Naufragi e approdi. Un blu oscuro, di mare increspato, che ribolle di sangue e speranza. Una mostra
Barchette di carta a simboleggiare le vite perse nel Mediterraneo. La sofferenza, la speranza e il riscatto. Una mostra che non è solo espressione artistica, ma un’invocazione alla consapevolezza e all’azione, all’indomani dell’apertura della Biennale d’arte di Venezia
Venezia. L’acqua del Canal Grande brilla argentata sotto a un velato sole primaverile. E’ un’acqua salmastra, che lentamente logora la pietra dei palazzi e le briccole di questa “repubblica di castori”. Il riverbero dei riflessi acquatici balugina sui mosaici pavimentali e sulle pareti della Galleria Giorgio Franchetti alla Cà d’Oro, creando giochi visivi da giardino pensile moresco. L’atmosfera è quieta e rasserenante. Entrando nella Galleria Franchetti però, si capisce presto che si naviga in altre acque, più internazionali e meno serene; all’interno, infatti, è allestita la mostra “Naufragi-Approdi” dell’artista César Meneghetti in collaborazione con i Laboratori d’arte di Sant’Egidio, curata da Alessandro Zuccari e inaugurata il 18 aprile, all’indomani dell’apertura della sessantesima Biennale d’arte di Venezia dal titolo “Stranieri ovunque”.
Si è subito attratti da un grande ledwall, dove sono simulati 9 mq di mare circa. Non è però il blu metilene di Pino Pascali, placido e fotogenico, ma un blu oscuro, di mare increspato. E’ quel grembo che ribolle di sangue e speranze, culla di civiltà e cimitero sepolto, il mare nostrum dei Romani, Mediterraneo per noi. L’installazione video inizia infatti da un mare rosso, scurendosi gradualmente fino a farsi plumbeo, per frammentarsi poi in una scomposizione totale verso una geometrizzazione astratta. Sullo schermo compaiono allora i nomi dei 240 migranti morti recuperati dalla Comunità di Sant’Egidio, che li ha sottratti all’oblio restituendo loro un nome e una storia. Le altre 2.889 anime rimaste illacrimate e anonime, sprofondate nel fondo del Mediterraneo nel solo anno 2023, sono invece evocate da altrettante barchette di carta (3.129 in tutto), fragili come i barconi dei migranti, che sembrano navigare verso il mare digitale, come per correre in aiuto di quelle vite sommerse. Nell’inerme flotta di carta si distinguono alcune barchette rosse, che corrispondo al numero di bambini morti. E dell’infanzia e del gioco, negato a queste esistenze, la barchetta di carta ne è quasi l’emblema.
Vite naufragate, come quelle rievocate da Marianna Caprioletti nella sua opera dove interpreta in chiave grafica la Zattera della Medusa. Il celebre naufragio della fregata francese Meduse fu un evento dalla grande eco nella Francia del tempo, e delle 150 persone imbarcate sulla zattera di fortuna solo 15 riuscirono ad approdare a riva, dopo un vero viaggio al termine della notte. Il giovane Géricault fissò questa immane tragedia in una grande opera nel 1819. Marianna Caprioletti, artista con la sindrome di Pendred, riprende la struttura del dipinto ma ne stravolge la forma. La linea diviene vorticosa, incisiva e spigolosa, come di un Espressionismo tedesco che, privato dei colori allucinati, si fa grottesca parodia.
A questo naufragio risponde l’Approdo, una grande opera di Roberto Mizzon che narra la storia dei corridoi umanitari, grazie ai quali oltre settemila profughi sono approdati in Europa in maniera sicura e legale a partire dal 2015. La pittura di Mizzon, a lungo internato nel manicomio del Santa Maria della Pietà a Roma, è un grumo nero di materia stratificata, tremendo impasto di vita, tra sofferenza e riscatto. Dalla materia informe bituminosa nella parte sinistra della tela, il magma africano afflitto da guerre interne laceranti e povertà, fluttuano verso l’Italia delle isole umane, foglie dorate che spinte dalla forza della speranza cercano di giungere in Europa, approdando all’uniforme massa d’oro posta all’estremità opposta della tela, da sempre colore dello spirito e del sacro e, quindi, simbolo di salvezza.
Dietro a queste opere e a questa esposizione ci sono storie vere, di tragici naufragi e virtuosi approdi, c’è il lavoro di centinaia di persone che operano per rendere i corridoi umanitari possibili, come il lavoro decennale di Cesar Meneghetti con i Laboratori d’Arte di Sant’Egidio. Non sono battaglie fittizie, non sono solo parole vuote. Le parole sono invece stampate su delle barchette di carta che ogni visitatore può portare via con sé; sono frasi pronunciate dalle persone con disabilità durante i laboratori d’arte, dove, a volte con grandi difficoltà per via di patologie o sindromi che rendono il linguaggio difficoltoso, vengono plasmati pensieri e le singole parole assumono il peso che il verbum dovrebbe sempre avere. Perché la parola, quando è pura e precisa, è “pharmakon” (medicina), come quella di un poeta, voce tra le più illuminate del Novecento, che nei suoi naufragi bellici ed esistenziali trovò una fessura di luce, di allegria: “E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare” (Ungaretti, “Allegria di naufragi”). L’arte e la poesia, quando sono tali, aiutano a riprendere il viaggio, frugando nelle ferite della vita e aiutando a lenirle. Le acque alte torneranno a sommergere i mosaici della Cà d’oro, e allora le barchette di carta prenderanno il largo per recuperare e salvare altre vite. Finché la barchetta va, speriamo la lascino andare.
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