Osservata «Jades-GS-Z14-0», la galassia più vicina al momento del Big Bang

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I record sono fatti per essere battuti, qualcuno li stabilisce e poi tutti e tutte cercano di abbatterli e migliorarli. Accade non solo nell’atletica, per esempio, ma anche nella scienza, dove migliorare un record significa portare un poco più avanti il limite della conoscenza.
È quello che è riuscito ad un gruppo di astrofisici di vari Paesi guidati dall’italiano Stefano Carniani e riuniti in una collaborazione, di nome Jades, che ha lavorato duramente con lo splendido telescopio spaziale JWST, l’occhio dell’umanità sull’alba dell’universo, che opera da un paio di anni e continua a stupirci con le sue scoperte.

L’ultima è appunto quella di Jades-GS-Z14-0 la galassia più lontana mai osservata che sta a soli 300 milioni di anni dal momento del Big Bang, un’osservazione record, per chi mastica un po’ di astrofisica è caduto il muro del redshift 14, lo spostamento verso il rosso della luce dovuto alla enorme distanza e all’espansione accelerata dell’universo. Per cercare di capire bene vediamo il valore della distanza da un altro punto di vista: se, come dicono gli scienziati, l’universo ha 13.8 miliardi di anni allora questo battutolo rosso molto luminoso sta a solo il 2% della sua età. Come ha raccontato a vari media Carniani, ricercatore alla Scuola Normale Superiore di Pisa, all’inizio delle osservazioni il gruppo Jades aveva selezionato ben 650 galassie da studiare, tutte molto vicine al momento del Big Bang, anche se dobbiamo sempre ragionare in termini astrofisici e quindi parliamo centinaia di milioni di anni. Certamente la questione distanza è il dato che fa notizia, giustamente, a quel livello passare dai 325 milioni di anni del record precedente ai poco meno di 300 richiede uno sforzo impressionante di anni, pur tuttavia il punto importante è anche un altro: le dimensioni e la luminosità della galassia stessa, che mandano in soffitta le previsioni più accurate che erano state fatte.

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Quella galassia insomma avrebbe dovuto essere più piccola e più debole, e invece eccola là a porci delle domande. Un ottimo risultato. La galassia Jades-GS-Z14—0 è stata subito notata ma sollevava qualche perplessità: sembrava troppo luminosa per la sua età, diciamo così, ed è vicina a un’altra galassia, molto più prossima alla Terra che, per effetto di prospettiva, sembrava in parte coprirla. C’è voluto un altro “run” di osservazioni, un altro turno di utilizzo del potente telescopio spaziale di 6.5 metri di apertura che vede nell’infrarosso, per confermare la scoperta. Si scopre che la galassia ha un diametro di oltre 1.600 anni luce, e che la sua luce proviene principalmente da stelle giovani e non dall’emissione vicino a un buco nero super massiccio in crescita. La maggior parte delle galassie molto luminose infatti genera la sua energia, che poi diffonde come onde elettromagnetiche, da quel che succede ai bordi di un grande buco nero centrale a tutta la galassia, come la nostra via Lattea. L’analisi di quella luce porta a pensare che la galassia appena scoperta in questione sia composta da stelle con una massa totale diverse centinaia di milioni di volte quella del Sole. Qui nasce una domanda chiave: come è potuto succedere che si sia formata una galassia così luminosa, massiccia e grande in meno di 300 milioni di anni e che si sia anche evoluta parecchio, dato che si trovano tracce anche di Ossigeno, un elemento che ci mette un po’ di tempo per formarsi dall’idrogeno iniziale con la fusione nucleare. . Non lo sappiamo, pare, ed è il vero punto da cui ripartire, ma bisogna intendersi, è un fatto positivo perché permette di affinare la conoscenza e fare ipotesi più precise per capire l’origine e lo sviluppo dell’Universo, in cui a un certo punto siamo apparsi pure noi, pianeta Terra. Per il momento quindi il record c’è, ma la galassia appena scoperta potrebbe, secondo i ricercatori, cederlo presto a una sua parente ancora più lontana, dato che gli strumenti del telescopio spaziali non sono ancora ai limiti.

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Scoperta la galassia più antica, nata subito dopo il Big Bang

Le lancette dell’orologio cosmico che misura la nascita delle prime galassie vanno spostate ancora più indietro. È stata infatti scoperta la galassia finora più antica, nata subito a ridosso del Big Bang, l’origine dell’Universo. Grazie ai dati forniti dal telescopio spaziale James Webb Space Telescopy (Jwsst), un team internazionale che coinvolge la Scuola Normale Superiore di Pisa, l’Università dell’Arizona, l’Università di Cambridge, Harvard & Smithsonian University e altri 20 istituti e Università internazionali, ha misurato con precisione la distanza tra noi e questo agglomerato di stelle, il più lontano finora conosciuto, a oltre 13.4 miliardi di anni luce.

