Walter Siti annusa un clima da anni 70 e forse si farà scrittore militante

L’autore di “I figli sono finiti” (Rizzoli) preoccupato per una deriva autoritaria in Italia. Ma non c’entrano fascismo e censura. “La logica della guerra sta penetrando nella nostra società, rischiamo di perdere la libertà di espressione”, dice. “Potrei arrivare a uno sciopero della fame”

Mentre parliamo del suo ultimo romanzo – I figli sono finiti (Rizzoli) – Walter Siti confessa di provare un sentimento che lo spaventa. “Ho paura che la destra di Giorgia Meloni mi costringa a diventare ciò che ho sempre rifiutato e detestato essere, ossia uno scrittore militante, uno di quelli che si schierano nella lotta, per difendere il bene contro il male”. E stupisce che a dire queste cose sia lo stesso autore che, nella primavera del 2021, pubblicò un pamphlet dal titolo inequivocabile, Contro l’impegno, un libro critico con tutti gli scrittori che sentono il dovere di lanciare messaggi, promuovere appelli politici, campagne di resistenza civile, anziché dedicarsi alla letteratura come forma di conoscenza di verità a volte sgradevoli anche per chi le scrive. Come può uno scrittore del genere trasformarsi in un Roberto Saviano? “Se certe cose accadessero, se cioè alcune libertà venissero limitate, anche io – tradendo me stesso – sarei costretto a intervenire”.

 
Il discorso di Siti è da seguire perché non si sviluppa seguendo il copione consueto dell’allarme fascismo. La svolta illiberale? “Non credo sia in atto nel nostro paese, anzi credo che il sistema italiano abbia ancora tutti gli anticorpi necessari”. L’ansia dell’egemonia della destra? “Mi sembra più una goffaggine che un indice di pericolosità”. La censura di Scurati? “E’ stato un gesto controproducente per i suoi autori, dato che in seguito tutti hanno letto il monologo che voleva essere oscurato”. La questione, dunque, per Siti è più sottile. “Ho paura che la logica della guerra che abbiamo alle porte dell’Europa e di là del Mediterraneo stia penetrando lentamente nella nostra società, spingendo il dibattito pubblico sempre più verso la logica del bianco e nero, dell’amico-nemico”. Mercoledì in Slovacchia un uomo ha sparato al primo ministro. Periodicamente, manifestazioni di piazza finiscono con tafferugli con la polizia. Le contrapposizioni, anche nel nostro dibattito pubblico, tendono sempre più ad esasperarsi. “Sa, io c’ero negli anni Settanta, e annuso un’aria che me li ricorda”.

   
Fedele all’idea che la letteratura stia “nell’interrogare il torto di chi ha ragione, e le ragioni di chi ha torto”, il timore di Siti è che lo spazio per questo esercizio di verità si stia pericolosamente restringendo. “Temo che la logica della guerra si sposti da una dimensione ancora simbolica, com’è la discussione pubblica, a una dimensione fisica, come può essere la piazza. E temo la risposta repressiva che il governo potrebbe dare al dissenso in un contesto così esasperato. Risposta che non farebbe altro che alimentare ancor di più le piazze. E di conseguenza portare a una repressione ancora più forte. In una spirale che eliminerebbe sempre più i punti di vista problematici, trascinando tutti verso posizioni estreme, da una parte e dall’altra, noi contro loro”.

   
Ciò che racconta nel suo ultimo romanzo, Siti, è l’incontro tra un settantenne impregnato di cultura umanistica e un giovane che ambisce al post-umano, diventare quanto più possibile simile a una macchina, libero dai sentimenti. “Oltre al disordine geopolitico, noi viviamo immersi in un caos tecnologico, bombardati continuamente da informazioni, in alcuni casi anche false, viviamo travolti da emozioni estemporanee. In una tale condizione di instabilità – sia geopolitica, sia di psiche collettiva – è chiaro che avere uno che comanda può essere liberatorio. Ecco il sentimento che percepisco. La voglia del capo. Il desiderio del comando. L’attesa di qualcuno che faccia ordine. E metta finalmente le cose a posto”. 

  
La riforma costituzionale del premierato potrebbe favorire questo scenario? “Un po’ lo temo”. Cioè? “Temo che Meloni trasformi il referendum in un voto su di sé”. A Renzi non portò bene. “Lei però potrebbe vincerlo, perché il contesto è del tutto diverso, oggi. E a quel punto, forte del consenso popolare, potrebbe essere proprio la sua destra a interpretare questo bisogno di ordine che c’è, scivolando progressivamente verso metodi di governo sempre più autoritari, fino a restringere alcune libertà essenziali, come la libertà d’espressione”. E se così fosse, lei cosa farebbe? “Non ho mai avuto coraggio fisico di andare in piazza e fare a botte. Il massimo che riuscirei a fare, credo, è una protesta non violenta, per esempio lo sciopero della fame. Lasciarmi morire, ecco”. Addirittura? “Be’, di fronte a una cosa del genere, cos’altro potrei fare?”.  Fa impressione sentirle dire queste cose, Siti. “Infatti, la prego: non mi faccia passare per  un coglione”.

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