Gli esercizi di matematica di Giacomo Leopardi

La festa dell’esame di matematica in casa Leopardi la sera dell’8 febbraio 1810, ore 21: quattordici esercizi di Aritmetica e trenta di Geometria.

ARITMETICA

I- Quattro Amici hanno vinto al Lotto Scudi 3863.13.2. Quanto dovranno avere per ciascuno ?
II –  Un pagliaro basta ad alimentare dieci Pecore per un anno; quanti giorni basterà per Pecore trentaquattro?
III – Un Corriere ha corso in dieci giorni miglia 1920 ; quante ne avrà corse in un’ora ?
IV-  Per fabbricare una Torre in due Anni ci vogliono sette Uomini al giorno : quaranta Uomini in quanti giorni la fabbricheranno ?
V –  Elpino vuol dare in dote ad una sua Figlia Scudi 2745 ; e perciò mette a parte ogni giorno baj, 25 ; in quanti anni accumulerà detta somma ?
VI – Lucio con Scudi 213 guadagna Scudi 80 : con Scudi 160 in egual lucro quanto guadagnerà ?
VII – Rutilio ha speso in un anno Scudi 124.24. Quanto avrà speso al giorno ?
VIII – Sei Mercanti con Scudi 461.34.2. comprano tanta Seta a baj 12.4. la libra, la quale poi vendendo a baj. 17. 2. la libra quanto avranno guadagnato per ciascheduno ?
IX – Febronio deve fare un viaggio di miglia 3649. Facendo cinque miglia all’ora, in quanti giorni compirà il suo viaggio ?
X -Transibulo di anni quaranta per scommessa perduta deve dare a Tantillo tanti quattrini quanti minuti d’ora ha egli di tempo : quanti Scudi dovrà pagare ?
XI – Pompilio per un suo censo di Scudi 4613 alla ragione del cinque per cento, deve essere pagato di tre anni, due mesi, e quattro giorni.

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Leopardi e la fisica del suo tempo

In Giacomo Leopardi adolescente l’eco delle principali questioni fisiche e matematiche dibattute dai grandi della scienza a lui contemporanei.
Giacomo Leopardi (1798- 1837)
L’articolo di Matmedia “Leopardi fisico e matematico” propone una riflessione sulla formazione scientifica di Giacomo Leopardi,  formazione che avrà un ruolo fondamentale nel suo pensiero filosofico e influenzerà la sua poetica.
Le prime opere adolescenziali denotano grande erudizione ma anche capacità di sintesi e senso critico nelle argomentazioni. Ricordiamo, in proposito, le Dissertazioni filosofiche, comprendenti anche dieci  argomenti di fisica, scritte tra il 1811 e il 1812 ossia all’età di 13 e 14 anni  e la Storia dell’astronomia, scritta un anno più tardi.
Il suo talento precoce era favorito e  stimolato culturalmente dal padre Monaldo, molto esigente  riguardo all’istruzione dei figli e, nonostante le sue idee conservatrici, sempre pronto ad aggiornare  la sua biblioteca accogliendo le  novità in campo scientifico e filosofico
Giacomo e i suoi fratelli potevano  disporre, inoltre, di un piccolo laboratorio per gli esperimenti scientifici. “Studio matto e disperatissimo” da parte dell’adolescente,  ma anche  interesse per la conoscenza del mondo fisico, della Natura, del Cosmo  e grande fascino esercitato su di lui dai grandi scienziati  quali Copernico, Keplero, Galileo  e, soprattutto, Newton.
L’attenzione ai contributi scientifici  negli scritti  di Leopardi, da parte dei critici o interpreti, risale alla seconda metà  del secolo scorso.
Alcune intuizioni da parte di  Italo Calvino nelle “Lezioni americane” e i continui riferimenti alle “Operette morali” nelle sue “Cosmicomiche”, mettono in luce la consapevolezza scientifica che sta alla base di alcune immagini o riflessioni leopardiane, solitamente analizzate dal punto di vista stilistico o nel loro significato filosofico,
Walter Binni, uno dei maggiori studiosi della poetica e del pensiero di Giacomo Leopardi, ne suggerisce un “habitus  mentale” di derivazione scientifica  affermando che: «L’illuminismo fu non solo fornitore a Leopardi di materiali e stimoli filosofici e morali, ma scuola di coraggio della verità, di bisogno di estrema chiarificazione, di lucidità ad ogni costo sulla via del suo attivo pessimismo».
In  occasione della celebrazione del bicentenario della nascita del poeta  (nel 1998) e, qualche decennio più tardi, nel bicentenario  dell’infinito (nel 2019) si assiste sia  a una riscoperta e una valorizzazione dei saggi  di carattere scientifico del giovane Leopardi, sia a una rilettura in chiave moderna delle opere della sua maturità.
Secondo Pietro Greco, giornalista e divulgatore scientifico scomparso due anni fa,
«…L’evoluzione del rapporto tra Leopardi e la scienza si muove con velocità differenziali e direzioni diverse lungo almeno quattro direttrici, certo interconnesse, ma abbastanza autonome da poter essere individuate con una certa precisione…» (Città della scienza /centro studi/Leopardi-e-la-scienza-16 agosto 2016)
Le quattro direttrici di cui parla Greco possono essere ricondotte facilmente ad alcune tematiche di indubbia attualità:

Valore sociale della scienza
Esaltazione della ragione e del rigore scientifico per spiegare i fenomeni
Ricerca del “ senso del mondo”, percezione della complessità del reale
Sfiducia nel meccanicismo e rifiuto del riduzionismo intrinseco nella scienza

Nel saggio “L’infinita scienza di Leopardi”( 2019), gli autori (Giuseppe Mussardo , professore ordinario di Fisica Teorica alla SISSA di Trieste e Gaspare Polizzi, storico della filosofia e della scienza del Centro nazionale studi leopardiani) concentrano le loro riflessioni su tre temi fondamentali :

Leopardi e il cielo
Leopardi e la materia
Leopardi e l’infinito

ricollegabili facilmente agli studi di astronomia, chimica e fisica.
A  questo punto è opportuno osservare che, se è decisamente interessante  affrontare la poetica e il pensiero di Leopardi alla luce della sua formazione scientifica, altrettanto stimolante  potrebbe essere cogliere nelle opere di  Giacomo adolescente l’eco dei principali dibattiti degli scienziati a lui contemporanei e  pensare a un approccio  originale alla storia della fisica e della chimica.
A  partire dalle curiosità e dai  commenti di un giovane studente  meticoloso e tenace, brillante e desideroso di apprendere, possiamo riflettere sul  panorama scientifico  degli anni di passaggio dal XVIII a XIX secolo e su come venissero  affrontati alcuni temi significativi.
Senza aver la pretesa di una trattazione esaustiva, proponiamo due tematiche  abbastanza ampie  che saranno in seguito approfondite, con spirito specialistico, dagli scienziati  XIX secolo:

la struttura della materia e le sue proprietà
la questione copernicana

La struttura della materia e le sue proprietà
Da: Casa Leopardi, Giacomo e la Scienza, 1996
Dalla lettura delle 10 disertazioni di argomento scientifico 

Dissertazione sopra l’attrazione
Dissertazione sopra la gravità
Dissertazione sopra l’urto dei corpi
Dissertazione sopra l’estensione
Dissertazione sopra l’idrodinamica
Dissertazione sopra i fluidi elastici
Dissertazione sopra la luce
Dissertazione sopra l’astronomia
Dissertazione sopra l’elettricismo

