Le tante incongruenze degli esami di Stato. E l’inutilità dello stesso

Gentile redazione,

ogni anno, in occasione dell’esame di Stato al termine della scuola secondaria di secondo grado, sono in molti a interrogarsi sull’opportunità di tale prova per definire il “verdetto” finale. Personalmente ho da tempo risolto il dubbio: per come è configurato e, in particolare, per il peso che gli viene attribuito, l’esame di Stato è privo di senso e, anzi, costituisce finanche un oltraggio allo stesso buon senso. Un’opinione come tante, si dirà. Sarà. Però trova un supporto nella matematica. Come può, infatti, un esame costituito da tre prove – due scritti e un colloquio – pesare per 60 punti su 100 complessivi? Quale ragionamento può portare a mantenere ciò che non solo ad una prima evidenza, ma anche ad una più approfondita riflessione, appare come un paradosso?

La matematica, si diceva. Già, la matematica. Che c’entra? Consideriamo solo il triennio e stimiamo, in modo spannometrico e prudenziale, il

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