Intervista al sindaco di Londra Sadiq Khan: “Ho rivinto le elezioni con le politiche green, la mia città è un modello”

ROMA — “Papa Francesco non è solo la guida del mondo cattolico, è un leader globale. Ha ben chiaro che il futuro dell’umanità è in pericolo per la crisi climatica e vuole dare una speranza: per questo ha convocato in Vaticano noi sindaci e governatori che stiamo agendo contro il riscaldamento globale”.

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Quando l’inquinamento diventò un colore: il fumo di Londra

È un grigio scuro con una punta di blu. Periodicamente torna di moda perché è una tinta sobria ed elegante (sempre che si possa attribuire questa caratteristica a un colore). Sto parlando del cosiddetto ‘fumo di Londra‘, colore noto anche come ‘grigio Londra’.

Se volessimo ottenerlo al computer, ad esempio con Photoshop, dovremmo usare una di queste miscele.

Il risultato è un tono di grigio leggermente ‘freddo’, un colore un po’ metallico.

Ma da dove arriva questa denominazione? Molti fanno risalire la codifica di questo colore al ‘Grande smog‘, un gravissimo episodio di inquinamento avvenuto a Londra tra il 5 e il 9 dicembre del 1952.
A creare quella mortale cappa di smog (che provocò oltre 12.000 vittime) fu una concomitanza di cause diverse: lo spostamento dell’anticiclone delle Azzorre sull’Atlantico che provocò la formazione di uno strato di aria fredda e immobile su Londra; il conseguente addensamento di una fitta nebbia dovuta alla condensa dell’aria umida e l’abbassamento delle temperature che spinse gli abitanti ad aumentare il consumo di carbone per il riscaldamento domestico, provocando un’enorme dispersione di particelle di fuliggine che si sommarono a quelle delle fabbriche e delle centrali elettriche.

Gli effetti furono pesantissimi: la circolazione automobilistica divenne pressoché impossibile, i pedoni si smarrivano tra le strade e vennero persino chiusi teatri e cinema poiché il fumo penetrato al loro interno non rendeva visibile il palco. Ma l’aspetto più drammatico fu l’impennata di malattie respiratorie dovute ai livelli altissimi di acido solforico nell’aria che portarono nell’immediato a circa 4.000 decessi.
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Qualche anno più tardi, quando la classe politica si rese conto della correlazione tra quell’evento e i danni provocati alla salute dei cittadini, il governo inglese emanò il Clean Air Act, uno dei primi provvedimenti legislativi moderni volto a ridurre le emissioni inquinanti. Una legge che sostanzialmente decretò la fine dell’era del carbone e lo spostamento fuori dalle città di tutte le attività produttive.
Quanto al color fumo di Londra, come dicevo sopra, la sua  nascita viene spesso associata a questo episodio per via della tinta grigio scuro assunta dall’aria della città. Eppure, spulciando tra la letteratura legata ai colori, ho trovato una citazione del fumo di Londra (descritto in francese come fumée de Londres) già nel testo di Eugéne Chevreul del 1864 in cui pubblicò il suo famoso cerchio cromatico (quello che ispirò a Seurat la tecnica puntinista), il Des couleurs et de leurs applications aux arts industriels à l’aide des cercles chromatiques.

Secondo il chimico francese il fumo di Londra è una sfumatura del nero di Ginevra, tinta che qualche pagina dopo viene descritta come una tonalità di blu.Ma più che capire quale fosse il tono esatto del fumo di Londra, quello che è interessante osservare è che già negli anni Sessanta dell’Ottocento, quasi un secolo prima del Grande smog, l’inquinamento londinese aveva già dato il suo nome a un colore!
D’altronde lo smog delle città inglesi era comparso già nel primo Ottocento con gli effetti della Rivoluzione industriale: la combustione del carbone riempiva l’aria di fumo che, mescolandosi con la nebbia, dava luogo a coltri spesse e irrespirabili. Lo stesso termine smog deriva proprio dalla fusione tra smoke (fumo) e fog (nebbia).