emerge il modello di realtà che  Giacomo si era costruito e il quadro concettuale unitario entro cui articola  le spiegazioni dei fenomeni naturali.
Si tratta di esercitazioni scolastiche preparate per il saggio annuale con cui  Monaldo Leopardi era solito far concludere gli  studi dei tre figli, Giacomo, Carlo e Paolina.
Il tono è esplicativo, le argomentazioni puntano sulla citazione di fonti autorevoli o sull’evidenza sperimentale.
La fiducia nella forza della Ragione, la fedeltà  al modello  meccanicistico della realtà, il “culto” della figura di Newton, contrastano, agli occhi del lettore moderno, con alcune convinzioni che sarebbero state a breve superate dalle nuove scoperte e dai  mutamenti di carattere metodologico e filosofico che avrebbero caratterizzano il  secolo XIX . Eppure ci sentiamo trascinati dall’entusiasmo del giovane  conferenziere e seguiamo le sue dissertazioni e i suoi ragionamenti, riscontrando con piacere  alcuni sprazzi di modernità.
Del resto, anche tra gli scienziati dell’inizio del secolo si poteva riscontrare un certo disorientamento di fronte alla molteplicità e alla complessità dei risultati ottenuti, in particolare, in elettrochimica,  in elettromagnetismo e in ottica . Spesso  si cercava una spiegazione riconducibile ai vecchi modelli e, anche se venivano enunciate nuove leggi,  non si arrivava a ideare una teoria ampia e dal potere unificante . Solo nella seconda metà del secolo si avrà la sistemazione della termodinamica e l’elaborazione della teoria dei campi. Per una teoria atomica, nell’ambito della fisica classica, si dovrà aspettare il XX secolo.
Nella Dissertazione sull’estensione si legge:
«…Viene altresì annoverata tra le proprietà dei corpi appartenenti alla loro estensione la Divisibilità. Ciascun corpo è formato di particelle, e di molecole unite insieme per mezzo dell’affinità d’aggregazione, di cui sono dotate. Essi sono dunque divisibili, cioè le particelle possono essere slegate, e scomposte, le quali particelle essendo formate di altre molecole ancor più sottili possono anch’esse per conseguenza esser divise. Infatti, noi non possiamo immaginarci un corpo sebben minimo, nel quale non supponiamo due metà, e per conseguenza può senza dubbio affermarsi esser la materia divisibile in infinito numero di parti infinitamente picciole. Deve avvertirsi, che noi non intendiamo di dire che un corpo sia divisibile in infinito fisicamente, ma soltanto geometricamente, e per mezzo de’ voli astratti dell’umana immaginazione».
«Moltissimi sono quegli esperimenti, con i quali vollero i Fisici dimostrare la Divisibilità dei corpi in modo evidentissimo. Tra questi ell’è utilissima l’osservazione riportata dal celebre Poli circa i raggi della luce, poiché “quantunque, com’egli si esprime, siffatti lumi non decidano se il campo assegnato alla rapportata Divisione si estenda all’infinito, nulladimeno ci mostrano ad evidenza, che la materia è capace di esser divisa in un numero di parti così immenso, che giugne fino a stancare la più vivace immaginazione….
Se in una notte serena, segue il mentovato Scrittore, pongasi a cielo aperto una candela accesa, diffonderà questa tanta luce, che si potrà agevolmente scorgere fino alla distanza di due miglia ossìa di 10 mila piedi tutt’all’intorno. È noto presso de’ Matematici, che uno spazio sferico, che abbia il semidiametro di 10 mila piedi in se contiene 4. bilioni 190 mila 40 e più milioni di piedi cubici. … »
Compare poi in una nota la seguente precisazione
(1) I principj della moderna Chimica dimostrano che la luce, e la fiamma non si sviluppano dal corpo che brucia ma bensì dall’aria vitale allorché l’ossigeno passa nel combustibile insieme con il calorico, e con la luce, con cui era unito, e che abbandonando l’aria vitale, si svolgono, e formano il fuoco.
L’esempio è tratto   da un testo famoso e apprezzato, gli  Elementi di fisica sperimentale (1798) di Giuseppe Saverio Poli e Vincenzo Dandolo, aggiornato sugli ultimi risultati di Lavoisier ma legato inevitabilmente ai modelli  settecenteschi del fluido calorico e dei corpuscoli che stanno a fondamento dei fenomeni luminosi.
Il  concetto di affinità tra le molecole è affrontato in modo generico, come si evince anche dalle dissertazioni sull’attrazione e sulla gravità.
In particolare, vogliamo soffermarci su alcune affermazioni del giovane saggista  riguardo l’interazione gravitazionale, accomunata disinvoltamente ad altre  forze di natura attrattiva, come le forze di adesione o di coesione molecolare.
Affermazioni quali:«…non ha solamente luogo  tra i corpi celesti, considerati l’uno relativamente all’altro. Questa forza agisce altresì in tutte le parti della materia. I liquori si alzano nei tubi capillari al di sopra del loro livello a causa dell’attrazione del tubo….»   non sono, come potrebbe  sembrare,   frutto di un ingenuo fraintendimento da parte del giovane studioso, bensì rispecchiano la convinzione, in quel tempo abbastanza diffusa negli ambienti scientifici, che l’attrazione fosse una proprietà della materia e che si manifestasse, oltre che nella gravitazione,  in molti altri  fenomeni di interazione fra corpi  solidi o fluidi o anche tra corpuscoli dotati di massa.
Interessante è il confronto tra le  dissertazioni di Giacomo  e alcuni  brani tratti dalla Storia dell’astronomia dell’astronomo  Jean-Silvain Bailly ridotta in compendio da  Francesco Milizia ( 1791), uno dei testi  su cui Giacomo aveva studiato.
L’autore sembra abbastanza deciso nell’identificare le forze  di attrazione tra molecole e l’attrazione gravitazionale
«Le affinità chimiche, le dissoluzioni, le precipitazioni, le coagulazioni non sono che attrazioni. Queste molecole esercitano a piccole distanze proporzionalmente alle loro masse un’attrazione simile a quella che i globi celesti esercitano negli spazi dell’Universo a distanze enormi…».
«La causa della coesione è l’attrazione o sia la gravità; e siccome la coesione è più o meno in tutti i corpi, Newton con ragione ha conchiuso che la gravità è universale in tutte le parti della materia»
Ribadisce la spiegazione «gravitazionale» che  Newton fornisce per il fenomeno della rifrazione della luce:
«La luce s’inflette passando presso i corpi per l’attrazione che prova e la devia. Passando da un mezzo ad un altro più denso si refrange, va più veloce poiché vi è più attratta»
L’autorità del paradigma newtoniano è ancora molto solido negli ambienti scientifici del primo ‘800.
Sviluppatosi principalmente come empirismo in Inghilterra e come razionalismo in Francia.  aveva alimentato la convinzione che il modello meccanicistico fosse in grado di descrivere e studiare tutti i fenomeni naturali.
La legge di gravitazione universale, in particolare, con il suo potere unificante,  resta il modello da seguire, almeno per analogia,  nell’interpretare  fenomeni in cui intervengono mutue forze attrattive tra  corpi, dipendenti dalla loro distanza.
Come si può osservare nelle affermazioni di Bailly, l’indiscussa  autorità degli scritti newtoniani poteva arrivare a far interpretare in modo acritico, e in parte errato, il suo pensiero.
Newton è molto più cauto nell’estendere la legge di gravitazione universale  al di fuori della meccanica, anche se, in effetti, per  quanto riguarda l’ottica, pensava che la  rifrazione potesse essere  ricondotta ad un fenomeno di attrazione tra masse,  avvalorando  la sua ipotesi corpuscolare sulla natura della luce.
Se  avesse avuto l’opportunità di anticipare i risultati ottenuti nel 1850 da  Fizeau e Foucault  relativamente alla  velocità della luce, avrebbe osservato che questa è maggiore nel vuoto che non  in un mezzo materiale e sarebbe giunto ad altre conclusioni.
Il pensiero di Laplace  (Exposition du système du monde-1823)  appare invece molto più lucido e più vicino  alla posizione newtoniana ( Hypotheses non fingo)
