Lia Addadi, la scienziata dei cristalli: “Non fatevi vivere dalla vita… La passione va cercata”

È una discoverer. «Scopritrice si dice in italiano?». Scienziata, professoressa emerita all’Istituto Weizmann of Science di Rehovot, in Israele, luogo dove sono passati Premi Nobel e vincitori del Premio Turing. Si chiama Lia Addadi, alle sue spalle ha 40 anni di ricerche e di insegnamento. Il suo nome è noto in tutto il mondo della chimica. Ha svelato i meccanismi alla base della formazione di strutture composte da depositi di cristalli nella biologia e nella patologia. I suoi studi – tutti concentrati sui cristalli – spaziano in molte direzioni.

«Il cristallo è la rappresentazione più bella dell’ordine a livello molecolare. Si tratta di milioni o miliardi di unità che si organizzano in una struttura periodica, dettata dalle forze che esistono fra le molecole. L’espressione ‘limpido e cristallino’ che noi usiamo riflette le proprietà esterne dei cristalli che derivano dalla loro struttura interna. E di fronte a tutta questa bellezza io

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I vincitori del Premio Nobel per la Chimica 2023

Moungi G. Bawendi, Louis E. Brus e Alexei I. Ekimov hanno vinto il Premio Nobel per la Chimica 2023 per la scoperta e la sintesi dei punti quantici.
Moungi G. Bawendi, nato a Parigi nel 1961, insegna al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge (USA).Louis E. Brus, nato a Cleveland nel 1943, è professore alla Columbia University di New York (USA).Alexei I. Ekimov, nato nel 1945 nell’Ex Unione Sovietica, è stato direttore scientifico della Nanocrystals Technology Inc. di New York (USA).

I colori alle nanotecnologie. Il Nobel per la Chimica di quest’anno premia la scoperta e lo sviluppo dei punti quantici o punti quantistici (quantum dots), nanoparticelle così piccole che le loro dimensioni determinano le loro proprietà. Queste nanostrutture, le più piccole componenti delle nanotecnologie, hanno infatti proprietà uniche e oggi diffondono la loro luce negli schermi delle televisioni e delle lampade a LED, catalizzano reazioni chimiche o ancora illuminano i tessuti tumorali da rimuovere in sala operatoria.
Finora la ricerca ha utilizzato i punti quantici soprattutto per creare luce colorata, ma si ritiene che in futuro contribuiranno agli sviluppi di elettronica flessibile, di minuscoli sensori, di celle solari più sottili e forse anche di comunicazione quantistica crittografata.

Dimensioni che contano. Studiando la chimica si impara che le proprietà di un elemento sono governate dal suo numero di elettroni. Tuttavia, quando la materia si riduce fino a dimensioni nanometriche, emergono fenomeni quantistici che sono governati invece dalle dimensioni della materia stessa. Gli scienziati premiati con il Nobel per la Chimica 2023 sono riusciti a produrre particelle talmente piccole che le loro proprietà sono determinate da fenomeni quantistici. Queste particelle che oggi sono chiamate punti quantici sono di fondamentale importanza per le nanotecnologie.

Dalla teoria alla pratica. Per decenni i fenomeni quantici nel nanomondo erano rimasti una semplice previsione. Nel 1937 il fisico tedesco Herbert Fröhlich aveva predetto che le nanoparticelle non si comportano come tutte le altre particelle. Aveva infatti esplorato le conseguenze teoriche della famosa Equazione di Schrödinger che descrive l’evoluzione temporale dello stato di un sistema (l’elettrone in questo caso): in base ad essa, quando le particelle diventano incredibilmente piccole, c’è meno spazio per gli elettroni di quel materiale (che si comportano sia come onde sia come particelle). Fröhlich realizzò che questa “compressione” avrebbe alterato in modo sostanziale le proprietà di queste nanostrutture.
Nel tempo vari ricercatori usarono formule matematiche per prevedere numerosi effetti quantistici dipendenti dalle dimensioni, ma dimostrare questi effetti nella realtà era un’impresa ai limiti dell’impossibile, perché servivano strutture un milione di volte più piccole della capocchia di uno spillo.

