Le scomparse lontane e vicine di Ettore Majorana e Federico Caffè

I punti di contatto psicologici, caratteriali e culturali sono sorprendenti. Sciascia e Rea hanno indagato e dubitato del suicidio: resta il convento

Suicidio o no, lui voleva sparire. Voleva separarsi da noi, da noi gente normale”. A dire questo di Ettore Majorana è Ettore Majorana junior, il nipote, figlio di un fratello di Ettore, lo zio scomparso, l’enfant prodige della fisica italiana e mondiale. Settant’anni dopo la sua scomparsa il 26 marzo 1938, di ritorno da Palermo a Napoli col “postale” che partiva alle 22.30 – chissà se lo prese mai. Giorno in cui Ettore scrisse al direttore dell’Istituto di Fisica della Regia Università di Napoli, dov’era stato da pochi mesi nominato professore di Fisica teorica “per l’alta fama”, per dirgli – dopo che il giorno prima gli aveva comunicato, sempre per lettera, di aver “preso una decisione che era ormai inevitabile” – “il mare mi ha rifiutato”. Parole solo all’apparenza tranquillizzanti circa la possibilità di un suo suicidio, perché proprio da quel giorno le tracce di Majorana si perdono nel nulla. Per sempre, c’è ormai da credere.

 
Ma dunque non era “normale” Ettore, per volersi separare da noi gente normale? E, semmai non lo era, in che senso? “Ormai le linee della spirale oscura si erano congiunte: una teoria non riuscita, una vita personale e famigliare disastrosa, la salute malandata, lo straniamento dalla comunità scientifica… Abbiamo bisogno d’altro?”. Così Joao Magueijo, fisico portoghese che ne ha scritto ancora un’ultima biografia nel 2009. E poi quell’affermazione fatta ad Amaldi, uno dei “ragazzi” della prima generazione di Via Panisperna che sotto la guida di Enrico Fermi tanto contribuì alla fisica nucleare: “La fisica è sulla strada sbagliata; siamo tutti sulla strada sbagliata”. Affermazione impegnativa, oltreché angosciata e angosciante, se anche la sorella Maria ricorda che Ettore frequentemente vi si lasciava andare.

Quell’affermazione di Majorana fatta ad Amaldi: “La fisica è sulla strada sbagliata; siamo tutti sulla strada sbagliata”

A detta di Gastone Piqué, forse il suo solo amico dall’adolescenza alla giovinezza, Ettore Majorana si sentiva brutto. Peggio: “Era vittima di un complesso d’inferiorità, a causa della sua bruttezza”. Piuttosto piccolo, scuro, accigliato, scontroso. Riformato alla visita di leva per insufficienza toracica, un grissino insomma. Piccolo e accigliato e pure scuro, anche se non smagrito come un’acciuga, era anche Federico Caffè. Carattere misantropico anche il suo, al pari di quello, che senz’altro lo fu, di Majorana? Riservato, sarebbe più giusto dire. E come molte persone riservate, solitario. Solitario, sì. Tanto che proprio “La solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato” è il sottotitolo della biografia “L’ultima lezione”, che lo scrittore napoletano Ermanno Rea gli ha dedicato nel 1992, a cinque anni dalla scomparsa. Più piccolo ancora di Majorana – la testa, diversamente da quest’ultimo, invece grossa, quasi sproporzionata rispetto al corpo. Ermanno Rea nella biografia a tutto titolo letteraria, velato romanzo intessuto ma solo fino a un certo punto dai fatti della cronaca,  giacché lo scrittore deve riempire parecchi vuoti, a cominciare da quello che tutti li riassume del mistero della scomparsa, prende le mosse dall’ultimissimo atto, da quella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1987 quando Caffè “uscì di casa in punta di piedi per non svegliare il fratello” per salire sull’auto che l’attendeva sulla strada per portarlo nessuno sa dove. Rea non dubita che ci fosse un’auto ad attenderlo, quella notte, e che il proprietario/conducente non lo facesse, di portarlo via, per aiutarlo a uccidersi, giacché a suo parere nessun amico o collega dell’università di Roma dove Caffè era professore stimatissimo di Politica economica, un maestro riconosciuto pur se ormai con un piede nella pensione, gli era tanto intimo da prestarsi al triste compito, semmai Caffè, ancor più improbabilmente, gli si fosse rivolto per chiedergli tanto.  