Non solo: l’esperimento dimostra che quando l’Universo aveva ‘solo’ 300 milioni di anni di vita, il 2% della sua età attuale, esistevano sistemi di stelle del tutto sviluppati, molto più velocemente di quanto previsto dai modelli. Una scoperta che si contrappone alle previsioni dell’ultimo decennio, che ritenevano grandezza, luminosità e ricchezza di stelle nelle galassie possibili solo in fasi successive.Lo studio, pubblicato sulla piattaforma di studi di fisica e astronomia ArXiv e a cui ha collaborato la Nasa, è guidato dal ricercatore Stefano Carniani del gruppo di Cosmologia e Astrofisica della Scuola Normale di Pisa, e ha visto partecipare anche la dottoranda Eleonora Parlanti e l’assegnista di ricerca Giacomo Venturi.La galassia, ‘battezzata’ JADES-GS-z14-0 (il programma di ricerca si chiama infatti Jwst Advanced Deep Extragalactic Survey) era presente nella fase di vita dell’Universo denominata dagli astrofisici ‘alba cosmica’, caratterizzata dalla formazione dei primi sistemi di stelle e conseguente generazione dei primi fotoni, gas e buchi neri. E a quest’altezza temporale le proprietà intrinseche della galassia sono sorprendenti. Ad esempio, JADES-GS-z14-0 è molto luminosa e ha già formato circa un miliardo di stelle simili al nostro Sole. Finora simulazioni teoriche ipotizzavano che l’alba cosmica fosse popolata solo da galassie piccole e poco luminose.”Le immagini ottenute con il telescopio Webb ci mostrano una istantanea dell’Universo miliardi di anni fa – spiega Carniani -. Come il rombo del tuono arriva al nostro orecchio con alcuni secondi di ritardo rispetto a quando osserviamo la scarica del fulmine, lo stesso accade con la luce proveniente da galassie lontane, che ci restituisce un’immagine del passato. In questa ottica, JADES-GS-z14-0 rappresenta la prova tangibile che nell’Universo primordiale esistevano galassie luminose già pienamente sviluppate. Un fatto straordinario, e allo stesso tempo misterioso, pensare che raggruppamenti di stelle così grandi fossero già presenti appena 300 milioni di anni dopo il Big Bang”.A livello comparativo l’analisi dei dati – ottenuti grazie allo spettrografo NIRSpec a bordo del Webb – ha rivelato che, pur avendo una dimensione oltre 10 volte più piccola di quella della nostra galassia, la Via Lattea, JADES-GS-z14-0 sta formando nuove stelle ad un tasso 20 volte superiore. Inoltre la luce emessa non è dovuta ad un buco nero massiccio in crescita come alcuni modelli teorici ipotizzavano, ma ai fotoni che provengono dalle nuove stelle, che si stanno formando ogni anno.”I nuovi dati acquisiti tramite Webb – conclude Carniani – continuano a confermare che l’Universo primordiale era già ben sviluppato con formazioni di stelle simili a quelle più recenti. Il passo ulteriore è di spingerci ancora oltre, andando ad osservare l’Universo nelle fasi ancora più vicine al Big Bang. Nel frattempo dovremmo iniziare a lavorare allo sviluppo di nuove teorie che riescano a spiegare la formazione e l’evoluzione di questi sistemi all’alba del cosmo”.

James Webb ha visto la galassia più antica

Quella che per gli astronomi e per il telescopio spaziale Hubble era poco più di un puntino di luce si è rivelata una delle galassie più antiche, se non la più antica mai scoperta e frutto della fusione di galassie ancora più vecchie. A raccontarci tutto ciò è il telescopio spaziale James Webb. La collaborazione internazionale di un progetto chiamato Glass del James Webb Space Telescope ha effettuato osservazioni dettagliate della galassia soprannominata Gz9p3, che si vede come era appena 510 milioni di anni dopo il Big Bang.

Miliardi di stelle. Una galassia dunque, dell’Universo ancora infante, visto che ora ha 13,8 miliardi di anni. Il gruppo di lavoro ha scoperto che, proprio come molte altre galassie primordiali osservate dal JWST, Gz9p3 è molto più massiccia e matura di quanto ci si aspetterebbe per una galassia dell’Universo da poco nato. In quella galassia infatti, sono già presenti miliardi di stelle, mentre invece ci si attenderebbe la presenza di solo qualche centinaia di milioni di astri.