Di questo fenomeno ha scritto un testimone d’eccezione, lo scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870). Nel suo Tempi difficili del 1854, un romanzo ispirato all’immaginaria città industriale di Coketown, racconta:
«Era una città con mattoni rossi o, per meglio dire, di mattoni che sarebbero stati rossi se fumo e cenere lo avessero permesso: così come stavano le cose, era una città di un rosso e di un nero innaturale come la faccia dipinta di un selvaggio; una città piena di macchinari e di alte ciminiere dalle quali uscivano, snodandosi ininterrottamente, senza mai svoltolarsi del tutto, interminabili serpenti di fumo.»

Questa immagine delle città inglesi, costellate da ciminiere e avvolte dal fumo, diventa in poco tempo anche un soggetto artistico come in questa veduta di Manchester del 1852 realizzata da William Wyld per la regina Vittoria.

L’inquinamento è visto curiosamente come un aspetto romantico del paesaggio, tant’è vero che è inserito all’interno di una bucolica visione con contadini e caprette.
Quarant’anni dopo, le atmosfere fumose delle città industriali diventano il soggetto principale del dipinto, come in questa tela di Lionel Walden dedicata al molo di Cardiff, la capitale del Galles che nel giro di un secolo vide un’enorme espansione grazie alle esportazioni di carbone.

L’inquinamento dell’aria non appariva come un problema ma come la manifestazione visibile del progresso. Quasi un’anticipazione dell’estetica del Futurismo, ma dipinta secondo le regole accademiche.
Tuttavia, secondo uno studio dell’Università di Cambridge, lo smog non avrebbe solo preso il posto dei soggetti della tradizione ma sarebbe stato determinante nella nascita dell’Impressionismo. I ricercatori, infatti, hanno osservato come i dipinti di Turner (considerato per la sua pennellata larga e sfaldata un precursore dell’Impressionismo) e, successivamente, quelli di Monet, diventino anno dopo anno sempre più sfocati, in parallelo con l’aumento di anidride solforosa nel cielo.
Il celebre Pioggia, vapore, velocità del 1844 dipinto da William Turner non sarebbe quindi solo un esperimento di vaghezza, ma un preciso e realistico ritratto del livello di inquinamento presente nell’atmosfera inglese in quel periodo.

Allo stesso modo le vedute di Londra di Claude Monet dipinte alla fine del secolo, specialmente quelle del Parlamento inglese e del ponte di Charing Cross, sono il risultato di una densa coltre di smog, prima che di una tecnica basata sulle pennellate veloci.

Di questo aspetto, del fatto cioè che stesse dipingendo l’aria inquinata, Monet era perfettamente consapevole e in parte anche compiaciuto come rivela una lettera scritta alla moglie nel 1900:
«Sto lavorando molto duramente, anche se stamattina pensavo davvero che il tempo fosse completamente cambiato; quando mi sono alzato ho visto con terrore che non c’era nebbia, nemmeno un filo di nebbia: ero prostrato, e vedevo tutti i miei quadri finiti, ma a poco a poco i fuochi si sono accesi e il fumo e la foschia sono tornati.»

È la stessa foschia che aveva già immortalato Giuseppe De Nittis nel suo periodo londinese del 1878.

Questi pittori, dunque, hanno dipinto (e respirato) il famoso fumo di Londra e in effetti è proprio di quel grigio-azzurro di cui parlava Chevreul. Certo, fa un po’ specie che un fenomeno che oggi, giustamente, combattiamo, sia stato in qualche modo un motore della pittura. Ma tant’è: l’arte è sempre espressione di un’epoca e di una società. E noi dobbiamo osservarla in modo oggettivo, grati di tutte le storie che ci sa raccontare.

No all’Autonomia Differenziata

NO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA: APPELLO PER UN GRANDE SCIOPERO UNITARIO CONTRO LA REGIONALIZZAZIONE DELLA SCUOLA

A Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals, Cobas Scuola, Cobas Sardegna, Gilda, Anief, nonché a tutte le altre OOSS del settore

No all’Autonomia Differenziata che frammenta e spezza l’Italia, perché:

1 – esalta le disuguaglianze fra Nord e Sud, che sono già le più profonde e durature del mondo, all’interno di uno stesso Paese;

