Cancro senza mutazioni: il ruolo nascosto delle modifiche epigenetiche
Per la prima volta è stato dimostrato come variazioni epigenetiche reversibili possono indurre irreversibilmente un tumore, anche in assenza di mutazioni del Dna. Lo studio completo e cosa c’è dentro
Una delle più importanti scoperte della scienza e della medicina moderne consiste nella dimostrazione che l’inizio e la progressione del cancro sono processi legati a mutazioni più o meno estese possibili in svariati geni delle nostre cellule. Ricondurre l’insorgenza e la crescita dei tumori a danni al nostro genoma, in geni precisi, non è stato solo un importante avanzamento teorico, che ha fatto luce sul perché e come siamo soggetti ai tumori: da allora, infatti, la continua scoperta di nuovi geni implicati nei più diversi tipi di cancro ha prodotto sia nuove, efficacissime terapie, sia una diagnostica di precisione che non ha riscontri precedenti nella storia della medicina.
Nell’ultimo decennio, tuttavia, è emerso un ulteriore meccanismo regolatorio, spesso attivo nei tumori: la modifica epigenetica di molti geni, spesso già precedentemente implicati in oncologia, è un processo in cui non muta la sequenza di DNA, ma il gene corrispondente viene “acceso” o “spento” tramite modifiche chimiche più o meno reversibili che ne cambiano l’attività in modo da favorire il tumore per diverse possibili ragioni.
Questo tipo di effetti epigenetici è sempre più al centro degli sforzi di indagine degli oncologi, perché la loro reversione può offrire nuove strade terapeutiche. Proprio qualche giorno fa, un nuovo, inatteso e sorprendente risultato ha dimostrato quanto sia davvero importante affiancare alla ricerca di nuove mutazioni oncogenetiche l’indagine approfondita del ruolo delle modifiche epigenetiche.
Il nuovo risultato, in breve, è il seguente: modifiche epigenetiche possono portare alla formazione di tumori, senza alcuna sottostante mutazione del DNA e anche quando la modifica sia solo temporanea. Un nuovo lavoro appena pubblicato su Nature, infatti, dimostra come l’abbassamento temporaneo della quantità di certe proteine chiamate Polycomb, conservate in tutti gli animali uomo compreso, induce la formazione di tumori in Drosophyla, il moscerino della frutta, che non regrediscono neppure dopo il ripristino delle quantità abituali di Polycomb.
Di fatto, si tratta della prima dimostrazione inoppugnabile di un meccanismo di cancerogenesi indipendente dalla sequenza del DNA cellulare e da eventuali mutazioni di quella, un meccanismo peraltro ampiamente possibile anche in esseri umani, vista la conservazione estrema delle proteine Polycomb e della loro funzione; per giunta, come detto il meccanismo, una volta avviato, non è più reversibile, nemmeno quando si provveda a ripristinare lo stato epigenetico “normale” di Polycomb, cioè la sua quantità abituale. In sostanza, quando per qualche effetto ambientale la quantità di certi importanti regolatori dell’attività e della replicazione cellulare cambia, possono avvenire varie cose che spiegano quanto è stato osservato.
Innanzitutto, molti geni bersaglio dell’attività di quei regolatori, in loro temporanea assenza, possono cominciare a “lavorare” in modo diverso; in taluni casi, questo può innescare dei cicli che si autoalimentano, e che non sono più arrestabili ripristinando il regolatore originario, per semplice effetto soglia, così dirigendo la cellula verso un fato tumorale.
In secondo luogo, altri geni bersaglio, sempre in temporanea assenza del loro regolatore abituale, possono essere legati da regolatori alternativi, i quali ne moduleranno in modo erroneo l’attività e soprattutto non saranno necessariamente rimpiazzati dal regolatore originario, una volta che questo sia nuovamente presente; anche in questo caso, così può nascere un tumore.
Quale che sia il meccanismo dettagliato, il lavoro appena pubblicato dimostra un principio generale: lo “stato di lettura” dell’informazione genetica, in un certo istante, e non l’informazione genetica stessa, è quello che determina il fato di una cellula, ragione per cui ogni modifica di quello stato, modifica che può essere o meno permanente, è in grado di cambiare il destino cellulare pur in assenza di cambi dell’informazione genetica sottostante.
È cioè l’uso che una cellula fa del suo stesso DNA, determinato dai vincoli molecolari dell’ambiente interno alla cellula, a determinare cosa diventerà quella cellula, e non semplicemente il testo genetico, proprio nello stesso modo in cui è l’uso dei testi di una biblioteca che distingue le persone, pure in presenza degli stessi testi nella stessa biblioteca.
Nel caso speciale dello stato cancerogenico, anche l’ambiente può determinare attraverso cambiamenti epigenetici quello stato, da adesso sappiamo senza che sia necessaria una mutazione accidentale in un gene importante. Naturalmente, siamo piuttosto resistenti a questi cambiamenti indotti, ma ciò non toglie che la selezione naturale ci ha forgiato per essere robusti quel tanto che basta per arrivare in media a riprodurci, non per resistere privi di cancro fino alla morte, ragion per cui è ampiamente possibile che il risultato appena ottenuto nel moscerino della frutta non rimanga né confinato a quell’organismo né sia limitato al meccanismo appena illustrato.
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