«L’attrazione sparisce tra i corpi di una grandezza poco considerevole: essa riappare nei loro elementi sotto un’infinità di forme. La solidità, la cristallizzazione, la rifrazione della luce, il sollevamento e l’abbassamento dei liquidi negli spazi capillari, e in generale tutte le combinazioni  chimiche sono il risultato di forze la cui conoscenza è uno dei principali obiettivi dello studio della natura. Così la materia è soggetta all’impero di diverse forze attrattive: una di esse, estendendosi indefinitamente nello spazio, regge i movimenti della terra e dei corpi celesti; tutto ciò che riguarda la costituzione intima delle sostanze che li compongono dipende principalmente dalle altre forze la cui azione è sensibile solo a distanze impercettibili. E’ quasi impossibile, per questa ragione, conoscere le leggi della loro variazione con la distanza; fortunatamente, la proprietà di essere sensibili soltanto assai vicino al contatto basta per sottomettere all’Analisi un gran numero di fenomeni interessanti che ne dipendono».
L’opera di Laplace è del 1823.
L’invenzione della  pila di Volta aveva  indicato nuove vie di ricerca sull’elettricità. Nel 1808  il chimico inglese  sir Humpry Davy aveva ottenuto i primi risultati di dissociazione elettrolitica .
La comunità scientifica francese era  fortemente influenzata dal programma laplaciano, tendente a spiegare i fenomeni fisici a partire dalle proprietà di fluidi imponderabili (fluido elettrico vetroso o resinoso, fluido magnetico australe o boreale, calorico ecc. ecc.)  le cui particelle ultime  interagivano a distanza, tramite forze di tipo newtoniano.
La formalizzazione  poteva avvenire nell’ambito dell’apparato matematico che già aveva  segnato l’indiscusso progresso della meccanica e dell’astronomia.
Le esperienze di Cavendish e di Coulomb, mediante la bilancia di torsione, avevano dimostrato, già alla fine del ‘700,  l’analogia tra le leggi che descrivono le interazioni gravitazionali, elettrostatiche e magnetiche.
L’interazione corrente-magnete scoperta da  Oersted  nel 1820 sembrava invece difficilmente riconducibile allo schema newtoniano e questo  aveva costituito una vera e propria sfida  tra gli scienziati francesi, di cui sono noti gli importanti risultati,  sia sperimentali sia nella formalizzazione matematica ( esperienza di Arago, leggi di Ampère, di Biot-Savart e dello stesso Laplace).
Ormai è ben nota la differenza tra le varie forze di interazione conosciute, sia per quanto riguarda la natura delle particelle interagenti, sia  dal punto di vista dell’intensità delle forze.
Qualsiasi studente liceale sa, per esempio , che  l’attrazione  gravitazionale tra un protone e un elettrone è molto più  debole , di circa 40 ordini di grandezza, dell’interazione elettrostatica, la quale svolge , pertanto, un ruolo essenziale  nella struttura microscopica della materia.
Agli inizi del secolo  XIX,  invece ,  in assenza di opportune  valutazioni quantitative e  di conoscenze adeguate sulla struttura della materia, le interazioni tra particelle dotate di massa venivano assimilate alle interazioni  gravitazionali.
Va precisato, in proposito, che, sebbene  comunemente si attribuisca a Cavendish la determinazione della costante  di gravitazione  universale, la formulazione  moderna della legge  di  Newton è entrata nella letteratura scientifica solo  nelle seconda metà secolo.
I risultati del  noto esperimento di Cavendish furono formulati, invece, in funzione del valore della densità media  della Terra, ovvero del valore della sua massa, dedotto dal  rapporto delle forze esercitate, rispettivamente, dalla Terra e dalla massa “grande” utilizzata nell’esperimento, su una stessa massa, la massa  “piccola”  posta a distanza  da essa.
Ricordiamo, infine l’approccio innovativo da parte  di Faraday, che, rifiutando il modello delle particelle di fluido interagenti a distanza, spostò l’attenzione sulle proprietà dello spazio, sede dei fenomeni elettromagnetici, il quale  diventa «campo di forze». Le sue  proprietà sono descritte  dalle linee di forza o linee di campo, secondo  un modello che sarà poi formalizzato, dal punto di vista matematico, nella sintesi maxwelliana.
Ovviamente non possiamo aspettarci che, nella dissertazione sull’elettricismo, il giovane Giacomo possa conoscere o immaginare l’importanza che i fenomeni elettrici avrebbero acquistato  in campo scientifico, tecnologico e industriale.
La dissertazione spazia pertanto nel campo meteorologico ( pioggia, fulmine, terremoto, tromba d’aria ecc. ecc.) .
Le spiegazioni dei fenomeni  mostrano i limiti del modello del fluido elettrico che non riesce a suggerirne in modo esauriente l’origine e la natura, anche se  fornisce alcune indicazioni per  difendersi da  eventuali effetti dannosi.
La conclusione sembra un tentativo di dare maggiore dignità all’argomento:
«Tutto ciò, che abbiam detto contiene in brevi parole l’intera Teoria dell’elettricità. Non possiamo al certo bastantemente encomiare quei Fisici, i quali impiegar seppero i loro lumi nel discuoprire la cagione, e l’origine di sì spaventosi fenomeni per poi dar campo alle ricerche intorno al modo di preservarsi da loro terribili effetti. Non si scorgerebbe certamente nelle Fisiche dottrine un sì gran numero d’inutili questioni se tutti i Filosofi impiegar sapessero la loro scienza nella ricerca soltanto di quelle cose, che ridondar possono in qualche modo a pro del genere umano. > >
La consapevolezza della rilevanza del progresso degli studi sui fenomeni elettrici traspare invece in una delle ultime poesie di Leopardi: la “ Palinodia al Marchese Gino Capponi” (1835).
Le moderne applicazioni dell’’elettricità, citata attraverso gli epigoni Volta e Davy , non riescono a vincere le forze inevitabili dell’egoismo umano.
L’entusiasmo e la fiducia nel valore sociale della Scienza ha lasciato il posto alla delusione e al pessimismo di fronte a una società che insegue il mito del progresso  dimenticando però gli ideali di  verità e di giustizia.
…………..Ardir protervo e frode, Con mediocrità, regneran sempre, A galleggiar sortiti. Imperio e forze, Quanto più vogli o cumulate o sparse, Abuserà chiunque avralle, e sotto Qualunque nome. Questa legge in pria Scrisser natura e il fato in adamante; E co’ fulmini suoi Volta nè DavyLei non cancellerà, non Anglia tutta Con le macchine sue, nè con un Gange Di politici scritti il secol novo. Sempre il buono in tristezza, il vile in festa Sempre e il ribaldo: incontro all’alme eccelse In arme tutti congiurati i mondi Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci Calunnia, odio e livor: cibo de’ forti Il debole, cultor de’ ricchi e servo Il digiuno mendico, in ogni forma Di comun reggimento, o presso o lungi Sien l’eclittica o i poli, eternamente Sarà, se al gener nostro il proprio albergo E la face del dì non vengon meno…… > >
 La questione copernicana
 Ha senso parlare ancora, ai tempi di Leopardi , di una questione copernicana?
Quando il giovanissimo Giacomo affrontava  gli studi di astronomia,  la teoria eliocentrica era già consolidata in ambito scientifico, accettata anche da scienziati cattolici o luterani . La Chiesa cattolica  però, non aveva ancora abrogato il Decreto della Congregazione dell’Indice del 1616, cosa che avvenne  qualche decennio più avanti  con la riabilitazione di tutte le opere di ispirazione copernicana.
In alcuni ambienti cattolici particolarmente intransigenti c’era , pertanto, una certa cautela  nell’insegnare  o propagandare il sistema copernicano come modello della realtà fisica, in accordo con la  prefazione del De revolutionibus orbium coelestium   ( rivelatasi in seguito apocrifa e attribuita al teologo  luterano  Andrea Oslander ) che parlava di “ipotesi matematica”.
Lo stesso Monaldo Leopardi continuò a dichiararsi anticopernicano convinto, fino a sfidare la Chiesa dalle pagine del periodico “La voce della ragione “ , da lui diretto, difendendo, da un lato, le decisioni dell’Inquisizione romana e , dall’altro,  cercando di demolire con argomentazioni di carattere scientifico  le prove sperimentali addotte dai sostenitori del sistema eliocentrico.
Si comprende pertanto  perchè nella Dissertazione sull’Astronomia, uno dei componimenti scolastici presentati nei saggio annuale  di casa Leopardi nel 1812, il giovane Giacomo tesse le lodi del sistema copernicano “il più ammissibile fra tutti i sistemi celesti” ma aggiunge nel finale la seguente riflessione:

