L’IA ha insegnato a due robot a giocare a calcio

I Campionati di calcio vedranno scendere in campo dei robot? Un primo passo è stato fatto, ma il giorno in cui le macchine prenderanno il posto dei nostri idoli calcistici appare, per fortuna, ancora lontano.

I primi passi, o meglio, i primi calci sono stati tirati all’interno di un rettangolo di gioco in miniatura da due mini-robot sviluppati dall’azienda Robotis. Alti appena 51 centimetri, pesanti 3,5 kg e dotati di 20 articolazioni, gli automi si sono sfidati in 50 incontri, uno contro uno, guidati dall’Intelligenza Artificiale DeepMind di Google. A condurre il progetto, chiamato OP3 Soccer e descritto nello studio pubblicato su Science Robotics, è stato un gruppo di ingegneri informatici e robotici del comparto londinese dell’azienda californiana. I risultati sono stati apprezzabili, anche se è inevitabile non sorridere di fronte allo stile di gioco sviluppato dei robottini.

Stile unico. I buffi e inattesi movimenti che si vedono fare ai due aspiranti calciatori, che cadono rialzandosi prontamente oppure piroettano su loro stessi, non sono certo convenzionali ma sono quelli che l’algoritmo reputa come più efficaci, sebbene possano apparire non intuitivi. “Un esempio in tal senso è il modo in cui il robot gira su sé stesso – si legge nello studio – facendo perno sull’angolo di un piede, un movimento che sarebbe stato molto difficile da codificare a priori, ma che si è rivelato più efficace di un approccio tradizionale”. Il tutto è frutto di un metodo innovativo di apprendimento: invece di servirsi di un database di informazioni, gli algoritmi utilizzati per controllare i giocatori sono partiti da zero, imparando autonomamente ogni gesto tecnico e ogni opzione tattica attraverso numerosi tentativi ed altrettanti errori con il fine di avvicinare il loro processo di acquisizione a quello di un essere umano. Ogni gesto ben eseguito è stato accompagnato da un segnale di ricompensa, in modo tale che DeepMind potesse via via distinguere i movimenti corretti e scartare quelli sbagliati. Tale metodo è noto come “apprendimento per rinforzo” e ha soddisfatto i ricercatori.

Dal virtuale al reale. Tuttavia, il processo di addestramento non è stato esclusivamente pratico. Per evitare danni agli automi a causa delle cadute, dei contrasti e dei ripetuti movimenti, una prima fase è stata realizzata utilizzando simulazioni virtuali, nelle quali i due avatar dei robottini si sono sfidati imparando a turno le diverse fasi di gioco: correre, rialzarsi, tirare, dribblare, parare, contrastare l’avversario. Una volta appresi i rudimenti, la telecamera posta sulla loro testa unita a un sistema di “motion picture” simile a quello utilizzato nelle produzioni cinematografiche, li ha aiutati a trasferire i gesti virtuali sul terreno di gioco, e a cimentarsi con un pallone reale dimensionato sulle loro misure.

Il passaggio dalle simulazioni alla realtà non è stato tuttavia lineare: se al computer le azioni si concludevano nel 70% dei casi con un goal, sul terreno di gioco tale percentuale è scesa al 58%.

Risultati positivi. Non è certo l’infallibilità in prossimità della porta il dato che interessa i ricercatori. Per analizzare i progressi di tale innovativo metodo di apprendimento, infatti, il team ha addestrato anche un’altra coppia di automi, stavolta con metodi tradizionali, pre-impostandone i movimenti e insegnandogli il gioco del calcio a tavolino. Ebbene, i due robottini che avevano imparato sul campo sono risultati essere il 181% più veloci nella corsa, il 302% più rapidi nei cambi di direzione e hanno impiegato il 63% del tempo in meno per rialzarsi. Insomma, non riempiranno ancora gli stadi, ma il primo passo verso un campionato del mondo di calcio robotico è stato fatto. Non resta che attendere i futuri sviluppi, primo tra tutti l’uso di androidi più grandi e tecnologici che, però, devono ancora essere inventati. I piccoli calciatori del futuro possono dunque dormire sereni, nessun robot gli ruberà il lavoro… almeno per ora.

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