Il motivo per cui Rea non crede che Caffè si sia allontanato da solo nella notte potrebbe apparire stiracchiato, e chissà che non lo sia.  L’aspetto, giusto quello: piccolissimo, testa grossa, sempre vestito di scuro, sempre la camicia, bianca, sempre la cravatta, con tanto di nodo a nido d’ape. Possibile che, si fosse allontanato coi mezzi pubblici, nessuno l’avesse notato – come appunto risultò dalle indagini immediatamente successive alla scomparsa? Gente come Federico Caffè si notava per sottrazione, magari, ma si notava, non passava per occhio. Forse tra tanta gente chissà, ma tra le sparute anime della notte in un quartiere periferico della Roma bene? E invece niente. La scomparsa di Caffè è ancora più totale – se d’una scomparsa si può utilizzare una gradazione che va da solo apparente a parziale fino a totale – di quella di Majorana, che fu visto (sembra) di ritorno sul traghetto da Palermo a Napoli e subito dopo (sembra) addirittura in città. Ma che all’Università di Napoli più mise piede dopo che, per aver scritto al rettore del suicidio abortito (“Il mare mi ha rifiutato”), sembrava che lo sbocco naturale delle sue esistenziali traversie fosse per intanto quello di tornare a quell’insegnamento al quale, dopo averlo sempre snobbato, era approdato da pochissimo, e sembra di poter dire con assai scarso entusiasmo, dopo l’esperienza nient’affatto entusiasmante con i “ragazzi di via Panisperna” capitanati da Enrico Fermi, coi quali non legò mai davvero.

La scomparsa di Caffè è ancora più totale di quella di Majorana, che fu visto (sembra) di ritorno sul traghetto da Palermo a Napoli

Due scomparsi illustri, di cui uno – Caffè – eclissatosi a distanza di mezzo secolo meno un anno dal secondo – Majorana: rispettivamente 1987 e 1938 gli anni fatidici, quando il primo coi suoi 73 anni aveva due volte e mezzo l’età del secondo, appena 31, e chiudeva la gloriosa carriera di professore universitario a Roma che quell’altro si può ben dire non aveva fatto in tempo neppure a iniziare a Napoli.

Due biografie, le loro, lontane e insieme vicine: pur se tutto, dagli studi alle carriere all’età in cui si sottrassero al mondo e agli affetti, li separa, i punti di contatto psicologici, caratteriali e culturali sono sorprendenti. Non gli si conoscono storie sentimentali, a nessuno dei due – intanto. Al punto che sempre Ettore Majorana junior arriva ad affermare: “C’è solo una cosa che, ne sono sicuro, avrebbe cambiato tutto nel ‘caso Majorana’”. Che cosa? Risposta sin troppo facile: l’amore.

  

Fino alla vicinanza più sottile e profonda, culturale e sentimentale a sua volta, benché largamente ipotetica, eppure non così irrealistica, per quanto senz’altro romanzesca, che Ermanno Rea avanza: quella che Federico Caffè sia andato a chiudersi in quello stesso convento che cinquant’anni prima aveva forse accolto, e fermato, la fuga dal mondo di Ettore Majorana: Serra San Bruno, in Calabria, dove viveva una comunità dalle regole “molto severe” che senz’altro si addicevano all’uno come all’altro, all’anziano professore di Politica economica come al giovane professore di Fisica teorica entrambi, sempre a stare a Rea, vittime dell’angoscia esistenziale: di tipo socio-umanitaria il primo, aggravata se possibile dall’assassino di Ezio Tarantelli del quale era stato correlatore all’esame di tesi e che aveva avuto come assistente in Banca d’Italia; schiettamente atomica, angoscia da bomba atomica genialmente traguardata con una dozzina abbondante d’anni d’anticipo, il secondo. Un’angoscia, quest’ultima, che precede anche cronologicamente quella di Federico Caffè, ma non necessariamente più acuta, giacché Caffè sentiva profondamente quanto la teoria economica, la sua teoria economica ispirata a quel tanto di umanesimo economico keynesiano, e con essa gli economisti a loro volta detti keynesiani, fosse al di sotto del compito di guidare le società occidentali in quella redistribuzione della ricchezza, ch’è alla base della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, che capiva impervio se non addirittura impossibile non certo da perseguire,  giacché erano in tanti gli studiosi che anche sotto la sua guida  vi si dedicavano, quanto da portare a compimento.

