Matteotti, la ‘verità’ di No reporter: “Squadrismo non c’entra, a colpire fu gruppo spontaneista fascista”

Nel centenario della morte di Giacomo Matteotti, un dossier del reparto Studi Storico-Scientifici di Noreporter, network di informazione e comunicazione che vede tra i suoi fondatori l’ex leader di Terza posizione Gabriele Adinolfi, si interroga sull’omicidio e si chiede se effettivamente quello del leader del Partito Socialista Unitario fu un delitto di regime.  “Ha davvero senso sostenere che Matteotti morì per le parole pronunciate e che il Regime ne aveva paura?” l’incipit del dossier. Che evidenzia come i colpevoli non restarono impuniti: “Il processo si svolse e decretò tre condanne per omicidio preterintenzionale tutte a cinque anni, undici mesi e venti giorni. Si stabilì che il 10 giugno 1924 Arrigo Dumini, insieme a Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, sequestrò Giacomo Matteotti, cui si voleva ‘impartire una lezione’. La reazione di Matteotti, cui non si può non riconoscere il coraggio fisico, fece degenerare il tutto”.

Nel dopoguerra, ricorda poi No reporter, “calpestando il principio giuridico del Non bis in idem, venne riaperto il processo ad Arrigo Dumini che fu condannato all’ergastolo per un omicidio premeditato che, tecnicamente, non stava in piedi. Tant’è che per scelta salomonica venne graziato sei anni dopo”. E “si noti che a battersi per la revisione processuale e poi per la grazia fu l’avvocato Casimiro Wronowsky che era anche il legale della famiglia Matteotti”, oltre a essere “cognato della moglie di Matteotti, Velia Titta”, e “tutore dei suoi due figli”.

Insomma, secondo il dossier, “l’omicidio fu palesemente preterintenzionale e fu opera di una bravata finita male”, ad opera non degli squadristi fascisti (“le Squadre d’Azione essendo state sciolte da Mussolini il 1 febbraio 1923 perché entrassero a far parte della neonata Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale”) ma di un gruppo “civile, spontaneista e ribelle. Fascista, ma non squadrista”. L’estraneità di Mussolini, per No reporter, è desumibile non solo dal fatto che “nel 1926 i responsabili vennero condannati, cosa che si sarebbe potuta evitare senza problemi se soltanto il Capo del Governo, detentore dei pieni poteri, lo avesse deciso, ma anche perché, durante la Repubblica Sociale, uno dei figli di Matteotti andava a trovare il Duce a Villa Feltrinelli a Gargnano, sul Lago di Garda”, essendo “evidentemente grato dell’aiuto economico concesso, sotto forma di vitalizio, alla madre da Mussolini”.

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