L’ambiguità della posizione della Chiesa Cattolica fece scalpore, anche in campo internazionale,  quando, nel 1818 il Maestro del Sacro Palazzo negava al canonico Settele ,docente alla Sapienza di Roma,  l’imprimatur  per il secondo volume del trattato  “Elementi di ottica e astronomia” in quanto fondato sul sistema copernicano.
Il Santo Uffizio fu costretto a intervenire con un apposito  decreto ( nel 1822) e avviare un processo di riabilitazione di tutte le opere  di ispirazione copernicana che si concluse nel 1835, sotto il papato di Gregorio XVI.
Appena un anno dopo la Dissertazione , Giacomo completa la sua  “Storia dell’astronomia”  nella quale  l’adesione al copernicanesimo è  più decisa , tra l’entusiasmo di spirito illuminista per la forza della Ragione e il riconoscimento dell’esistenza di un  Dio «autore e regolatore  dell’ammirevol macchina dell’Universo».
Il  progresso dell’astronomia  si trasforma nello strumento che libera l’uomo dalle  superstizioni e dalle credenze errate e lo conduce alla civiltà e alla vera Sapienza, mentre le implicazioni di carattere  filosofico sembrano restare in secondo piano.
I riferimenti alle dispute intorno alla pluralità dei mondi e all’abitabilità dei corpi extraterrestri dimostrano, comunque,  che Giacomo aveva ben recepito i punti salienti e anche  i nodi di questo secondo aspetto della nuova questione copernicana. Con molta franchezza, infatti,  conclude che sono tutte discussioni inutili e oziose, dalle quali non è possibile «ritrarre il minimo frutto». La controversia infatti non potrà «mai venire alla conclusione», essendo questa «la più insolubile di tutte le questioni».
Il rifiuto  dell’antropocentrismo, un tempo tacciato di eresia, ben si conciliava invece  con lo spirito egualitario degli Illuministi.
Le  intuizioni di Giordano Bruno   sulla pluralità e infinità dei mondi,  giudicate  a suo tempo  inverosimili e diaboliche, avevano acquistato una base di credibilità, almeno a livello di possibilità.
Pur riconoscendone l’infondatezza  sia al livello sperimentale, sia dal punto di vista  speculativo,   queste idee erano patrocinate dai più eminenti astronomi del XVIII secolo, incontrati da  Giacomo nei libri della biblioteca paterna   (Lalande, Bailly, William Herschel) .  La forza dell’analogia, l’inconsistenza di una situazione privilegiata da assegnare alla terra ( unita alla mancanza di nozioni sulla genesi della materia vivente) sembrano punti a favore dell’esistenza di altre forme di vita o di altri sistemi solari simili al nostro .
Non mancavano  poi alcune opere di fantasia come l’ironico Micromega di Voltaire  o di divulgazione scientifica, come I Colloqui sulla pluralità dei mondi ( 1686 ) di Bernard le Bovier de Fontenelle e il poema  dai toni preromantici “ Complaint or night thoughts on life , death and immortality” (1742-45),del poeta ecclesiastico  inglese Edward Young.
Quest’ultimo, di cui Leopardi conosceva probabilmente la traduzione italiana di L.A. Loschi, vede  nella pluralità dei mondi e nell’infinità dell’universo la testimonianza dell’infinita onnipotenza di Dio  Creatore che non può  rimanere limitata nell’angusto  spazio del nostro pianeta.
Copernico continua poi ad essere presente in più punti della produzione leopardiana,  a prova del fatto che le letture giovanili  avevano avviato un processo di interiorizzazione,  sfociata poi  nel  pensiero filosofico e  nella sublime arte poetica.
«Una prova di quanto influiscano i sistemi puramente fisici sugl’intellettuali e metafisici, è quello di Copernico che al pensatore rinnova interamente l’idea della natura e dell’uomo concepita e naturale per l’antico sistema detto Tolemaico; rivela una pluralità di mondi, mostra l’uomo un essere non unico, come non è unica la collocazione, il moto e il destino della terra, ed apre un immenso campo di riflessioni, sopra l’infinità delle creature che secondo tutte le leggi d’analogia debbono abitare gli altri globi in tutto analoghi al nostro, e quelli anche che saranno, benchè non ci appariscano, intorno agli altri soli cioè le stelle, abbassa l’idea dell’uomo, e la sublima; scuopre nuovi misteri della creazione, del destino della natura, della essenza delle cose, dell’esser nostro, dell’onnipotenza del creatore, dei fini del creato ec. ec. »(Zibaldone, 84, 18209)
«Il sistema di Copernico insegnò ai filosofi l’uguaglianza dei globi checompongono il sistema solare (uguaglianza non insegnata dalla natura,anzi all’opposto), nel modo che la ragione e la natura insegnavano agliuomini ed a qualunque vivente l’uguaglianza naturale degl’individui diuna medisima specie». (Zibaldone, 975, 22 aprile 1821) (28).E’ noto il divertente dialogo “Copernico” delle Operette morali in cui la rivoluzione  copernicana nasce da una esigenza  del Sole che chiede a Copernico di concedergli il meritato riposo e di  costringere l’oziosa Terra a mettersi in movimento.
Forse  è meno noto questo brano  della storia dell’astronomia di cui il “Copernico” sembra essere lo sviluppo e l’ approfondimento:
«Quell’ardimentoso Prussiano che fe’ man bassa sopra gli epicicli degli antichi e spirato da un nobile estro astronomico, dato di piglio alla terra, cacciolla lungi dal centro dell’Universo ingiustamente usurpato, e a punirla del suo ozio, nel quale avea marcito, le addossò una gran parte di quei moti, che venivano attribuiti ai corpi celesti, che ci sono d’intorno».
I notissimi versi del “Canto notturno di un pastore errante” composto  tra il 1829 e il 1830 , ci hanno tante volte coinvolto nelle domande senza risposta sul destino e sull’identità dell’uomo
E quando miro in cielo arder le stelle;Dico fra me pensando:A che tante facelle ?Che fa l’aria infinita, e quel profondoInfinito seren ? che vuol dir questaSolitudine immensa ? ed io che sono ?
Quanti di noi le hanno confrontate con le parole di sir John Herschel  (1792 –1871) (matematico e astronomo figlio di William)?
«A quale scopo, scrive dobbiamo supporre che le stelle siano state disperse nell’immensità dello spazio? Non sarà stato senza dubbio per illuminare le nostre notti, oggetto che potrebbe meglio svolgere una luna piu di quanto non farebbe la millesima parte della nostra, né per brillare come uno spettacolo vuoto di senso e di realtà e ci perdiamo in vane congetture. Questi astri sono, è vero, utili all’uomo come punti permanenti ai quali può rapportare tutto con esattezza; ma bisognerebbe aver ricevuto ben poco frutto dallo studio dell’astronomia per poter supporre che   l’uomo sia il solo oggetto delle cure del suo Creatore e per non vedere, nel vasto e sorprendente  apparato che ci circonda, luoghi destinati ad altre razze di esseri viventi».
Un secolo dopo  Hubble enunciava la  legge che confermava  il modello di un universo in espansione, popolato da innumerevoli galassie distinte dalla nostra Via Lattea.
La Terra non è il centro dell’universo, non lo è il Sole, non lo è la Via Lattea.
Nel XX secolo la cosmologia, studio  dell’Universo nella  sua totalità su grandi scale, ormai separata  dall’astronomia, è una scienza osservativa  che non ha abbandonato  i suoi aspetti speculativi.  I tre principi che ne stanno alla base richiamano le antiche dispute dei filosofi  ma  hanno un chiaro significato di ipotesi di lavoro.
Primo assunto è l’isotropia dell’Universo  (principio cosmologico)   complementare all’omogeneità  di tutti i punti di osservazione (principio copernicano).
Si sente la necessità di un terzo principio, il principio antropico:
“I valori osservati delle quantità fisiche o  cosmologiche non sono equiprobabili ma sono  limitati  dal prerequisito che l’universo cui danno luogo, a un certo punto della sua storia, permetta l’esistenza di una forma di vita come la nostra, basata sul carbonio” (principio antropico debole di Barrow-Tipler) .
Nuovi interrogativi attendono una risposta: il nostro universo è il risultato di  un’eccezionale coincidenza cosmica o esistano infiniti universi fisici e noi abitiamo in uno di quelli che sono adatti alla vita?