“Una domanda soprattutto mi torna con insistenza alla mente: può essere che il professore di Politica economica abbia letto il libro dello scrittore siciliano annotando il nome, benché non pronunciato, di Serra San Bruno per assumerlo come una possibile traccia per la sua stessa fuga? Nessuno decide all’improvviso di chiudersi in un convento: inclinazioni di questo genere vengono coltivate per anni, nutrite con ipotesi, riflessioni, letture. Come per esempio quella del libro La scomparsa di Majorana. Fu pubblicato nel 1975”, continua Rea nell’argomentazione della sua ardita ipotesi, “e ristampato nel 1985, appena due anni prima che il grande economista abbandonasse nottetempo la sua casa per non farvi più ritorno”. Il 1985, l’anno stesso, detto per inciso, dell’omicidio di Ezio Tarantelli.

 
Ma Sciascia di dubbi ne ha ancora meno di Rea. Ettore Majorana non si suicidò; si limitò a uscire di scena, a isolarsi dal mondo, a recidere col mondo anche il più tenue legame, mettendo in scena scrupolosamente, fino al dettaglio, della sua scomparsa il finale più drammatico: il suicidio. Dice, Sciascia, che “si comporta in quegli anni da uomo spaventato”, tanto che dal 1933 al 1937 visse isolato nella casa dei suoi a Roma, uscendo a malapena di camera e scrivendo non si sa cosa, pagine su pagine di cui non è rimasto nulla. Il suo cuore divenne inafferrabile.

Pessimo nella gestione della sua vita – ed ecco un altro particolare che lo accomuna a Caffè – diventerà nella convinzione di Sciascia una sorta di Brunelleschi del suo suicidio. In verità Sciascia ha poco a cui appoggiarsi, a parte il suo sentimento, ch’è poi una smaccata preferenza, e il suo fiuto di scrittore: il giudizio della madre di Ettore, da lui condiviso, che in una lettera a Mussolini perché si intensificassero le ricerche afferma con forza che “non si notarono mai in lui precedenti clinici o morali che possano far pensare al suicidio”; il fatto che portasse con sé, all’atto di sparire, passaporto e denaro. Ma che dire della lettera lasciata in albergo per i famigliari in cui chiede loro di non portare il lutto per più di tre giorni, di ricordarlo e perdonarlo? “Chiaramente, voleva che si credesse alla sua morte”, controbatte Sciascia, imperturbabile. E perché, allora, annunciato al Rettore dell’Università di Napoli il suo suicidio si preoccupa già dal giorno dopo di dirgli ch’è tornato sui suoi passi, per il rifiuto che gli ha opposto il mare? Teatro.

Pubblicò poco, si disinteressò di onori e carriera accademica, non legò con l’ambiente dei fisici, e con Fermi in primis, anticipò senz’altro le scoperte di Heisenberg, che frequentò nel suo soggiorno a Lipsia dal gennaio all’agosto del 1933 riportandone una grande impressione, pur se, dopo averle esposte ai colleghi di via Panisperna già nel 1932, rifiutò con la testardaggine che lo caratterizzava di mettere le sue idee in forma compiuta e di pubblicarle. Sciascia crede fermamente, anche in considerazione di tutto questo, che Majorana “nella sua scomparsa prefigurasse, avesse coscienza di prefigurare, un mito: il mito del rifiuto della scienza”. Sottinteso: della fisica atomica in modo particolarissimo, ancorché non esclusivo.

