I volti e i luoghi del viaggio-reportage di Stephan Orth nella Russia nascosta
“La Russia dietro le porte chiuse” (Keller editore) è il libro del giornalista e viaggiatore che racconta il suo viaggio dalla Cecenia alla Siberia. Un vero e proprio reportage di umanità che brilla per il calore che lo attraversa: “Anche la geografia è un punto di vista”
“Uno stupido in viaggio è meglio di un saggio che resta a casa”. Ne siamo così sicuri? Il giornalista e viaggiatore Stephan Orth lo è. Noi, però, cominciamo dalle dolenti note. La prima: una paragrafetto su Putin che va capito “perché non c’è nulla di male a capire”, più altri a seguire, un poco inclinati (va detto che anche la domanda che Orth si fa a un certo punto circa il livello di nefandezza della politica estera degli Usa rispetto a quella della Russia suggerendo che lo sia perfino di più – domanda formulata pre invasione Ucraina – non è invecchiata benissimo). La seconda: un certo zucchero a velo di bellezza morale autocertificata quando l’autore canta il ritornello della serie: “I miei viaggi sono esperienze e non bieca consumazione turistica, in questo mondo che tutto consuma”. Oppure quando vanta le purezze del cercatore, le facili ergonomie rifiutate in nome delle ruvidità impagabili dell’esperienza, eccetera. Insomma, due note che rischiavano, da sole, di chiuderci fuori dalla porta di questo “La Russia dietro le porte chiuse” (Keller editore, pp. 298, euro 18,50). E sarebbe stato un peccato, oltre che un calembour. Perché il libro merita.
Di cosa parliamo quando parliamo di Stephan Orth? Di couchsurfing. Cioè di divani. Che sono come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita. Pratica brada e divertente per cui servono nervi saldi e curiosità di esplorare il mondo e l’umanità, si articola in tre mosse: registrazione via web, inserimento località da visitare, scelta di chi può offrire ospitalità. Le ospitalità sono di vario segno, si va dai materassini sgonfi in corridoio alla stanza singola con letto king size e terrazza che affaccia sul mare. Per questo libro, Orth ha viaggiato dieci settimane facendosi ospitare da ventiquattro persone, ha percorso ventimila chilometri e incontrato chiunque.
Gli scenari cambiano: si va dalla Cecenia, invitati a cerimonie in cui tutti sembrano felici di sparare in aria attraversando una Groznyj in cui scorrazzano le Hyundai Land Cruiser con la targa KRA (sì, le iniziali di Ramzan Kadyrov) e le cui ferite di guerra sono state brutalmente cancellate da architetture alla “Truman Show”; e poi si approda in Daghestan, tra sale da ballo di infimo squallore nella capitale e Shukty, villaggio mai finito e “regalato” da un oligarca alla popolazione – “la situazione con l’Ucraina è critica, questo per noi è un bene, non siamo più il nemico principale”, butta lì Renat, trentasettenne neopatentato e detentore di una Lada Granta che dice più di venti editoriali. E ammaliati da tramonti dietro le centrali elettriche e da figure memorabili come l’evangelista Vadim, apprendendo piccole curiosità che sono grandi epifanie – chi sorride in Russia è guardato con sospetto, per cui pare che la faccina che sorride si indichi con un ) e non con 🙂 – tra neozelandesi in viaggio che dal vangelo secondo Russia Today traggono ispirazione per blaterare di fitoestrogeni nella salsa di soia che “femminilizzano il mondo”, attraversando mercati di storioni pescati illegalmente da uomini truci che non lo sono per niente, vagando lungo le pianure dell’Altaj tra i cammelli selvatici con l’effervescente Nadja che conosce tutti i baristi di Novosibirsk, ecco, si vorrebbe che questo viaggio non finisse. Giusto per restare ancora un po’ in compagnia di Irina che ha lasciato San Pietroburgo per dipingere tavolette di legno a Ust’-Koksa, per viaggiare su treni sgangherati che percorrono 250 chilometri verso nord in nove ore e mezza, e per perdere un po’ di tempo con Minna, studentessa malinconica e finlandese che scrive una tesi sul ruolo della fede nelle comunità isolate – “un anno qui è come dieci nel mondo”, e qui èCheremshanka, Siberia.
Il libro di Orth è un vero reportage di umanità e brilla per il calore che lo attraversa. Foto mossa che trasmette grande gioia narrativa e una carica vitale che fa venir voglia di valigie, non rinuncia all’ironia, enumerando una serie di verità spicciole raccolte per strada. Quella che le contiene tutte? “Questa è la Russia!”. Lo dice chiunque, quando accade qualcosa di illogico. Che accade sempre. Contrattempi compresi. Ma del resto “anche la geografia è un punto di vista”.
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