Laureata in matematica, all’Università “La Sapienza” di Roma  . Vincitrice di concorso a cattedra per la classe matematica e fisica, ha  insegnato a Roma nel liceo scientifico  “Cavour” e ha collaborato con la S.S.I.S del Lazio in qualità di insegnante accogliente per i tirocinanti. In pensione dal 2009, ha partecipato al progetto del MIUR “La prova scritta di Matematica degli esami di Stato nei Licei Scientifici: contenuti e valutazione”  . Collabora alle attività di formazione della Mathesis.

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I sessant’anni della scuola media

I sessant’anni della scuola media. Storia dei cambiamenti avvenuti negli insegnamenti di matematica e scienze in un’ottica fusionista.
Giacinto Bosco (1905 – 1997)
La legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 istituì la scuola media unica per tutti i preadolescenti italiani.
Dopo la pubblicazione dei programmi per la scuola elementare nel 1955, dominava un marcato ottimismo circa la definizione dell’assetto da dare alla scuola media, problema reso peraltro impellente dal dettato costituzionale sull’obbligo scolastico. Ci fu bisogno però di un ulteriore settennio di maturazione perché fosse varata la più importante legge del sistema scolastico italiano del dopoguerra,  la legge 31 dicembre 1962, n. 1859, che istituisce e ordina la «nuova» Scuola Media:
Art.1. — Fini e durata della scuola
                 In attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare è impartita gratui­tamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di primo grado.                La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i princìpi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva.
 Art. 2. — Piano di studi
                 Il piano di studi della scuola media comprende i seguenti insegnamenti obbligatori: religione (con la particolare disci­plina di cui alla legge 5 giugno 1930, n. 824); italiano, storia ed educazione civica, geografia; matematica, osservazioni ed elementi di scienze naturali; lingua straniera; educazione artistica; educazione fisica.Sono inoltre obbligatorie nella prima classe le applicazio­ni tecniche e l’educazione musicale che diventano facoltative nelle classi successive.Nella seconda classe l’insegnamento dell’italiano viene in­tegrato da elementari conoscenze di latino, che consentano di dare all’alunno una prima idea delle affinità e differenze fra le due lingue.Come materia autonoma, l’insegnamento del latino ha ini­zio in terza classe; tale materia è facoltativa.L’alunno che intenda seguire insegnamenti facoltativi può sceglierne uno o più all’inizio di ogni anno scolastico.Per assicurare con la partecipazione attiva di tutti  gli insegnanti la necessaria unità di insegnamento  il Consiglio di Classe si riunisce almeno una volta al mese[1].
I programmi, gli orari e le prove di esame furono stabiliti con D. M. del 24.4.1963 e pubblicati nel supplemento ordinario n. 1 della G.U. n.124 dell’11.5.1963.
La Matematica e le Osservazioni ed elementi di scienze naturali vi figurano come corsi distinti. La matematica ha 3 ore in ciascuna classe del triennio, e prevede agli esami di licenza prove scritte e orali; alle Osservazioni ed  elementi di scienze sono assegnate 2 ore in prima e in seconda classe e 3 ore nella terza, un voto per l’orale e uno per la pratica.
È  successivamente che avviene il “pasticcio”: è il D.P.R. 15.11.1963 n. 2063 che abbina gli insegnamenti istituendo una cattedra di 16 ore d’insegnamento settimanali per ciascun corso.
Non fu una soluzione inventata dalla sera alla mattina, ma v’era stato un lungo dibattito e un’esperienza di sperimentazione avviata già dal 1957 in molte scuole[2]. Se da una parte, però, la scelta fu determinata anche da motivi organizzativi e pratici  (tra l’altro anche la previsione della necessità, di lì a pochi anni, di un numero elevato di docenti), dall’altra si era formato il convincimento, condiviso più dai politici e dai pedagogisti che dai matematici, che fosse necessario a tale livello di età non frantumare troppo gli insegnamenti. Si riconosceva, infatti, che uno dei vantaggi dell’antico ginnasio inferiore, che anche la scuola media di Bottai (1940) aveva ereditato, era costituito dall’insegnante di classe, il quale svolgendo l’intero gruppo letterario (italiano, latino, storia, geografia, a cui poi si era aggiunta l’educazione civica) “dava di fatto unità all’insegnamento, continuando in certo modo l’unicità di insegnante della scuola elementare, ed evitando nella delicata età della preadolescenza la molteplicità di metodi e di impostazione, inevitabilmente congiunta con la molteplicità di insegnanti. Da questo punto di vista… sembra molto opportuno l’abbinamento della matematica con le osservazioni ed elementi di scienze naturali, che tuttavia pare abbia sollevato difficoltà da parte di alcuni insegnanti di queste discipline”[3]
Tullio Viola (1904 – 1985)
Le difficoltà consistevano, è ovvio, nel dover insegnare cose che non si conoscevano e questo valeva sia per i laureati in matematica che per i laureati in scienze.
A farsi portavoce di tali difficoltà fu l’UMI, il cui ufficio di Presidenza espresse voto unanime contro l’abbinamento perché  “non giova né alla serietà né alla efficacia dell’insegnamento ed è lesivo dei diritti degli insegnanti di ruolo di Matematica”. Ma anche la Mathesis,  presidente Tullio Viola[4] (1904-1985, nella foto a lato), provvide ad inviare al Ministro un “Manifesto” con le firme di 637 docenti che giudicavano “l’abbinamento tra le due materie come fatalmente e gravemente dannoso anche dal solo punto di vista della formazione dei giovani allievi dagli 11 ai 14 anni”. Ad eccezione delle osservazioni sul disagio dei professori di matematica i quali, pur in presenza di un minor numero di classi affidate, sono costretti ad insegnare le scienze, le motivazioni addotte contro l’abbinamento  appaiono, però, abbastanza ripetitive, basandosi sulla impreparazione dei docenti ad insegnare ugualmente bene la matematica e le scienze.
Giganteggia, invece, la figura di B. de Finetti che ovviamente è per l’abbinamento: lui è sempre e solo per la “fusione”.
Vorrebbe non solo non separare la persona (un esempio che fa anche, contrariamente a quel che tutti propongono, per il caso dell’insegnante di matematica e fisica) ma neppure le ore d’insegnamento  (e così sarà in seguito). Espone e motiva la sua posizione in modo esauriente, ponendo a fondamento del suo ragionamento l’assioma: «Nessuna disciplina, avulsa dal contesto generale, giustifica la propria esistenza e la fatica imposta a chi deve apprenderla» e arriva finanche ad abbozzare un possibile futuro libro di testo organizzato a mo’ di dizionario enciclopedico.
La sua è un’idea nuova confacente a quel clima culturale, pedagogico e didattico che favorisce l’abbinamento.
È  quel clima che si alimenta dell’opera di Emma Castelnuovo e di altre voci nuove. Ancor prima che l’abbinamento fosse sancito dal D.P.R. del mese di novembre, nella sua “Didattica della Matematica”, la cui prima edizione è del marzo 1963, con riferimento ai “continui ravvicinamenti” dei due corsi, la Castelnuovo scrive:
« Siamo certamente tutti d’accordo nel riconoscere che l’edu­cazione scientifica deve avere per scopo di far passare da una visione fantasiosa, magica, sovrannaturale del mondo che ci cir­conda ad un’obiettiva consapevolezza e ad un sereno giudizio dei fenomeni naturali; deve essere, in breve, una continua asce­sa nell’arte del saper guardare. Ora, mi sembra di poter distin­guere in questa ascesa quattro grandi periodi ai quali dovreb­bero corrispondere quattro tappe nel corso triennale:
I) L’osservazione dei passatempi preferiti dal bambino sui 10-11 anni ci offre l’opportunità di una scoperta pedago­gica; è a quell’età che si acuisce nel bimbo la passione clas­sificatoria: raccolta di figurine, di francobolli, di farfalle, ecc. Il collezionismo è — per usare una felice espressione della Montessori — il “momento sensibile” del periodo intorno ai 10 anni. È dunque proprio a questa età, nel primo anno della scuola media, che dobbiamo interessare i ragazzi alla classificazione degli animali e delle piante.[….] La costruzione di una classificazio­ne ha per scopo di organizzare le idee, di dare un ordine alle forme, al Ci accorgiamo di essere in piena costruzione matematica: è lo stesso processo mentale infatti che ci conduce, ad esem­pio in geometria, alla classificazione delle famiglie dei poligo­ni[….] Il “saper guardare” porta dunque il ragazzo, spontanea­mente, senza ausilio del numero, ma sorretto da un abito ma­tematico, ad una costruzione astratta basata su osservazioni qualitative: il bambino, analizzando il concreto, coglie analogie e diversità, raggruppa cose simili, forma delle classi, costruisce, sintetizza. Si può, per nostra comodità e guida di pensiero, associare questo periodo al nome di Aristotele.
II) Ma una più precisa osservazione esige la Se vogliamo approfondire la nostra indagine sulla natura dovre­mo cominciare a valerci non solo dell’abito matematico ma anche della matematica come strumento: dovremo osservare la natura misurando quello che i sensi e il pensiero ci sug­geriscono. Se avevamo associato il primo periodo al nome di Aristotele, potremo associare questo secondo periodo al nome di Leonardo da Vinci: «L’esperienza sui fenomeni naturali — dice Leonardo — va fatta misurando». Si troveranno rapporti, proporzioni, armonie nella natura, quelle stesse armonie che i Greci avevano trovato nell’arte. Così lo studio della botanica porterà alla scoperta della fillotassi, la zoologia e l’anatomia del corpo umano ci offriranno infiniti spunti e continuo terreno di ricerca. Al giudizio vago e personale si sostituiscono dei dati numerici, universali. Si va dunque avanti nell’arte di saper guardare; prima erano le somiglianze, le diversità, le forme, era il qualitativo, che ci faceva distinguere, discernere, scoprire gli invarianti; ora, in questo secondo periodo, il saper guardare vuol dire affinare i sensi con l’ausilio del numero: è il quantitativo che ci fa scoprire uguaglianze di rapporti, semplici leggi di proporzioni.
III) Ma la sola misura in un certo numero di casi non è spesso sufficiente per scoprire la legge. Dobbiamo arrivare al terzo stadio, al sistema ipotetico-deduttivo di Galilei per poter dare al ragazzo la consapevolezza della potenza dello strumento matematico allo scopo di riuscire a leggere nel «gran libro della natura».
Galileo si rivolge, come Leonardo, all’esperienza, ma non si accontenta di ciò che essa dà spontaneamente. La natura viene provocata, interrogata, idealizzata; si fanno delle ipo­tesi sui fenomeni che si rivelano ai sensi, si deducono da que­ste ipotesi delle conseguenze, si verifica con esperimenti se queste conseguenze sono esatte.
Anche a dei ragazzetti possiamo parlare del problema del­la caduta dei gravi: possiamo loro riferire dell’ipotesi di Ga­lileo che la velocità sia proporzionale al tempo; è difficile verifi­care direttamente questa legge, ma, se vale questa legge se ne trae la conseguenza che gli spazi sono proporzionali ai qua­drati dei tempi; e questa seconda legge è facile verificarla spe­rimentalmente. È vera allora l’ipotesi da cui eravamo partiti. Non è solo la potenza del procedimento ipotetico-deduttivo che il ragazzo coglie in un’esperienza di fisica molto meglio che in un ragionamento geometrico, ma egli comprende «sul vivo» la dinamicità di una formula, e questo è — a mio av­viso — un risultato importantissimo. Le formule che noi presentiamo nel corso di matematica appaiono in generale come qualcosa di fisso, di statico; cogliere la dinamicità di una for­mula significa entrare in pieno nel concetto di funzione […].
IV) il quarto periodo infine è quello di Cartesio, è l’identificazione di algebra e geometria attraverso un saper guardare che porta l’attenzione non più sul particolare ente (sia esso numero o figura), ma sulle leggi formali che legano questi enti.
La cattedra di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali
Le proteste dei matematici però non rimasero inascoltate. La C.M. 10 luglio 1965, n. 292 consentirà ai Presidi di affidare a due docenti distinti, per ogni due corsi, l’insegnamento della Matematica e quello delle Osservazioni ed elementi di scienze naturali. In tal caso, ovviamente, il docente che avrebbe assunto quest’ultimo insegnamento doveva completare il suo orario di cattedra in una classe collaterale, effettuando così 16 o 17 ore settimanali, mentre l’altro docente, insegnando la sola matematica per 3 ore settimanali in ciascuna classe dei due corsi, avrebbe avuto un carico orario di 18 ore settimanali. La prospettata soluzione però non ebbe gran seguito; i docenti preferirono sempre di più l’impegno nelle sole tre classi di un corso mantenendo l’abbinamento dei due insegnamenti.  Si arriva così dodici anni più tardi con la L. 348 del 16.6.1977 a sancire un insegnamento unitario che assume la denominazione di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali al posto di Matematica e Osservazioni ed Elementi di Scienze Naturali. Un insegnamento di matematica e di scienze integrate, finalizzato anche all’educazione sanitaria, che la legge potenzia portando la cattedra da 16 a 18 ore, 6 ore per classe senza altra distinzione interna. Saranno i programmi del 1979[5] a raccomandare di prevedere  per ciascun anno una distribuzione equilibrata dei tempi da dedicare rispettivamente alla matematica e alle scienze sperimentali, e ciò  perché, dati i frequenti collegamenti e la costante interazione prevista nel lavoro di classe fra la matematica e le scienze sperimentali, non è possibile stabilire una rigida ripartizione dell’orario settimanale fra le due aree.
Quei programmi del 1979 rappresentano il punto di arrivo e la meta qualitativa più elevata delle riflessioni sul rinnovamento pedagogico e didattico che aveva infervorato l’ultimo ventennio. Alla loro redazione lavorarono molti dei personaggi che quel dibattito avevano alimentato. realizzando un documento che ancora oggi si presenta il  più completo e maturo e di armonica e coerente sintesi di pedagogia e scienza. Quei programmi, definiti anche tra i migliori d’Europa, rimasero, sia per l’organizzazione dei contenuti in grandi temi che per la modalità di scrittura e per i principi pedagogici, il riferimento per i programmi ministeriali che li seguirono, da quelli delle elementari del 1985 a quelli per il PNI e a quelli del progetto Brocca, cioè fino a quando ha avuto un senso parlare di programmi ministeriali.
La legge sull’autonomia scolastica (1997) infatti affiderà alle scuole il compito di costruire il programma di insegnamento, riservando al Ministero quello di definire gli obiettivi formativi cui i programmi delle scuole, tutte le scuole del territorio nazionale, devono tendere. Ai programmi ministeriali si sostituiscono così le Indicazioni Nazionali,  ovvero gli standard di conoscenze e competenze che ogni scuola avrebbe dovuto perseguire. Un cambiamento la cui influenza sul piano pedagogico e didattico si palesa  potenzialmente notevole.
Le prime Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, primaria e secondaria di primo grado (non si chiama più scuola media), sono del 2004  legge Moratti).  Esse non fanno più riferimento ad una cattedra di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali, ma contemplano l’insegnamento di Matematica e l’insegnamento di Scienze e Tecnologia. L’unitarietà degli insegnamenti così faticosamente raggiunta fu così rinnegata,[6] smembrata anche nel piano orario che su base annua assegnava mediamente 127 ore alla Matematica e 118 ore complessive a Scienze e Tecnologia, ovvero 85 per Scienze e 33 per Tecnologia[7]. Una separazione però durata poco, poco gradita a docenti, presidi e famiglie e all’amministrazione per le difficoltà di gestione delle cattedre (per legge di 18 ore), e gli stessi matematici sono ritornati sulle loro posizioni e hanno lasciato correre. Le attuali Indicazioni Nazionali, in vigore dal 1° settembre 2013, ricostituiscono l’unitarietà perduta: c’è un solo insegnamento, e non si chiama Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali, ma ha la denominazione di Matematica e Scienze con sei ore settimanali indivise. Il problema però rimane: è quello dei docenti cui si chiede di possedere padronanza di un campo vastissimo di conoscenze e abilità non sorretto da opportunità formative adeguate.
I principi pedagogici e i contenuti dei programmi della scuola media del 1963 e del 1979
Già la premessa ai programmi del 1963 scandisce in chiare e precise raccomandazioni ai docenti quello che è il frutto migliore del pensiero pedagogico:

La continuità pedagogica (non occorre cominciare da zero): sarà […] necessario raccordarsi con l’insegnamento elementare utilizzando subito le nozioni che l’alunno già possiede (per esempio quelle sulle aree di particolari poligoni, sul sistema metrico decimale, ecc.).
L’ordine della trattazione: la ripartizione del programma nei tre anni di corso e l’ordine degli argomenti per ciascuno di essi non hanno valore vincolante. Ad esempio, già nella prima classe, accennando alle successive estensioni del concetto di numero, potrà essere anticipata la nozione di un numero relativo.
L’insegnamento a spirale: l’insegnante che in relazione allo sviluppo psicologico dell’alunno non abbia ritenuto di trattenersi a lungo sui capitoli più complessi, accontentandosi di una prima, sia pure approssimata, visione d’insieme, riprenderà in seguito i medesimi argomenti per un’analisi più approfondita al fine di un migliore svolgimento del programma.
Pedagogia dell’interesse, metodo genetico: nel passaggio dallo studio dei numeri interi a quello dei razionali e dei relativi, il professore potrà far cogliere agli alunni il processo storico e quello formale che hanno condotto alle successive estensioni del numero. Potrebbe anche essere utile dare un cenno, sotto la stessa luce, dei numeri irrazionali che si presentano con l’estrazione di radice quadrata.
Unità della matematica, fusionismo di de Finetti: sarà cura costante l’armonizzare l’aritmetica con la geometria.
Fusionismo in geometria: argomenti di geometria dello spazio potranno essere introdotti parallelamente ad altri riguardanti il piano, se una qualche analogia facilita la comprensione  (quadrato e cubo…).
Visualizzazione, operatività: è consigliabile, ogni volta che se ne presenti l’occasione, il ricorso ai “grafici “, per la traduzione visiva che essi forniscono delle più varie circostanze, tenendo conto che l’insegnamento parallelo di osservazioni ed elementi di scienze naturali offrirà frequenti spunti per la rappresentazione grafica di relazioni.
La sistemazione e la riflessione su ciò che si sa, dal concreto all’astratto: nella terza classe si [….] porterà [….] l’alunno a ripensare e a riflettere sul programma svolto nelle tre classi al fine di far cogliere il senso e la necessità del passaggio da uno studio sperimentale e concreto a concezioni astratte e indagini razionali.
Pedagogia del controesempio: si terrà presente che una nozione può assumere un più chiaro significato se messa a raffronto con una nozione antitetica o parallela : così, per esempio, il sistema di numerazione decimale acquista tutto il suo valore ove lo si confronti con sistemi non posizionali o con sistemi a base diversa dal dieci ; e così, per mettere in risalto le proprietà formali delle operazioni, l’insegnante potrà portare esempi di leggi di composizione su insiemi numerici e non numerici, in cui tali proprietà vengano a mancare.
Metodo euristico, il valore dell’esercizio: l’esercizio non dovrà essere soltanto strumentale per il consolidamento della tecnica delle operazioni e dei procedimenti; esso deve essere inteso a fare gradualmente acquisire all’alunno il pieno possesso dei significati concettuali. Pertanto non ci si dovrà trattenere su complicati calcoli (espressioni aritmetiche laboriose; scomposizioni in fattori primi di numeri molto grandi; …).
Metodo attivo: alcune esercitazioni consisteranno in relazioni scritte e orali aventi il fine precipuo di fare esprimere all’alunno il proprio pensiero su elementari questioni matematiche derivanti da osservazioni spontanee e sopra le quali l’insegnante avrà chiamato la sua attenzione con suggerimenti, esperienze e ricorso a sussidi didattici (modelli, dispositivi, ecc.). Tali relazioni abitueranno l’alunno alla riflessione, alla correttezza e alla sobrietà di espressione.