2 – frammenta la formazione scolastica, legando l’offerta nazionale dell’istruzione obbligatoria non al diritto di cittadinanza, ma alla ricchezza dei territori, favorendo così i più ricchi. Con l’attuale situazione di sfacelo generale degli istituti, per il 90% non in regola neanche con le norme su igiene e sicurezza (il cui rispetto grava proprio sugli enti locali), cosa potrebbero più garantire le regioni più povere, prive di mense e laboratori e nelle quali spesso non è mai partito il tempo pieno? Le Università del Sud rischierebbero di chiudere e le scuole (già piene di problemi) diventerebbero un cronicario didattico. L’alternanza scuola-lavoro, intesa come mero apprendistato aziendalista, ne uscirebbe dovunque rafforzata ed ulteriormente distorta. L’attuale (assai compromesso) assetto costituzionale prevede che, qualora le regioni lo chiedano, resti allo Stato solo l’indicazione degli indirizzi generali sull’istruzione, aprendo un varco a velleità più vicine al localismo prepotente che al federalismo. 

Il mondo dell’istruzione pare infine destinato a fare da apripista, incardinando per la prima volta la regionalizzazione del personale (cosa mai successa prima in nessun altro settore): questo governo aprirà così la strada alle gabbie salariali con contratti regionali anche per la sanità, i trasporti rimasti allo stato ed i servizi, chiudendo in un ghetto retributivo il Meridione. Per quanti passeranno dallo stato alle regioni è pronto lo stesso tiro mancino che subì in ogni parte del Paese quella parte di personale non docente statalizzata nel 2000 provenendo dagli Enti Locali, con l’annullamento dell’anzianità e l’eliminazione per loro (ma non per i colleghi dello stato) dei “gradoni”, non presenti nel Ccnl degli Enti Locali. Venne azzerata loro l’anzianità di servizio, con un danno fortissimo su stipendi e pensioni. Ricordiamo che questi 70mila lavoratori della scuola che, a parità di mansioni ed orario percepiscono oggi uno stipendio ridotto rispetto ai loro colleghi o sono andati in pensione dopo 42 anni di contributi anche con pensioni da 1000 euro, attendono ancora giustizia nonostante undici sentenze favorevole della Suprema Corte Europea. Oggi, in caso di una regionalizzazione dei contratti, potrebbe avvenire l’opposto, con lo scomputo degli anni di servizio maturati nello stato ed analoghe disparità;

3 – trasforma i diritti costituzionali in merci che alcuni potranno “acquistare” e altri no;

4 – mira a far esplodere la differenza di dotazione di infrastrutture (strade, scuole, ospedali…), anche con la ventilata pretesa di trasformarne la proprietà da statale a regionale, in modo che quello che è di tutti gli italiani, perché pagato da tutti, andrebbe a incrementare il patrimonio pubblico solo di alcuni, che si ritroverebbero così ancora più ricchi, impoverendo gli altri;

5 – sottrae risorse allo Stato, consentendo alle Regioni di trattenere una percentuale forte delle tasse nazionali per finanziare competenze delegate dall’Amministrazione centrale. Ma, subdolamente, in tal modo si avrebbe un trasferimento di fondi pubblici proporzionato alla ricchezza dei territori e non al costo dei servizi, quindi chi già ha di più riceverebbe ancora di più e chi ha meno, ancora meno, generando tensioni il cui sviluppo è imprevedibile;

6 – dal momento che l’Autonomia differenziata, ovvero il passaggio di competenze dai ministeri alle Regioni deve avvenire, per legge, a invarianza di bilancio, se alcune Regioni riescono a sottrarre più risorse, per le altre non può che restare poco o niente e lo Stato centrale potrebbe avere difficoltà a far fronte ai suoi compiti (a meno di non voler regionalizzare, per dire, anche le Forze Armate, la Diplomazia, eccetera);

7 – l’Autonomia Differenziata non può prescindere dai Livelli essenziali delle prestazioni, Lep, ovvero i servizi da fornire al cittadino. Come impone persino la scellerata riforma del Titolo V della Costituzione, del 2001. Ma i Lep (quali, quanti, quanto costano, ci sono i soldi?) non sono stati definiti in 23 anni, poi lo si è fatto in pochi giorni semplicemente fotografando l’esistente (con le lacune che questo comporta); per finanziarli servirebbero non meno di cento miliardi che per di più il governo vorrebbe distogliere da quelli già destinati al Mezzogiorno; ma anche se i Lep fossero definiti e finanziati, per la messa a regime ci vorrebbero decenni. Se l’Autonomia Differenziata partisse, nessuno potrebbe garantire la realizzazione dei Lep;

8 – ci sono almeno una decina di pesanti violazioni dei principi costituzionali nel disegno di legge Calderoli per l’AD; e il ruolo del Parlamento viene azzerato. Tutto verrebbe deciso unicamente dal governo e dalle regioni interessate.

