L’indagine sulla complessità dell’animo umano in “Ultracorpi”
Francesca Marzia Esposito alza il velo di Maya e sfida il mito della body positivity raccontando i canoni estremi di body builder e di ballerini classici. Il libro pubblicato da minimum fax
Francesca Marzia Esposito con Ultracorpi (minimum fax, 2024) alza il velo di Maya e sfida il mito della body positivity: scrive un intero libro sui corpi di quegli individui per cui “accondiscendere a una posizione mediana rimane poco allettante”. Esamina gli estremi, dunque: fisici (e menti) performative tipicamente a disposizione di body builder e di ballerini classici che, in modi diversi, manifestano sì una certa hybris – “Il corpo è la cosa di cui possiamo disporre senza chiedere il permesso” – ma sono al contempo vittime dei canoni che la fisica richiede per il soddisfacimento di un gesto, che nella danza farà “venire fuori l’anima, mentre nel culturismo no: […] l’interiorità che l’alberga resterà insondata”.
Esposito scandaglia le motivazioni e gli epiloghi, passando per le manifestazioni, del corpo elevato a dis-misura anche in un “terzo spazio: quello del possibile. Il corpo fisico, con il virtuale, ha creato un anello ulteriore di esistenza”. Rende testimonianza cioè, sospendendo il giudizio, dei percorsi che conducono i singoli alla loro alpha zone, il superamento della soglia di comfort, alla ricerca di una adesione possibile tra il desiderio e la realtà, in qualunque modo possa essere raggiunta.
Il complesso di Adone per i culturisti fa il paio con l’anoressia per le ballerine (all’onore della cronaca per il caso Mariafrancesca Garritano, espulsa dalla Scala per le sue dichiarazioni e poi reintegrata, a seguito del verdetto della Cassazione): “Dipendenza e controllo sono gli estremi tra i quali alcune persone oscillano pericolosamente” nel perseguimento di un canone che porta la ricerca identitaria a fare del corpo il proprio regno. Per paradosso però “il corpo ricreato non ragiona sul differenziale di genere ma conduce alla creazione di un terzo corpo artificiale in egual misura per l’uomo e per la donna”.
Viene di chiedersi, leggendo Ultracorpi, quale sia davvero “il bene” perseguibile (perdono di significato frasi come “lo dico per il tuo bene”, “non ti fa bene”) e quanto la ricerca del “corpo estremo” sia davvero demonizzabile, anche quando vengono usati anabolizzanti, o il Synthenol per ritoccare le masse, o ci si sfinisca di esercizio estenuante per piroettare con i 32 fouettés della variazione di Odile del Lago dei cigni.
Ultracorpi è un’indagine sulla complessità del concetto di perfezione e sulla complessità dell’animo umano, attraverso esperienze vissute (Coleman, Dos Santos Alves, Segato, Schwarzenegger, Iris Kyle, per esempio nel body building, o Carla Fracci, Bolle, Nureyev, Marianela Núñez sono alcuni esempi nella danza classica), insieme a letture intrecciate e stralci di vita autobiografica. Solo lo sguardo di una romanziera poteva restituire l’umana verità del fenomeno che, in misura ridimensionata, tocca l’umanità tutta: “Sei immerso da molto tempo in acque sconosciute” dice di sé Esposito “e poi quelle acque cominciano a inzupparti a dovere. Le cose avvengono sempre in maniera silente. Tutto comincia molto prima che tu ne abbia coscienza”. Anche questa è una storia che andava raccontata.
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