 
“Convento o suicidio, dunque? Ogni risposta è un azzardo”, è come costretto ad ammettere Ermanno Rea di Federico Caffè; azzardo che non arriverà invece a riconoscere Sciascia per Ettore Majorana. Fatto si è che lo scrittore napoletano si mette sulle tracce dell’economista pescarese di nascita e romano di vita cercando per conventi, fino ad approdare a Serra San Bruno e, qui giunto, ricordarsi in un lampo di “quel libro di Sciascia che rappresenta un obiettivo punto di riferimento della vicenda  Caffè e nel quale, pur senza farne mai il nome,  si parla ampiamente di Serra San Bruno” come il luogo in cui “lo scienziato atomico Ettore Majorana (…) potrebbe essersi seppellito già stanco del mondo”. Il libro “La scomparsa di Majorana” si chiude in effetti con un ultimo capitolo in cui Sciascia dice di essere entrato in “questa cittadella dei certosini”, che descrive in modo tale da identificare, senz’altro agli occhi di Ermanno Rea, come Serra San Bruno, per seguire una “sottile, inquietante traccia di Ettore Majorana”. “Qualcuno qui, in questo convento, si è forse salvato dal tradire la vita tradendo la cospirazione contro la vita”, dice di lui lo scrittore siciliano seguendo il suo cuore più che non la sua sottigliezza investigativa – tant’è che ha almeno l’avvertenza di inframmettere un “forse” che però non si capisce bene a cosa riferito, se all’incertezza su quello specifico convento come rifugio ultimo di Majorana o a quell’altra più intima e personale incertezza relativa alla salvezza di quest’ultimo per essersi isolato dal mondo. Una sorta di epitaffio di Ettore Majorana a cui Leonardo Sciascia sembra come destinato ad approdare già dall’inizio della sua cronaca.

A Serra San Bruno, in Calabria, viveva una comunità dalle regole “molto severe” che senz’altro si addicevano all’uno come all’altro

Che si conclude in un convento come in un convento, perfino lo stesso, si apre la ricerca di Ermanno Rea sulla solitudine di Federico Caffè. Ettore Majorana era credente, religioso, impaurito dalla fisica che andava disvelando; Federico Caffè laico, di sinistra, teorico di uno stato sociale che stempera le disparità sociali ed economiche e garantisce anche gli ultimi della fila. Un convento per entrambi, meglio se perfino lo stesso, è di gran lunga preferito dai loro più illustri biografi al suicidio, cosicché li si possa immaginare nell’isolamento di “regole molto severe” ad aspettare il commiato da una vita – e un mondo – nella quale più non si riconoscono e della quale avevano maturato una visione scettica e sconsolata. Una conclusione che oltre a dire del fisico e dell’economista, entrambi di riconosciuta grandezza, dice non poco anche di Sciascia e di Rea, grandi scrittori a loro volta.

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Cyberbullismo: impatti psicologici e strategie di prevenzione

