“The Seed of the Sacred Fig”, l’Iran più oscuro nel film di Mohammad Rasoulof
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Il cinema impegnato chiude il Festival di Cannes: in attesa della cerimonia di premiazione (tra i favoriti ci sono “Emilia Perez” di Jacques Audiard e “Anora” di Sean Baker), tra gli ultimi film presentati in concorso c’è anche l’attesissimo “The Seed of the Sacred Fig” di Mohammad Rasoulof.
Fuggito dall’Iran in seguito alla condanna a otto anni per “collusione contro la sicurezza nazionale”, Rasoulof è uno dei nomi più importanti di una cinematografia sempre più fondamentale, in cui sono moltissimi gli artisti e le artiste che lottano per protestare contro il regime e che usano il cinema come un’arma a tutti gli effetti: il caso più eclatante è quello del grande Jafar Panahi, ma i nomi che sono costretti a girare film clandestinamente sono moltissimi, pronti a mettere anche a rischio la propria libertà.
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Reduce dall’Orso d’oro vinto al Festival di Berlino nel 2020 con “Il male non esiste”, Rasoulof è arrivato a Cannes – già di per sé questa è una grande notizia – per presentare la sua nuova pellicola che vede al centro Iman, un funzionario governativo in preda alla paranoia mentre a Teheran impazzano i disordini politici. Quando la sua pistola sparisce, sospetta della moglie e delle figlie, imponendo delle misure rigidissime che metteranno a dura prova i legami famigliari.
È un film durissimo e brutale “The Seed of the Sacred Fig”, un thriller estremamente inquietante che raggiunge l’apice quando Iman crea una sorta di prigione domestica dove tenere la moglie e le figlie.
Utilizzando moltissimo anche le riprese fatte coi cellulari, Rasoulof ragiona sul sistema mediatico iraniano, su ciò che dice la televisione e sull’enorme diversità con quello che i cittadini si trovano sotto i loro occhi.
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