 Con chiarezza, sobrietà e concisione si esprime quasi tutto: dai metodi dell’insegnamento attivo, alla pedagogia del controesempio, al metodo bruneriano (ma già di Comenio) dell’approfondimento ciclico o a spirale, dal fusionismo ad un primo accenno di riferimento alla matematica moderna (le leggi di composizione), dal valore della prospettiva storica e dell’esercizio, all’invito a parlare e scrivere di matematica.
Non c’è nulla che non vada e tutto è talmente chiaro e comprensibile che ogni riflessione, ogni possibile miglioramento non può che andare proprio nella direzione di mirare a rafforzare quei principi pedagogici e ad esplicitare meglio taluni contenuti adeguandone anche il linguaggio ai nuovi tempi. È su questo che si discute nell’arco di un quindicennio[8]:  si concorda che manca un riferimento esplicito alla matematica moderna e principalmente agli insiemi e alle strutture e ancora  alla statistica e alla probabilità, alla matematizzazione del reale, alle tecnologie, e si ammette che va precisato meglio il previsto “ricorso ai grafici”, dunque alla geometria cartesiana. Infine va data una risposta alle questioni sull’ordine della trattazione: genetico, psico-genetico, per problemi, ecc.
I programmi del 1979 realizzano tutto ciò prevedendo sette “grandi temi” che mostrano già nei titoli ciò che dei contenuti si vuole rimarcare e rafforzare:

La geometria prima rappresentazione del mondo fisico
Insiemi numerici
Matematica del certo e matematica del probabile
Problemi ed equazioni
Il metodo delle coordinate.
Trasformazioni geometriche
Corrispondenze ed analogie strutturali.