La declinazione tecnologica del bullismo, ossia il cosiddetto cyberbullismo, è caratterizzata da tutti gli atti di prevaricazione e di molestia effettuati attraverso media digitali come social network, e-mail, chat, blog, forum, telefoni cellulari, siti e qualunque altra forma di comunicazione riconducibile al web. i giovani “bulli” digitali fanno circolare foto, mail denigratorie che contengono materiale offensivo e potenzialmente destabilizzante per la vittima[1].Indice degli argomenti
Le statistiche sul cyberbullismo: dagli Usa indicatori di valenza globaleIl miglior modo per comprendere un fenomeno e la sua incidenza sull’ambiente è attraverso la rilevazione statistica. Il Cyberbulling Research Center, partendo da questo presupposto, da tempo, con cadenza annuale, sta effettuando diversi studi e inchieste sul cyberbullismo. Le statistiche USA dal 2007 al 2019 sono tra le ultime ricerche effettuate da questo prestigioso Istituto.L’indagine offre un’interessante analisi sul bullismo online. Il motivo di tale rilevanza risiede in una specifica circostanza; gli Stati Uniti possono essere presi come riferimento, circa l’incidenza del cyberbullismo, anche per il resto del mondo. Essi, infatti, sono considerati tra i maggiori fruitori di apparati tecnologici, l’arma dei cyberbulli. Costoro, proprio attraverso gli apparati online, veicolano e fanno viaggiare le vessazioni, i maltrattamenti e le umiliazioni tipiche del cyberbullismo.Incidenza e dati del fenomenoPartendo da questo presupposto, tali statistiche sul cyberbullismo costituiscono un valido indicatore per chi si interessa del bullismo online. Risulta poi di particolare importanza una caratteristica delle ricerche condotte. Esse riferiscono non solo i dati relativi alle vittime del cyberbullismo ma anche le cifre di coloro che lo hanno praticato verso altri soggetti.Il centro di ricerca sul cyberbullismo ha lavorato su tredici progetti. Il range è considerevole, raccoglie infatti i dati dagli studenti delle scuole medie e superiori dal 2007 in poi, esaminando più di 25.000 allievi. In media, circa il 28% degli intervistati ha dichiarato di essere stato vittima di tale fenomeno.Le percentuali di coloro che hanno offeso ricorrendo al cyberbullismo sono differenti, come si evince dagli studi condotti. In media, circa il 16% degli studenti che hanno partecipato al sondaggio, ha ammesso di aver compiuto atti di cyberbullismo verso altri in un certo momento della vita[2].In Europa più di 1 ragazzo su 4 di età compresa tra gli 11 e i 19 anni è vittima del cyberbullismo. In Italia oltre il 24% degli adolescenti subisce minacce e molestie tramite rete, social, blog e forum[3].Caratteristiche distintive del cyberbullismoIl cyberbullismo ha delle caratteristiche particolari, ecco le principali:Anonimato del “bullo”: in realtà colui che esercita cyberbullismo non resta nell’anonimato, in quanto ogni forma di comunicazione elettronica lascia delle tracce, ma il filtro dello schermo spersonalizza la molestia in atto e per la vittima è difficile risalire al molestatore.Indebolimento delle remore morali: agendo sul web (quindi dietro uno schermo) il persecutore può assumere un’altra identità, dire e agire come non farebbe mai nella vita reale.Assenza di limiti spazio – tempo: mentre il bullismo tradizionale ha luoghi e tempi ben precisi (ad esempio la scuola, i gruppi, le comunità ecc.) il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico e quindi potenzialmente potrebbe essere continuo, fiaccandone la resistenza psicologica[4].Le diverse declinazioni del cyberbullismoEcco tutte le diverse declinazioni del fenomeno:Flaming: messaggi on line violenti e volgari che mirano a scuotere battaglie verbali sui social e sui forum;Cyberstalking: molestie e denigrazioni ripetute, persecutorie e minacciose che incutono timore.Cyberbashing o happy slapping: comportamento criminale che ha inizio nella vita reale e prosegue online con caratteristiche diverse; le immagini pubblicate sul web sono potenzialmente visualizzabili da milioni di utenti che possono condividerle e viralizzarle, a volte corroborate da commenti che ne accrescono gli effetti negativi[5].Denigrazione: “sparlare” di qualcuno, danneggiando la sua reputazione per mezzo di e-mail, messaggistica istantanea, blog e forum.Sostituzione della propria personalità: consiste nel cambiare identità (molto spesso inventata e irreale) che invia messaggi e pubblica post offensivi.Inganno: ottenere la fiducia della persona molestata e poi condividere sui social o con altri mezzi elettronici informazioni private.Esclusione: emarginare una persona dal «gruppo on line», attuando una sorta di ghettizzazione e isolamento digitale che si riflette nella vita reale. Nel bullismo tradizionale in genere la