Pionieri del nano-mondo. Nei primi anni ’80, Alexei Ekimov riuscì a ricreare effetti quantistici dipendenti dalle dimensioni nel vetro colorato. Il colore derivava da nanoparticelle di cloruro di rame; Ekimov dimostrò che le dimensioni delle particelle influenzavano il colore del vetro attraverso effetti quantici.
Ekimov era sempre stato incuriosito dal fatto che una singola sostanza potesse dare origine a vetro di diversi colori, una proprietà nota da tempo ai fisici che studiavano la luce. Si mise a produrre sistematicamente vetro colorato con cloruro di rame, scaldando il vetro fuso a temperature tra i 500 gradi °C e i 700 °C, e variando il tempo di riscaldamento tra una e 96 ore. Studiando il vetro raffreddato ai raggi X si accorse che all’interno si erano formati nanocristalli di cloruro di rame e che il processo di manifattura aveva influito sulle loro dimensioni: in alcuni campioni erano di 2 nanometri appena, in altri anche di 30. Il modo in cui il vetro assorbiva la luce era influenzato dalle dimensioni di queste particelle: quelle più piccole assorbivano soprattutto una luce più blu. Ekimov capì in fretta che aveva appena osservato un effetto quantistico dipendente dalle dimensioni.
Pochi anni più tardi, Louis Brus fu il primo scienziato al mondo a dimostrare effetti quantistici dipendenti dalle dimensioni in particelle che fluttuavano liberamente in un fluido. Nel 1993, Moungi Bawendi rivoluzionò la produzione chimica di punti quantistici ottenendo particelle praticamente pefette, di altissima qualità e finalmente utilizzabili in varie applicazioni.

Le dimensioni delle nanoparticelle influiscono sulle loro proprietà ottiche.
© Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”.

Una conferma indipendente. Brus stava lavorando con particelle di solfuro di cadmio ai Bell Laboratories negli USA, con l’obiettivo di scatenare reazioni chimiche a partire dalla luce solare, quando si accorse che dopo essere rimaste per qualche tempo immerse in una soluzione in laboratorio le loro proprietà ottiche erano mutate. Sospettò che fosse avvenuto per un cambio di dimensioni, e per confermare i suoi sospetti produsse particelle di soli 4,5 nanometri che confrontò con quelle originali, di 12,5 nanometri. Le più grandi assorbivano la luce alle stesse lunghezze d’onda del solfuro di cadmio, le più piccole invece assorbivano soprattutto la luce più blu.

Una nuova dimensione. Era come se la tavola periodica degli elementi avesse all’improvviso guadagnato una terza dimensione. Le proprietà degli elementi non erano più influenzate solamente dal numero di elettroni nello strato più esterno dell’atomo ma, a livello nanometrico, anche dalle loro dimensioni.

Un chimico che avesse voluto sviluppare un nuovo materiale aveva d’un tratto un nuovo fattore da manipolare.

Ottima fattura. Moungi Bawendi ha avuto il merito di rendere la produzione di nanocristalli di specifiche dimensioni precisa e ripetibile – una rivoluzione che ha permesso a sempre più scienziati di lavorare con le nanotecnologie e indagare le proprietà dei quantum dots. Nel 1993 insieme al suo team iniettò le sostanze utili a formare i nanocristalli in un solvente riscaldato e scelto appositamente, riuscendo a formare simultaneamente piccoli embrioni di cristalli e a portarli poi a specifiche dimensioni e a strutture regolari variando la temperatura della soluzione.

Alcune applicazioni. Anche se abbiamo appena cominciato a esplorare il loro potenziale, i punti quantici si trovano in molte tecnologie che usiamo già oggi: sono usati negli schermi delle tv per cambiare il colore a parte della luce blu, trasformandola in luce rossa o verde e producendo così i colori primari; in alcune lampade LED per regolare la luce fredda dei diodi; o in medicina per legarsi alle biomolecole e mappare le cellule di interesse (monitorando per esempio la crescita dei tessuti tumorali nell’organismo).

Curiosità da Nobel. Il Premio Nobel per la Chimica, istituito dal testamento di Alfred Nobel del 1895, viene assegnato come quello per la Fisica dall’Accademia reale svedese delle scienze. Dal 1901 ne sono stati conferiti 114, 25 dei quali condivisi da due scienziati e solo 8 dei quali andati a scienziate donne.
Il chimico britannico Frederick Sanger e il chimico statunitense Barry Sharpless lo hanno vinto due volte: il primo nel 1958 (“per il suo lavoro sulla struttura delle proteine, in particolare su quella dell’insulina”) e nel 1980 (insieme a Paul Berg e Walter Gilbert, “per il loro contributo alla determinazione della sequenza base negli acidi nucleici”); il secondo nel 2001, per «il suo lavoro sulle reazioni di ossidazione attivate da catalisi chirale» e nel 2022, insieme a Morten Meldal e Carolyn R. Bertozzi per «lo sviluppo della chimica a scatto e della chimica bioortogonale».
Il più giovane e il più anziano vincitore del Nobel per la chimica sono stati Frédéric Joliot, che aveva 35 anni quando fu premiato nel 1935 insieme a Irène Joliot-Curie, figlia di Pierre e Marie Curie, “in riconoscimento della loro sintesi di nuovi elementi radioattivi”; e John B. Goodenough, premiato 97enne nel 2019 insieme a Michael Stanley Whittingham e Akira Yoshino “per lo sviluppo di batterie agli ioni di litio”.

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