Inquietudini di scienziati. Gli ordinari tormenti di Gödel e Leonardo
In “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” Benjamin Labatut indaga le esistenze di scienziati che hanno spinto il pensiero oltre i propri limiti, anche rischiando di scivolare in una follia che accompagna, profeticamente, l’apertura di nuovi universi di senso. Sta anche in questo mistero, nell’unione mistica tra il desiderio di oltrepassare i limiti della mente e il pericolo di mandarla fuori giri, l’interesse della letteratura per la scienza perché, in fondo, entrambe sono animate dalla stessa ossessione, raggiungere il senso ultimo delle cose. Tra le tante straordinarie figure faustiane ci sono il logico Kurt Gödel e il genio del Rinascimento Leonardo da Vinci, protagonisti di due libri diversi per natura e propositi, ma legati proprio dalla ricerca degli autori su queste menti uniche. Attorno alla vita e alle scoperta di Gödel ruota “Incompletezza” di Deborah Gambetta (Ponte alle Grazie), un libro che muove dall’ossessione della scrittrice per il matematico ma poi si trasforma in riuscito tentativo autobiografico, gioco di specchi tra la vita dell’autrice e quella di Gödel. In questo esperimento narrativo non c’è quindi solo lo studio della vita e delle opere del “più grande logico dopo Leibniz, o addirittura dopo Aristotele”, ma anche il racconto letterario che ne fa Gambetta, puntuale e scrupoloso ma comunque filtrato dall’esperienza e dallo sguardo della scrittrice.
Sin dalle prime pagine Gambetta racconta parallelamente la vita di Gödel, dalla nascita nel 1906 fino alla morte per denutrizione nel 1978 (dovuta alla paura dell’avvelenamento, avamposto estremo del suo disturbo ossessivo-compulsivo), e la sua personale ricerca di senso tra le spire di una relazione complessa: tra le due esperienze ovviamente non esistono congiunture dirette, ma è proprio lo sforzo di specchiarsi in una storia così diversa ad aprire nuove e rivelatorie vie alla comprensione del proprio essere in un percorso rabdomantico, sospeso tra autobiografia e saggio, frammenti centrifughi di una storia in cerca della propria unità, che fa orgogliosa mostra della propria incompletezza. Un’unità che invece abita la biografia di Leonardo scritta da Carlo Vecce che dopo aver scoperto che la madre di Leonardo era una schiava circassa (come racconta in “Il sorriso di Caterina”), compone un nuovo tassello imprescindibile per qualsiasi ricerca sul genio toscano.
Se la fascinazione di Gambetta per la storia di Gödel nasce anche da un desiderio puramente letterario, il libro di Vecce si presenta come solida biografia nata dall’incrocio e dalla verifica di innumerevoli fonti: si tratta quindi di due opere differenti, eppure unite dalle possibilità che il racconto letterario può aprire sulla conoscenza di due esperienze “scientifiche” così eccezionali. “Leonardo. La vita” (Giunti) inserisce pienamente Leonardo nel suo tempo e proprio demitizzando la sua esistenza (raccontando quindi il trauma originario di “figlio”, vuoto da cui nasce l’inquietudine della sua ricerca), ne rende paradossalmente più luminose le invenzioni e le scoperte, perché le inserisce in un’esistenza ordinaria e non nella leggenda di un genio isolato e avulso dalla realtà. Questa biografia colloca nella giusta luce la vita di Leonardo, di suo padre Piero e di sua madre Caterina, mostrando bene come il tormento che abitava la sua esistenza lo abbia spinto a sperimentare con estrema libertà nei campi più diversi. L’inquietudine che accomuna le esistenze di Gödel e Leonardo è un possibile punto di contatto tra questi libri, entrambi tesi a rivelare gli itinerari di due straordinarie ricerche sui segreti del mondo, indagini sovrumane che continuamente alimentano le menti degli scrittori.
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