vittima e il bullo sono persone che si conoscono, che si frequentano. Hanno avuto almeno qualche contatto relazionale. Nel bullismo digitale invece le persone possono anche essere sconosciute. L’empatia e la solidarietà che sono le basi di una dinamica relazionale si mitigano quando di fronte a noi c’è uno schermo e le reazioni, i sentimenti, i bisogni dell’altro ci sono negati o si confondono, restano ambigui, sfocati o semplicemente ignorati. La “dimensione online” sdogana e concretizza comportamenti e gesti che nella realtà risulterebbero più oculati, pensati, magari evitati[6].Le conseguenze psicologiche del cyberbullismoIl cyberbullismo si differenzia dal bullismo classico, grazie all’immanenza dematerializzata delle tecnologie digitali che catalizza un’amplificazione ormonata e devastante degli effetti del messaggio. Cambia l’ambiente, cambiano le vittime ed il bullo crede di agire protetto da in assoluto anonimato e quindi attualizzare minacce, ingiurie, diffamazione che perdono la percezione e il significato della compresenza, della corporeità percepita e vessata, ma, di contro, acquisiscono un’ipervisibilità, potenzialmente globale, che attiva processi deresponsabilizzanti come “l’effetto spettatore”, in cui, in un folto gruppo di utenti, nessuno interviene per difendere la vittima nella fallace convinzione che se non c’è nessun aiuto in questo senso, molto probabilmente, il proprio intervento non è necessario o, addirittura, non esiste il pericolo stesso. Un fenomeno complesso e articolato che si declina in diverse fattispecie: ad esempio i giuristi anglofoni distinguono il cyberbullying (cyberbullismo), che avviene tra minorenni, e il cyberharassment (“cybermolestia”) che avviene tra adulti o tra un adulto e un minorenne[7].Gli attori del cyberbullismoMa chi sono gli attori del cyberbullismo?il bullo, ragazzo/a che compie l’atto;le vittime, coloro che subiscono;gli osservatori che assistono, in maniera più o meno passiva secondo il cosiddetto “effetto spettatore”, all’atto vessatorio[8].É importante sottolineare che dietro ad ogni episodio di cyberbullismo ci sono, per la maggior parte dei casi, bambini e adolescenti, che assorbono le conseguenze dell’essere vittima, ma anche attori o spettatori, e che dovendosi rapportare, a computer spento, con la vita reale di tutti i giorni, trovano enormi difficoltà nell’accettare sé stessi, integrarsi con il gruppo dei pari e a declinare nella quotidianità le dinamiche relazionali attuate in Rete.Le due ulteriori categorie del cyberbullismoIl cyberbullismo si divide in due ulteriori categorie:e-bullying diretto che consiste nell’uso di Internet per inviare messaggi minacciosi alla vittima;e-bullying indiretto che consiste nel diffondere messaggi dannosi o calunnie sul conto della vittima che ledono la sua reputazione e la sua moralità[9].L’aspetto preoccupante del fenomeno è che i ragazzi che non hanno il coraggio di interpretare il ruolo dei “bulli” nella vita reale, trovano attraverso il computer il modo di immettere, dribblando la coscienza e l’autosanzione morale, la propria quota di violenza in Rete, senza uscire allo scoperto, in assoluto anonimato ma con conseguenze psicologiche del tutto simili al bullismo[10].Attraverso computer, smartphone e tablet, utilizzati soprattutto delle generazioni più giovani, come confermano i dati Istat, è possibile agire nell’anonimato; reiterare la condotta; usufruire di una diffusione immediata, con una cassa di risonanza altissima, dell’azione lesiva; che esclude anche la possibilità di controllo da parte degli insegnanti e/o genitori[11].I bulli, nell’accezione totalizzante del termine, possono presentare un calo nel rendimento scolastico, difficoltà relazionali, disturbi della condotta. L’incapacità di rispettare le regole può portare, nel lungo periodo, a veri e propri comportamenti antisociali e devianti o ad agire comportamenti aggressivi e violenti in famiglia, costituendo il pregresso embrionale di una futura carriera criminale.Per le vittime il rischio è quello di manifestare il disagio innanzitutto attraverso sintomi fisici, ad esempio mal di pancia o mal di testa, oppure segnali psicologici, quali incubi o attacchi d’ansia. Alla lunga, le vittime mostrano una svalutazione di sé e delle proprie capacità, insicurezza, difficoltà relazionali, fino a manifestare, in alcuni casi, veri e propri disturbi psicologici, tra cui ansia, depressione e asocialità.I ruoli degli osservatori nel fenomeno del cyberbullismoGli osservatori[12], infine, vivono in un contesto caratterizzato da difficoltà relazionali che aumenta l’insicurezza, la paura e l’ansia sociale. Il continuo assistere ad episodi di “violenza” può rafforzare una logica di indifferenza e scarsa empatia, portando i ragazzi a negare o sminuire il problema, contestualizzandolo nell’ambito di una sedicente, mendace pseudonormalità.Le tre dimensioni del cyberbullismoNella definizione proposta da Olweus[13] il bullismo e il cyberbullismo risulta caratterizzato da tre dimensioni fondamentali:l’intenzionalità;la persistenza nel tempo;la dimensione del potere esercitato sulla vittima.La situazione italiana e il profilo psicologico del cyberbulloIn Italia il fenomeno è stato definito grazie alla legge 71/17 entrata in vigore il 18 giugno 2017, dopo un iter durato 3 anni. I dati italiani mostrano come l’incidenza del fenomeno nel nostro paese sia in linea con il panorama internazionale.  