28 luglio 1794: Robespierre viene giustiziato

Vediamo come Robespierre seminò il terrore in Francia Attraverso l’articolo “L’incorruttibile” di Massimo Liberti, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Pena di morte. I giudizi umani non sono mai abbastanza certi, perché la società possa condannare a morte un uomo”. Ergo, “la pena di morte è essenzialmente ingiusta”. Parola di Maximilien de Robespierre, eroe della Rivoluzione francese che così parlò nella primavera del 1791.

Neanche tre anni dopo, però, dirà che la forza di un governo rivoluzionario “è a un tempo la virtù e il terrore”. Ora, poiché la parola terrore era da intendersi come “condanna a morte di ogni avversario politico“, è evidente come il suo pensiero fosse radicalmente cambiato, e proprio in tale mutazione di rotta sta il senso del periodo più sanguinoso della Rivoluzione, passato giustappunto alle cronache come “il Terrore” e condensato in una caricatura dell’epoca in cui Robespierre è raffigurato mentre ghigliottina il boia, ultimo uomo rimasto in vita dopo che lo stesso rivoluzionario ha fatto giustiziare mezza Francia.

Tutti gli uomini della rivoluzione. Identificata dal motto Liberté, Egalité, Fraternité ed entrata nel mito con la presa della Bastiglia (14 luglio 1789), la Rivoluzione francese aveva portato nel settembre 1792 alla fine della monarchia e alla proclamazione della Repubblica.

L’agenda politica era all’epoca dettata dalla Convenzione nazionale, assemblea incaricata di stendere una nuova Costituzione, ma divisa al suo interno in tre fazioni: a destra sedevano i girondini, rappresentanti dell’alta borghesia liberale, al centro un gruppo eterogeneo detto palude (o pianura) e a sinistra i montagnardi, deputati democratici il cui primo obiettivo era l’uguaglianza sociale.

intrighi e tradimenti. «Tra questi ultimi spiccavano per carisma Georges Jacques Danton, Jean-Paul Marat e, su tutti, Robespierre, austero avvocato chiamato “l’Incorruttibile” e capofila del Club dei giacobini, l’ala radicale dei montagnardi» racconta lo storico Roberto Moro, studioso della Francia settecentesca. «Proprio i montagnardi, timorosi che il deposto re Luigi XVI stesse ordendo una congiura antirivoluzionaria, iniziarono a chiederne la testa»

Complottisti. Peraltro, già sul finire dell’estate 1792 la psicosi da complotto aveva indotto il popolo parigino ad assassinare in via preventiva centinaia di detenuti politici e numerosi uomini di chiesa nei cosiddetti “massacri di settembre”. Alla fine toccò anche al re, processato con l’accusa di cospirazione contro la libertà e condannato al patibolo, dove salì il 21 gennaio 1793.

Dalla bastiglia al boia. In Place de la Révolution (oggi Place de la Concorde) sorse per l’occasione una ghigliottina attorno a cui si radunò una gran folla di curiosi, accorsi ad assistere a quello che sarebbe divenuto un macabro show quotidiano.

controrivoluzione. Dopo l’uccisione del re, la Convenzione diede vita al Comitato di salute pubblica (6 aprile 1793), organo con poteri eccezionali a cui spettava il compito di proteggere la Repubblica da “tutti” i suoi nemici, sia interni, sia esterni. «Tra i primi si contavano i monarchici e, soprattutto, la popolazione contadina del dipartimento della Vandea (regione della Loira) che, non digerendo la leva obbligatoria e le misure anti-ecclesiastiche introdotte dai rivoluzionari (come la confisca dei beni della Chiesa), avviò una cruenta rivolta contro il governo repubblicano» prosegue Moro. «L’obbligo di leva era stato peraltro introdotto per resistere ai nemici esterni: già impelagata in una guerra con l’Austria e la Prussia, dal 1793 la repubblica fu infatti chiamata a opporsi a una vasta coalizione anti-francese composta dai maggiori Stati d’Europa».

Emergenza. Furono questi gli ingredienti che portarono Robespierre a mutare idea circa la pena di morte, inducendolo a eliminare chiunque potesse tramare contro i rivoluzionari. Entrato nelle file del Comitato di salute pubblica, il giacobino non tardò ad affermare che “il terrore non è altro che la giustizia“, e tale idea fu sostenuta in ambito civile dai sanculotti (“senza culottes“), rivoluzionari proletari così chiamati perché non usavano indossare i pantaloni al ginocchio in voga tra nobiltà e alta borghesia.

Il Terrore si affermò dunque come una misura di emergenza finalizzata a garantire la “salute pubblica” del Paese, mettendo in naftalina i princìpi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Allo slogan “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza” furono non a caso aggiunte tre parole: “o la morte“.

Rituale cruento. «Simbolo del Terrore divenne in poco tempo la ghigliottina, macchina di morte “rapida e sicura” adottata dal 1792 quale strumento per tutte le esecuzioni capitali, dacché anche di fronte alla morte tutti i cittadini dovevano essere uguali» riprende l’esperto.