Sul piano pedagogico le concezioni e i metodi già presenti nella premessa del ’63 trovano un loro completamento:
–    nell’insegnamento dinamico della geometria: lo studio della geometria trarrà vantaggio da una presentazione non statica delle figure, che ne renda evidenti le proprietà nell’atto del loro modificarsi; […] La geometria dello spazio non sarà limitata a considerazioni su singole figure, ma dovrà altresì educare alla visione spaziale. È  in questa concezione dinamica che va inteso anche il tema delle trasformazioni geometriche.
–    nell’insegnamento per problemi: si terrà presente che risolvere un problema non significa soltanto applicare regole fisse a situazioni già schematizzate, ma vuol dire anche affrontare problemi allo stato grezzo[9] per cui si chiede all’allievo di farsi carico completo della traduzione in termini matematici.
Ad una didattica per problemi è direttamente connesso il riferimento esplicito alla  matematizzazione intesa come interpretazione matematica della realtà nei suoi vari aspetti (naturali, tecnologici, economici, linguistici…) e particolare rilievo viene ancora dato alla interdisciplinarità e alla operatività: si farà ricorso ad osservazioni, esperimenti, problemi tratti da situazioni concrete così da motivare l’attività matematica della classe e  si sottolineano i legami con la formazione della competenza linguistica, con l’educazione tecnica, con la geografia (metodo delle coordinate, geometria della sfera, …), con l’educazione artistica (prospettiva, simmetrie,…).
Per quanto riguarda gli argomenti, forte è il riferimento all’uso dei materiali[10], e raccomandate sono altresì le costruzioni con riga e compasso e l’uso ragionato degli strumenti di calcolo.
Dopo le accuse di insiemistificazione, il riferimento agli insiemi è posto in una formulazione saggia: il linguaggio degli insiemi potrà essere usato come strumento di chiarificazione, di visione unitaria e di valido aiuto per la formazione di concetti. Si eviterà comunque una trattazione teorica a sé stante, che sarebbe, a questo livello, inopportuna.
Una limitazione è poi inferta ad uno strumento antichissimo:
le proporzioni,  che hanno sempre occupato un posto importante nell’insegnamento già dalle elementari con un legame privilegiato con la realtà e la risoluzione di problemi concreti. Ad esempio, nell’istituto magistrale (l’indirizzo di studio che ha preparato eserciti di maestri)[11] erano particolarmente importanti per le finalità educative e perché consentono di risolvere un’ampia classe di problemi di applicazione dell’algebra alla geometria in modo elementare,   riconducendoli in genere ad equazioni di primo grado (noti il rapporto tra due grandezze e la loro somma o differenza o prodotto, o somma dei quadrati, ecc. ). Ad evitare esagerazioni, nei programmi del 1979 è scritto: l’argomento […] non deve essere appesantito imponendo, come nuove, regole che sono implicite nella proprietà delle operazioni aritmetiche, ma deve essere finalizzato alla scoperta delle leggi di proporzionalità (y = kx; xy = k).
Per quanto riguarda gli argomenti “nuovi”, il successo pieno spetta però alla geometria cartesiana:
il  metodo delle coordinate con il rappresentare graficamente fenomeni e legami fra variabili, aiuterà a passare da un livello intuitivo ad uno più razionale. Alcune trasformazioni geometriche potranno essere considerate anche per questa via. E quella delle coordinate è una via che è divenuta quasi maestra nella pratica didattica a tutti i livelli di scolarità. Tant’è che nella prova scritta di matematica agli esami di licenza media  la geometria analitica è apparsa sempre presente in almeno uno dei 3 o 4 quesiti in cui è articolata la prova[12].  Né la situazione sembra essere mutata in questi anni di disorientamento normativo: dalle prime Indicazioni Nazionali Moratti a quelle Fioroni e alla loro armonizzazione in vigore dal primo settembre del 2013.
Bruno de Finetti (1906-1985)
L’ordine e la struttura per temi
Una rilevanza decisamente maggiore assume poi l’attività di sistemazione e di riflessione su ciò che si è appreso, che trova una suo riferimento specifico soprattutto nel tema 7 ed è rimasta una costante nella didattica della matematica, tenuta particolarmente presente nella redazione dei successivi programmi. Dal punto di vista pedagogico è l’affermazione del convincimento che l’organizzazione dei contenuti matematici debba seguire la formazione dei concetti (Polya: concept formation) ed è la via da seguire per l’introduzione di un’assiomatica. Per la geometria, ad esempio, l’obiettivo da perseguire nella scuola superiore sarà di costruirne l’organizzazione invece di darla come cosa già bella e fatta, in una sua confezione tipo. La sistemazione logica dei contenuti è rinviata agli anni conclusivi del ciclo di studi secondari e ciò trova concretizzazione nei programmi per il PNI e nei piani di studi Brocca, come già detto precedentemente[13]. Si parte invece nei bienni con un lavoro propedeutico di organizzazione logica di piccole “parti”, un insieme ben definito di teoremi legati in una catena deduttiva che fa trasparire l’inferenza logica e prepara il campo alla comprensione del significato di un sistema deduttivo.
Sono  però l’ordine della trattazione e la modalità della struttura per temi le caratteristiche che risaltano di più.
Mentre i programmi del 1963 sono ripartiti per anno e sembrano quasi contraddire quello che è detto nella bella premessa, quelli del 1979 rompono con gli itinerari standard e canonici, chiariscono che non c’è una sistemazione comoda della matematica, riferimento di una via didattica altrettanto comoda, e rimettono alla professionalità dei docenti la scelta del percorso più efficace: “Nel programma i contenuti sono raggruppati in temi  e non elencati in ordine sequenziale, al fine di facilitare la individuazione di quelle idee che appaiono essenziali allo sviluppo del pensiero matematico degli allievi.”  Il docente non deve ripercorrere nell’insegnamento quella che è stata la sua linea di apprendimento né avere a riferimento un ben definito ed esclusivo sviluppo del pensiero matematico, ma deve essere attento a farlo lievitare nei giovani, pronto e sensibile a  manovrare concetti e procedure da saldare insieme trovandone sempre nuovi accostamenti. “I temi – è scritto – non devono essere quindi intesi come capitoli in successione, ma argomenti tratti da temi diversi potranno, in sede di programmazione, alternarsi ed integrarsi nell’itinerario didattico che l’insegnante riterrà più opportuno”.
La struttura per temi, come già più volte detto, è una modalità che ha avuto successo.
Presa a modello e utilizzata nei successivi documenti, ha tuttavia mostrato col tempo alcuni suoi limiti: per esempio,  induce ad accrescere oltre il sostenibile l’ampiezza dei programmi a scapito della coerenza interna degli argomenti. Si parla dei programmi come di raccolte antologiche, di serbatoi enciclopedici. Si cerca di porvi riparo con la tendenza a voler essere più precisi, a dettagliare e ripartire gli argomenti, a corredarli di osservazioni, orientamenti, raccomandazioni e finanche di esempi di esercizi. È un segnale dell’impoverimento della riflessione nel settore della didattica matematica, che si registra tuttavia proprio quando i tempi sono maturi per l’affermazione di un’altra significativa novità, un’altra pietra miliare, e cioè il passaggio dai Programmi Ministeriali  alle Indicazioni Nazionali della legge sull’autonomia scolastica (L. 59/1997 e D.P.R. n.275/99).
Esso stabilisce la dimensione individuale e personale del programma,  che viene affidato alla singola istituzione scolastica e al singolo docente, mentre riserva all’Amministrazione della Scuola il compito di dettare, per l’intero territorio nazionale le mete, i traguardi di conoscenze ed abilità che lo studente deve possedere e la scuola deve aiutare a raggiungere e ad acquisire. A tali finalità avrebbero dovuto, per norma, corrispondere le Indicazioni Nazionali.
NOTE
[1]   La facoltatività degli insegnamenti (reintrodotta dalla L.53/2003) fu eliminata nel 1977 con la legge n.348.
[2] È  la prima esperienza di sperimentazione cui diede un impulso particolare il Ministro Giacinto Bosco. Nell’anno scolastico 1962/63 funzionavano 300 terze classi e 3 mila seconde classi sperimentali; il loro numero rappresentò un argomento decisivo con cui l’allora ministro Luigi Gui sollecitò il Parlamento all’approvazione della legge istitutiva.
[3] C. Motzo Dentice di Accadia, L’obbligo scolastico e la nuova scuola media, LSE, Napoli, 1965.
[4] «E quali non furono le sue preoccupazioni per la riforma della Scuola Media Inferiore! E quale fu il suo dolore per la battaglia.. … che lo vide perdente, contro l’abbinamento folle dell’insegnamento della Matematica alla Chimica, alla Fisica, alle Scienze Naturali nella Scuola Media unica?» da P. Dupont, Tullio Viola: Un esempio da imitare, Periodico di Matematiche 3/1986.
[5] Furono emanati con il D.M. 9 Febbraio 1979 del Ministro Pedini e pubblicati nel  S.O. alla Gazzetta Ufficiale n.50 del 20 Febbraio 1979. Della commissione fecero parte i matematici:   Giuseppe Arcidiacono, Luigi Campedelli, Emma Castelnuovo, Liliana Chini Artusi, Cesarina Dolfi, Michele Laforgia, Lucio Lombardo Radice, Giovanni Prodi, Francesco Speranza, Vinicio Villani.
[6] la battaglia per la separazione della cattedra, invece di affievolirsi è stata perseguita, in particolare dall’UMI, all’interno delle commissioni di studio costituite per l’elaborazione delle Indicazioni.
[7] Dall’anno  scolastico 2006/07 portate a 66 ore.
[8] Le critiche non sono mancate. Significativa quella di Don Milani:  “La seconda materia sbagliata è matematica. Per insegnarla alle elementari basta sapere quella delle elementari. Chi ha fatto la terza media ne ha tre anni di troppo [….] In quanto alla matematica superiore come parte della cultura generale si può provvedere in altro modo. Due o tre conferenze d’uno specialista che sappia dire a parole in che consiste […] Non è vero che occorra la laurea per insegnare matematica alle medie. È una bugia inventata dalla casta che ha i figlioli laureati. Ha messo la zampa su 20.478 posti di lavoro un po’ speciali. È la cattedra dove si lavora meno (16 ore settimanali) – È quella in cui non occorre aggiornarsi. Basta ripetere per anni le stesse cretinate che sa ogni bravo ragazzino di terza media. La correzione dei compiti si fa in un quarto d’ora. Quelli che non son giusti sono sbagliati” (da Lettera a una Professoressa, 1968)
[9] È un’espressione molto significativa, quasi trascurata però, per dire di problemi mancanti di qualche dato o da “raffinare” nelle richieste, che consentono anche una personalizzazione della formulazione.
[10] Le esperienze didattiche che E. Castelnuovo realizza già dagli anni ’50  sono diffusissime ed oggetto di “mostre” molto apprezzate. Diffusi sono anche, specie a livello primario, il materiale strutturato di Dienes, i regoli di Cuisinaire-Gattegno, quelli di Stern, i geopiani di Gattegno, le esperienze di Libois e di Papy (il minicomputer) e il materiale “povero” della pedagogia della Montessori.
[11] L’ultima maturità per i “maestri”  c’è stata nel 1999 e con essa c’è stato l’ultimo problema per i maestri: una specialità tutta italiana di algebra applicata alla geometria e di legame con la realtà (cose che oggi si sbandierano senza conoscerne la storia).
[12] D.M. 26.8.1981: “La prova scritta di matematica deve tendere a verificare le capacità e abilità essenziali indicate dai programmi ministeriali, con riferimento ad un certo numero di argomenti scelti tra quelli maggiormente approfonditi nel triennio. A tal fine si darà una prova che dovrà riferirsi a più aree tematiche (fra quelle previste dai programmi) e a diversi tipi di conoscenze; la prova sarà articolata su tre o quattro quesiti, che non comportino soluzioni dipen­denti l’una dall’altra. In tal modo si eviterà che la loro progressione blocchi l’esecuzione della prova stessa. Ad evitare una suddivisione troppo schematica dei contenuti, argomenti tratti da temi diversi potranno opportunamente coesi­stere nei singoli quesiti.
I quesiti potranno toccare sia aspetti numerici sia aspetti geometrici sen­za peraltro trascurare nozioni elementari nel campo della statistica e della probabilità. Uno dei quesiti riguarderà gli aspetti matematici di una situazione avente attinenza con attività svolte dagli allievi nel corso del triennio nel campo delle scienze sperimentali, dell’educazione tecnica o eventualmente di altri ambiti di esperienza.
Ogni commissione deciderà se e quali strumenti di calcolo potranno essere consentiti dandone preventiva comunicazione ai candidati. Durata della prova: tre ore.
[13] Didattica delle Scienze, n. 248, diretta da Mauro Laeng
L’articolo è in gran parte tratto da: Emilio Ambrisi, I 120 anni della Mathesis, Aracne 2015

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