Elementi da osservare: cambi di umore improvvisi, disturbi emotivi, problemi di salute fisica, dolori addominali, disturbi del sonno, nervosismo e ansia[14]. Nei casi più disperati l’epilogo di tale processo può essere il suicidio, come diretta conseguenza dell’idea intrusivo-ossessiva, percepita e fattuale, di non poter gestire, arginare ed eliminare vessazioni e violenze che inficiano la qualità dell’esistenza antropica. In questo senso i dati sono significativi: Il 31% dei tredicenni, percentuale che sale al 35% quando si tratta di ragazze, dichiara di aver subito una o più volte atti di cyberbullismo. Il 56%, poi, dichiara di avere un amico che è stato vittima di attacchi online. Sui social network, la percentuale dei protagonisti degli episodi sale dal 31 al 45%[15].Il profilo psicologico del cyberbullo Il profilo psicologico del cyberbullo evidenzia una mania del controllo, un tentativo di imporsi, attraverso il quale egli tenta di mettersi in mostra: è un incompetente sociale, non conosce le regole di una normale socialità e si palesa, in molti casi, come un analfabeta emotivo: è una persona immatura dal punto di vista affettivo, che presenta un’incapacità di gestione delle emozioni come il senso di colpa o la vergogna, sia provata che indotta[16].Nei criteri di elezione della vittima infatti, la diversità, nelle sue varie declinazioni, gioca un ruolo centrale. In genere compie azioni di prepotenza per ottenere popolarità all’interno di un gruppo, per divertimento, autogratificazione o semplicemente per noia.Strategie di prevenzione e intervento contro il cyberbullismoÈ fondamentale che le agenzie di socializzazione, famiglia, scuola ma anche la Rete, aiutino i ragazzi a sviluppare una consapevolezza sul fenomeno del bullismo e del cyberbullismo e a non sottovalutare gli effetti negativi che ne conseguono. Gli adulti sono chiamati a educare, più che a istruire: potenziando le abilità sociali con particolare attenzione alla consapevolezza emotiva e all’empatia. Un’attenzione particolare va data all’alfabetizzazione emozionale: è importante far lavorare in gruppi per aiutare il confronto, la capacità di problem solving relazionale e la cooperazione[17].Le vite online e il potere percepito da dietro uno schermoGli episodi di bullismo, come spiegato, non riguardano più solo la vita reale, contestualizzata nelle sue dinamiche relazionali. Sempre più spesso i soprusi accadono anche nello spazio virtuale dei media digitali usati per diffondere messaggi, immagini o filmati diffamatori. Le vite online influenzano direttamente i comportamenti, agiti e subiti, nella realtà. Attraverso lo schermo il cyberbullo si pone come attore egemone in un evidente squilibrio di forze: sente di avere potere, perché protetto da un anonimato percepito e illusorio, perseguita la sua vittima prevaricandola, vessandola e isolandola in un clima di ricatto reiterato e meschino. Tale potere si rafforza in modo progressivo, perché la persecuzione si diffonde nella Rete in modo invasivo, obbedendo a logiche piramidali tipiche dei paradigmi di quantità su cui si basa il web e quindi può raggiungere una platea potenzialmente illimitata di visualizzatori[18].Tale dinamica rende difficoltoso individuare luoghi e tempi in cui il cyberbullismo si attualizza, secondo una logica multitiming e multiplacing, con la conseguenza che il fenomeno appare meno riconoscibile e, quindi contrastabile, sia per gli organi competenti sia per le famiglie delle vittime. Un primo discriminante tra bullismo tradizionale e cyberbullismo risiede nel rapporto che lega vittima e bullo: Nel primo cado si conoscono ed è plausibile che abbiano avuto almeno qualche contatto relazionale. Nel bullismo digitale invece gli attori del fenomeno possono anche non conoscersi. L’empatia, il sentimento sociale fondamentale per essere soggetti socialmente attivi, si neutralizza davanti alla luce di uno schermo e le reazioni, i sentimenti, i bisogni dell’altro vengono negato, si mitigano, si confondono, restano ambigui e sfocati e il soggetto che bullizza si deresponsabilizza e distorce, edulcorandola, la