«Fin dalla decapitazione di Luigi XVI fu predisposto un particolareggiato rituale per lo svolgimento delle esecuzioni, con le vittime trasportate al patibolo sopra un carro che passava in mezzo a una calca di spettatori eccitati che li insultavano». Non bastasse, dopo la morte del condannato il boia usava alzarne la testa sanguinante e mostrarla agli spettatori, tra cui si distinguevano le tricoteuses, donne che tra una testa rotolata e l’altra sferruzzavano a maglia.

Caccia al sospetto. Ma su chi si abbatté principalmente la lama della ghigliottina? In base alla Legge dei sospetti del settembre 1793, su tutti coloro che, “per la loro condotta, per le loro relazioni, per i loro propositi o i loro scritti“, si fossero mostrati “nemici della libertà“.

«In breve, il Comitato poteva perseguitare chiunque fosse stato sospettato di avere in antipatia la Repubblica, e i primi a farne le spese furono i nobili (come Maria Antonietta, sposa di Luigi XVI), i preti, i capi-rivolta della Vandea e parecchi girondini», dice l’esperto. Proprio una fanatica girondina, Charlotte Corday, nel luglio 1793 aveva accoltellato a morte il giacobino Marat.

Nuovo culto, vecchie smanie. La repressione prese presto di mira anche la religione, tanto che nel novembre 1793, presso la Cattedrale di Notre-Dame (dove i sanculotti decapitarono le statue della cosiddetta Galleria dei re), fu allestita una Festa della Libertà nella quale si celebrò la Dea Ragione, mentre in parallelo venivano chiuse le chiese di Parigi.

Fu inoltre introdotto un nuovo calendario e l’anno seguente furono abolite le feste cattoliche. Robespierre promosse infine il cosiddetto culto dell’Essere supremo, sorta di religione laica che concepiva una divinità “non interagente” con le umane vicende. L’idea era quella di favorire con il nuovo culto la pacificazione del Paese in vista di una prossima fine del periodo del Terrore, ma la ghigliottina continuava per il momento a lavorare senza sosta.

Il ruolo del terrore. «I giacobini sapevano bene che senza tale radicalismo la Rivoluzione non sarebbe potuta sopravvivere alle forze ostili: piaccia o non piaccia, essa fu difatti “inscindibile” dal Terrore» commenta Moro. «Anche per questo si registrò un inasprimento della violenza, grazie a una legge del giugno 1794 che privò di difesa giuridica gli imputati nei processi per tradimento (i giustiziati supereranno presto quota 16.000)».

In proposito, gli storici sottolineano però come questa e altre svolte cruente non avessero come unico responsabile Robespierre, il quale non esercitò mai un potere realmente tirannico (anche se si parla di dittatura giacobina) ma ostentò semmai un maggior temperamento rispetto ai colleghi. Quel che è certo è che la mano insanguinata del Terrore aveva iniziato già da tempo a stringersi attorno a molti vecchi amici dell’Incorruttibile, che della rivoluzione erano stati in passato ferventi sostenitori.

Deriva fratricida. Tra i rivoluzionari giustiziati durante il Terrore si registrerà persino il nome di Danton, frequentatore del Club dei Giacobini ed ex componente del Comitato di salute pubblica, la cui testa rotolò nella cesta del boia il 5 aprile 1794 (l’accusa fu quella di essere implicato in una cospirazione per restaurare la monarchia, ma la verità era che aveva criticato l’uso del Terrore).

Al  patibolo. Dieci giorni prima, a finire sul patibolo era stato invece Jacques-René Hébert, leader dell’ala più intransigente dei giacobini. In sintesi, dopo aver fatto incetta di nobili e preti, il Terrore fagocitò gli stessi repubblicani fino a che, nella Battaglia di Fleurus del 26 giugno, giunse una cruciale vittoria dell’esercito francese contro le potenze straniere sue rivali (su tutte, Austria e Inghilterra) che scongiurò il pericolo di un’invasione del Paese rendendo agli occhi di molti non più “necessario” il ricorso a metodi terroristici.

colpo di stato. Robespierre non la pensava però così, e contro di lui si formò una coalizione decisa a tagliarlo fuori dalla scena politica. Detto fatto, la Convenzione lo accusò di voler divenire “tiranno della Francia” e lo fece arrestare con i suoi fedelissimi, al grido di “È il sangue di Danton che ti soffoca!“. La congiura si trasformò in un colpo di Stato che culminò il 28 luglio nella salita al patibolo di Robespierre, ghigliottinato dal più famigerato dei boia: Charles-Henri Sanson, che aveva già tranciato il collo a quasi 3.000 individui (tra cui Luigi XVI e Danton). «Di colpo, con la morte dell’Incorruttibile, tramontò un’epoca segnata sì dalla violenza, ma anche da importanti interventi nell’assistenza pubblica, volti a favorire l’ascesa delle classi più povere» conclude Moro.

largo a Napoleone. «Quanto a Robespierre, è da considerare semplicemente come un uomo che agì, assieme ad altri, in nome di una causa che riteneva superiore a tutto, anche alla morte». Finito il Terrore, il Paese conoscerà peraltro la violenta reazione dei monarchici a danno dei rivoluzionari estremisti (il cosiddetto Terrore bianco) e, soprattutto, la sfolgorante ascesa di un ambizioso generale che rispondeva al nome di Napoleone Bonaparte.

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