Gz9p3, la galassia in fusione più brillante conosciuta nei primi 500 milioni di anni dell’Universo (osservata tramite JWST) A sinistra: la fotografia mostra un nucleo a “doppio nucleo” all’interno della regione centrale, indice della fusione di due galassie. A destra: i contorni del profilo di luce rivelano una struttura allungata e grumosa prodotta dalla fusione delle galassie. Dietro di essa la presenza di materiale fuoriuscito dallo scontro, che sembrerebbe ancora in atto.

Frutto di uno scontro primordiale. Gz9p3 accresce il mistero dell’Universo primordiale in quanto non solo è più massiccia del previsto, ma è circa 10 volte più massiccia di altre galassie osservate dal JWST in epoche simili della storia dell’Universo. Spiega Kit Boyett, membro del gruppo di ricerca e dell’Università di Melbourne, per la pubblicazione Pursuit dell’Istituto: «Solo un paio di anni fa, Gz9p3 appariva come un singolo punto di luce attraverso il telescopio spaziale Hubble, ma ora utilizzando il JWST abbiamo potuto osservare questo oggetto con un certo dettaglio com’era 510 milioni di anni dopo il Big Bang, circa 13 miliardi di anni fa. Gz9p3 è semplicemente straordinaria. Oltre alle dimensioni e alla maturità, anche la sua forma rivela indizi sulla sua creazione».
Gli astronomi hanno potuto determinare che Gz9p3 ha una forma complessa con due macchie luminose che rivelano due nuclei densi. Ciò indica che Gz9p3 è stato probabilmente creato quando due galassie primordiali si sono scontrate nell’Universo neonato. Questa collisione poteva essere ancora in corso nel periodo in cui gli astronomi hanno studiato Gz9p3 con il JWST.

Più stelle del previsto. «L’immagine JWST della galassia – spiega Boyett – mostra una morfologia tipicamente associata a due galassie interagenti. E la fusione non è terminata, perché vediamo ancora due componenti. Quando due oggetti massicci si uniscono in questo modo, di fatto nel processo eliminano parte della materia che apparteneva a ciascuna di esse.

E tutto ciò lo si può osservare nelle immagini del Webb».

Oltre a determinare l’età, la massa e la forma di questa antica galassia, Boyett e colleghi sono riusciti a sondare più in profondità Gz9p3, per esaminare la popolazione stellare di queste galassie in collisione. Poiché le stelle giovani sono più luminose delle loro controparti più vecchie, di solito dominano le immagini delle galassie. «Per esempio – dice Boyett – una popolazione giovane e brillante, nata dalla fusione delle galassie, che ha meno di qualche milione di anni, supera per luminosità una popolazione più anziana che ha già più di 100 milioni di anni».

I metalli delle stelle. Utilizzando la spettroscopia (il meccanismo in grado di determinare la composizione delle stelle) gli astronomi sono riusciti a separare le due categorie in questa galassia primordiale. Le stelle più vecchie sono più ricche di “metalli”, in quanto hanno già fuso tutto l’idrogeno in esse contenuto, il quale si è trasformato in elio che a sua volta, fondendo, ha dato origine ai metalli che si osservano. Ciò significa che le stelle più vecchie sono più ricche di metalli rispetto alle stelle più giovani, che sono ancora dominate dall’idrogeno e da una certa quantità di elio. Da questo studio gli astronomi hanno scoperto che la popolazione di vecchie stelle in Gz9p3 era molto più grande di quanto si sospettasse in precedenza.

Mentre gli astronomi erano consapevoli di questo ciclo di vita e morte stellare e del crescente arricchimento di metalli delle successive generazioni di stelle, le osservazioni di Gz9p3 indicano che le galassie potrebbero essere diventate “chimicamente mature” più velocemente di quanto si sospettasse in precedenza. In altre parole, le due galassie si sono arricchite di stelle molto velocemente e ciò, molto probabilmente, è legato proprio alla loro fusione. Quando le galassie si scontrano, infatti, possono accelerare la formazione delle stelle non solo in numero, ma anche nella velocità con la quale nascono, si accrescono e muoiono.

Anche la nostra Galassia. La maggior parte delle grandi galassie dell’Universo sono cresciute in questo modo; la nostra galassia, la Via Lattea, mostra essa stessa una storia di fusioni. Oggi la Via Lattea forma stelle a un ritmo stentato, ma questo cambierà quando entrerà in collisione con la nostra vicina galassia, Andromeda, tra circa 4,5 miliardi di anni.

 Ciò causerà un afflusso di gas che darà il via a un nuovo attacco di nasciate stellari.

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