propria visione della realtà.Scuola, famiglia, istituzioni: serve consapevolezzaLa “dimensione online” sdogana e esteriorizza comportamenti e gesti che nella realtà risulterebbero più oculati, pensati e magari evitati. Per contrastare tali criticità è fondamentale riattivare e aggiornare le old agency di socializzazione come la scuola e la famiglia, istituzioni prodromiche di qualunque forma di aiuto verso i soggetti coinvolti, con la finalità di sviluppare una consapevolezza critica sul fenomeno stesso, di non sottovalutare gli effetti negativi, pericolosi e potenzialmente letali che ne conseguono. Famiglia e scuola sono spesso disorientate di fronte al cyberbullismo, alle sue fattispecie e alle conseguenti evoluzioni, tuttavia, rimangono i postulati educativi a cui spetta la missione di potenziare le abilità sociali degli individui, in sinergia con la socializzazione spesso autoguidata nel web, con particolare attenzione alla consapevolezza identitaria, alla crescita emotivo-cognitiva e all’empatia[19].Nelle azioni persecutorie online è infatti la dimensione della socialità quella che viene colpita. Le vittime frequentemente sviluppano un’autostima bassa, depressione, ansia, paure, problemi di rendimento scolastico e interrompono, in molti casi, la frequentazione della scuola o del gruppo di pari e di qualunque forma di socialità, percepita come uno scenario di azione e relazione potenzialmente pericoloso[20].ConclusioniL’era internettiana degli smartphone, dei social network e dei forum digitali, ha dato ulteriori armi in mano ai bulli, pronti a intuire le risorse della rete, come un luogo virtuale, ma concreto, dove compiere atti violenti. Per gli adolescenti delle società tecnologicamente avanzate, Internet rappresenta infatti un contesto di esperienze e socializzazione irrinunciabile. Tuttavia, le nuove tecnologie nascondono lati oscuri, come ad esempio l’uso distorto e improprio che ne viene fatto per colpire intenzionalmente persone indifese e arrecare danno alla loro reputazione, facilitato dall’anonimato e dalla potenziale diffusione planetaria delle offese.Bibliografia1. Bauman Z., Modernità liquida, Roma, Laterza 2006.2. Bilotto A, Ghiretti G., Internet babylon, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Mernet Babylon. Cyberbullismo e dipendenza on-line, Lupetti, Milano 2021.3. De Kerchkove D., L’intelligenza connettiva. L’avvento della Web Society, Roma, Aurelio De Laurentiis multimedia 2019.4. Jenkins H., Convergence Culture. Where Old and New Media Collide, New York University Press, New York 2006.5. Lévy P., 2002, L’intelligenza collettiva. Per Un’Antropologia Del Cyberspazio, Milano, Feltrinelli.6. Menesini E., Nocentini A., Palladino E., Prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo, Il Mulino Bologna 2017.7. Olweus D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Milano 2007.8. Pennetta A.L., Zilotto G., Bullismo, cyberbullismo e nuove forme di devianza, Gappicchelli, Torino 2019.9. Scaringella A., Comunicare sulla rete. Complementi di informatica per scienze della comunicazione, Universitalia, Roma 2016.10. Tonioni F., Cyberbullismo, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Milano 2014.[1] Pennetta A.L., Zilotto G., Bullismo, cyberbullismo e nuove forme di devianza, Gappicchelli, Torino 2019.[2] Dati consultabili sul sito Cyberbullying Research Center: https://cyberbullying.org[3] Ministero della salute, Bullismo e cyberbullismo, 2023 consultabile su www.salute.gov.it[4] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[5] Bilotto A, Ghiretti G., Internet Babylon. Cyberbullismo e dipendenza on-line, Lupetti, Milano 2021.[6] Bilotto A, Ghiretti G., op. cit.[7] Menesini E., Nocentini A., Palladino E., ibidem.[8] Bilotto A, Ghiretti G., op. cit.[9] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[10] Bilotto A, Ghiretti G., Internet babylon, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Mernet Babylon. Cyberbullismo e dipendenza on-line, Lupetti, Milano 2021.[11] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[12] Olweus D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Milano 2007.[13] Olweus D., ibidem.[14] Pennetta A.L., Zilotto, op. cit.[15] Ministero della salute, Bullismo e cyberbullismo, 2023 consultabile su www.salute.gov.it[16] Tonioni F., Cyberbullismo, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Milano 2014[17] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[18] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[19] Tonioni F., Cyberbullismo, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Milano 2014.[20] Menesini E., Nocentini A., Palladino E., Prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo, Il Mulino Bologna 2017.

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