni di persone. A livello locale la Cgia di Mestre ha stimato che ogni impresa spenda 312 ore l’anno per completare le pratiche amministrative richieste. Sempre Ambrosetti ha sostenuto che allineando i livelli di efficienza italiani a quella della pubblica amministrazione di altri paesi europei (Francia, Spagna, Germania) si potrebbero ottenere aumenti del Pil nell’ordine di 146 miliardi di euro. “Questo è il risultato di una cattiva organizzazione – spiega Ricci – che nella pubblica amministrazione pone attenzione assoluta al rispetto del processo e non al risultato”. Tradotto in modo spiccio: si lavora passando le carte al proprio superiore. “Ma questa organizzazione, legata ai ruoli, lascia una zona vuota: quella che – dice Ricci citando il coach di pallavolo Julio Velasco-  possiamo sintetizzare nella frase “Palla tua….” e la mia partita è finita”. In Sace si sperimenta una strada diversa. “Si può lavorare anche 4 giorni a settimana, e si verifica il risultato raggiunto. Si favorisce il reskill del dipendente, che può così ambire a mansioni superiori perché il suo valore cresce. E si usa l’intelligenza artificiale per liberarsi da incombenze inutili.

Solo teoria? No, c’è anche pratica. Sace sta sottoponendo suoi risultati all’analisi del Politecnico di Milano, che dovrà certificare l’andamento della produttività. Ma intanto esibisce un risultato. “Le riforme hanno prodotto nell’ultimo bilancio una crescita delle risorse impiegate, salite a 55 miliardi. Il che ha prodotto un impatto di 155 miliardi di euro in investimenti delle imprese assistite con le assicurazioni all’export. Cosa che a sua volta garantisce stabilità occupazionale per 950mila dipendenti”. Avanti allora con il programma, e niente paura dell’Intelligenza Artificiale. “Che altro non è che un progresso di cose che già usiamo. C’è ancora qualcuno – chiude Ricci – che fa i calcoli a mano perché ha paura della calcolatrice?”.

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