Appello promosso da:

Pino Aprile (giornalista e scrittore, Presidente onorario dell’Intergruppo Parlamentare per il Sud, le aree interne e le piccole isole)

Stefano d’Errico (Segretario nazionale dell’Unicobas Scuola & Università)

6 Febbraio 2024: Quarantacinque sindaci del Mezzogiorno si uniscono all’appello dello scrittore Pino Aprile, Presidente onorario dell’Intergruppo parlamentare Sud e dei sindacati di base. Chiedono a tutti i restanti sindacati dell’istruzione l’organizzazione di uno sciopero generale unitario della scuola contro l’autonomia differenziata, in una data da decidersi in comune. Tra i sindaci che hanno dato la loro adesione anche Mosè Antonio Troiano, sindaco di San Paolo Albanese, nominato vicepresidente dell’Associazione dei Sindaci del Sud Recovery Sud Italia insieme a Nicola Fiorita, sindaco di Catanzaro, Vito Fusco, sindaco di Castelpoto, Maria Grazia Brandara, sindaca di Naro e Giovanna Bruno, sindaca di Andria. Quindi sono rappresentate tutte regioni del Sud. L’associazione ha deciso anche di aderire alla manifestazione nazionale davanti al ministero della Coesione indetta dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. 

Nell’ordine:

Gennaro Capparelli, sindaco di AcquaformosaMaria Grazia Brandara, sindaca di NaroSimona Colotta, sindaca di OrioloDomenico Vuodo, sindaco di Alessandria del Carretto Alessandro Tocci, sindaco di CivitaRosaria Capparelli, sindaca di San Benedetto UllanoLucia Nicoletti, sindaco Santo Stefano di RoglianoRaffaele Pane, sindaco di SciglianoAntonio Iorio, sindaco Di TortoraMosè Antonio Troiano, sindaco di San Paolo AlbaneseGiovanni Galli, sindaco di SalcitoAlfredo Lucchesi sindaco, Santa Maria TalaoAgostino Chiarello, sindaco Di CampanaFrancesco Silvestri, sindaco Di VerbicaroRiccardo Gullo, sindaco Di LipariPietro Caracciolo, sindaco di Montalto UffugoFrancesco Tursi, sindaco di PlataciMichele Chiodo, sindaco di Soveria MannelliVincenzo Nania, sindaco di Sorbo San Basile Francesco Severino, sindaco di Santa Caterina dello IonioPasquale Fera, sindaco di San Nicola da Crissa Francesco Miglio, sindaco di San SeveroGiovanna Bruno, sindaca di AndriaGiuseppe D’Onofrio, sindaco SerracapriolaRaffaele Falbo, sindaco di MelissaMaria Grazia Vittimberga, sindaca Di Isola Capo RizzutoAngelantonio Angarano, sindaco Di BisceglieLuigi Sarnataro, sindaco di Mugnano di NapoliFrancesco Fazio, sindaco di FabriziaMimmo Lo Polito, sindaco di CastrovillariFrancesco Cacciatore, sindaco di Santo Stefano QuisquinaAntonio Vella, sindaco Di MontevellaMassimo Chiarella, sindaco di Gimigliano Raffaele Mirenzi, sindaco di Pentone Francesco Scalfaro, sindaco di Cortale Luca Papaianni, sindaco di Paterno CalabroSebastiano Tarantino, sindaco di Taverna Francesco Silvestri, sindaco di Verbicaro Gabriele Corrado, sindaco di DasáAlfredo Lucchesi, sindaco di Santa Domenica Talao Vincenzo De Marco, sindaco di San Sosti Antonio Pomillo, sindaco di VaccarizzoPasquale Iacovella, sindaco di Casalduni Gianni Papasso, sindaco di Cassano allo Ionio

Ulteriori adesioni verranno costantemente aggiunte nel corso di questa campagna che comincia oggi

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