La disfida del tax credit nel cinema. Sánchez lo aumenta, qui si annunciano tagli

Il governo spagnolo crede che il cinema sia un settore chiave per lo sviluppo del paese e ha potenziato la tax credit per diventare “l’hub europeo dell’audiovisivo”. In Italia il ministro Sangiuliano ha ragionato in altra direzione. Per razionalizzare, si è detto

“Esplosione”, “boom”, “industria strategica”: sono concetti che in Spagna, la Spagna governata dal socialista Pedro Sánchez, vengono associati al cinema e in generale al settore audiovisivo, considerato settore chiave per lo sviluppo del paese. Motivo per cui il governo spagnolo – lungi dal ridimensionare il sistema del tax credit (come sta avvenendo in Italia su impulso del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con grande allarme di produttori, distributori e autori), ha potenziato gli interventi, per fare della Spagna, come ha scritto Hollywood Reporter, “l’hub europeo dell’audiovisivo”, con tanto di collaborazione tra ministeri per interventi organici e con un piano quinquennale (2021-2025) a sostegno. Il tutto per attrarre investimenti stranieri, per facilitare l’arrivo di case di produzione, per fornire efficienti strumenti fiscali e finanziari, e scoprire e coltivare talenti. I politici, ha detto Peter Welter, produttore in Spagna, “hanno finalmente capito come funziona il settore” e conoscono “il valore di ritorno degli incentivi fiscali”, cosa che fa ben sperare per il futuro, anche nell’eventualità di un cambio di governo, tanto più che la Spagna offre importanti sgravi (fino al 30 per cento, e ben oltre il 40 per produzioni che scelgano come set le Canarie e nei Paesi Baschi). Intanto anche la Gran Bretagna governata dal conservatore Rishi Sunak, a inizio aprile, ha deciso di aumentare il tax credit per la produzione audiovisiva del 5 per cento, portandolo quasi al 40. E negli Stati Uniti, in  California, e anni prima nella Louisiana del dopo uragano Katrina e nella regione di Detroit colpita dalla crisi dell’auto, si è deciso di puntare sull’attrattività fiscale nel settore audiovisivo, con gran ritorno sull’indotto, dal turismo in giù. In Italia il Mic ha ragionato in altra direzione. Per razionalizzare, si è detto.

In pratica, però, l’incertezza dell’ultimo anno, tra un annuncio e l’altro sulla modifica del tax credit per com’era previsto dalla Legge Franceschini, modifica prima ventilata poi messa in cantiere, ha in qualche modo già colpito, e non positivamente, tanto che qualche grande produzione ha già preferito spostarsi in altri paesi. Il rischio, insomma, è di disincentivare gli investimenti in un settore che, dopo il Covid, sta volando alto, anche se l’idea era quella di evitare di finanziare film che nessuno vede, si diceva al Mic. Ma il punto, dicono produttori, autori e distributori all’unisono, è che si colpisce l’industria dell’audiovisivo nel suo complesso. Togliendo “l’automatismo”, il risultato probabile e paradossale è di ritrovarsi magari in futuro in sala proprio i film meno competitivi, anche se prodotti in nome di una identità italiana da valorizzare. E insomma, si parla intanto di 130 milioni di euro di taglio al tax credit, con riduzione dei contribuiti automatici (variazione percentuale nel ’23-’24: meno 47 per cento), aumento dei contributi selettivi e aumento dei fondi per i progetti speciali (su cui deciderà di fatto il ministero). Una sorta di rivoluzione dal profilo involutivo, secondo gli addetti che, al festival di Cannes, hanno  parlato di un “caso Italia”. In commissione Cultura della Camera, intanto, i deputati dem Matteo Orfini, Nicola Zingaretti, Irene Manzi e Mauro Berruto, definendo il decreto di riparto del fondo cinema  “devastante”, hanno presentato una risoluzione che impegna il governo, tra le altre cose, “ad adottare iniziative volte a incrementare l’entità dei finanziamenti destinati al settore” e “ad adottare iniziative per potenziare il fondo per il tax credit per il cinema”.
 

Il ritorno dei contributi selettivi, si legge nella risoluzione, è un “grave passo indietro che avrà effetti negativi sia economici che occupazionali”, con “commissioni nominate dalla politica senza criteri che dovranno decidere sulle scelte dei produttori e degli autori e promuovere opere che esaltino l’italianità”. Altro paradosso in potenza: potrebbe non esserci la fila di esperti di valore, per entrare nelle future commissioni, visto il rischio di conflitto di interessi. Sia come sia, il nuovo tax credit, via decreto interministeriale, è quasi pronto per il lancio (dopo il passaggio al Mef, e con l’estate, spera la sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni)

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  • Marianna Rizzini

  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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