Venere censurata a Berlino, Sforzini (Rinascimento): “Lo Stato italiano protesti formalmente. Attacco alla nostra anima e alla nostra civiltà”

Castello di Castellar Ponzano, 27 maggio 2025 – La recente rimozione di una statua della Venere classica da un museo di Berlino, etichettata come “sessista” da alcuni ambienti woke, ha sollevato un acceso dibattito culturale. Luca Sforzini, fondatore del movimento politico e culturale Rinascimento, ha definito questo gesto come un attacco diretto all’Italia e alla sua storia.

Un attacco alla bellezza e all’identità italiana

“Non si tratta di una boutade marginale, ma di un attacco culturale e simbolico che colpisce direttamente l’Italia, la sua storia, la sua anima,” ha affermato Sforzini. Il movimento Rinascimento chiede ufficialmente allo Stato italiano di presentare una protesta formale presso le autorità tedesche. “Non si può più tacere: si sta profanando ciò che abbiamo di più sacro – la bellezza, l’arte, l’identità,” ha aggiunto.

La censura della Venere: un gesto ostile

Sforzini non ha risparmiato critiche nei confronti di chi ha avallato questa decisione: “Chi censura Venere censura l’Italia. È un gesto ostile verso la nostra civiltà, verso i nostri maestri, verso l’idea stessa di ciò che siamo.” Ha poi messo in discussione il giudizio contemporaneo sui grandi artisti del Rinascimento, affermando: “Michelangelo, Botticelli, Raffaello sarebbero oggi giudicati ‘sessisti’ da questi folli. E questo non è più tollerabile.”

Ignoranza e disprezzo per la grandezza culturale

Nel suo intervento, Sforzini ha denunciato una “corrente autodistruttiva, nata nei campus americani e travestita da ‘progresso’,” che sta infettando l’Europa. “La cancel culture è la nuova arma dei mediocri: chi non crea nulla pretende di distruggere tutto. E chi non ha bellezza nell’anima vuole negarla a tutti,” ha proseguito.

Un appello alla difesa dell’identità italiana

Sforzini, nel suo libro RINASCIMENTO – L’Uomo al centro del mondo, denuncia da anni questa deriva nichilista. “Siamo immersi in una vera e propria strategia del lamento: un meccanismo culturale che trasforma ogni dissenso in colpa e ogni voce non allineata in bersaglio,” ha affermato.

Rinascimento non accetta questa “barbarie travestita da etica.” “L’Italia deve reagire, con fierezza e dignità. O difendiamo ora la nostra identità – o la perderemo in silenzio, pezzo dopo pezzo, fino a svegliarci in un continente che cancella la Venere, ma celebra l’ignoranza,” ha concluso Sforzini.

L’importanza della voce italiana

“Chi tocca la Venere tocca l’Italia. E l’Italia, se è ancora consapevole di sé, deve farsi sentire,” ha ribadito Sforzini, sottolineando l’importanza di una reazione collettiva di fronte a tali attacchi culturali.

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Vi racconto la Venere di Milo

La bellezza per antonomasia. La classità per definizione. Il capolavoro scultoreo per eccellenza.Questo (e tanto altro) è la Venere di Milo, l’eccezionale statua greca conservata al Louvre.
È una delle sculture più famose del mondo, un capolavoro di età ellenistica, ma non tutti ne conoscono la storia a luci e ombre e le infinite reinterpretazioni fatte dagli artisti.

Tutto ha inizio l’8 aprile del 1820 quando Yorgos Kentrotas, un contadino greco che abitava sull’isola di Milo, nell’arcipelago delle Cicladi, colpì con la sua pala qualcosa di molto duro.

Stava cercando pietre per rinforzare la recinzione del suo campo quando dal terreno spuntò fuori un busto di marmo pario senza braccia, del tutto inutile per le necessità del contadino.
Il caso volle che si trovasse da quelle parti anche Olivier Voutier, un giovane ufficiale della marina francese appassionato di archeologia, la cui nave Chevrette era ormeggiata sull’isola. L’uomo passeggiava tra i ruderi dell’antico teatro greco, incantato dagli innumerevoli frammenti di statue che emergevano dal terreno. Ma vedendo il contadino, a poca distanza da lui, fermo a osservare qualcosa nella buca che stava scavando, si avvicinò per curiosare.

Ecco come Voutier ricorda quel momento: “Aveva appena scoperto la parte superiore di un statua in cattive condizioni e, non potendo essere utilizzata per la sua costruzione, stava per ricoprirla di macerie. Con la punta di qualche piatto l’ho fatta invece uscire. Non aveva le braccia, il naso e il nodo di i capelli erano spezzati, erano terribilmente sporchi. Tuttavia, a prima vista, si riconosce un pezzo notevole. Ho esortato il mio uomo a cercare l’altra parte. Presto si è imbattuto in essa. Poi ho fatto assemblare la statua. Chi ha visto la Venere di Milo può immaginare il mio stupore!”.Ed ecco come ha disegnato quel ritrovamento.

La scoperta della statua suscitò grande entusiasmo anche nell’ammiraglio Jules Dumont d’Urville che si fece subito avanti per acquistarla. Ma Pierre-Henry Gauttier du Parc, il capitano della Chevrette, si oppose a quella trattativa rifiutandosi di trasportare un manufatto tanto fragile.

A quel punto il contadino pensò bene di cercare un nuovo acquirente in un monaco ortodosso che intendeva offrirla a un funzionario ottomano del sultanato di Costantinopoli. D’Urville allora scrisse immediatamente all’ambasciatore di Francia a Costantinopoli: non poteva lasciarsi sfuggire un pezzo così pregiato! L’ambasciatore acconsentì all’acquisto, anzi diede l’ordine di comprare la scultura a qualsiasi prezzo.

Il suo interesse però non era tanto di tipo artistico, ma smaccatamente politico. Quella statua, un raro esemplare greco originale e non una copia romana, alta poco più di due metri, avrebbe compensato lo smacco subito dalla Francia che, dopo il Congresso di Vienna, nel 1815, aveva dovuto restituire ai vari stati italiani la Venere Medici, l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte, alcuni dei capolavori classici sottratti con le spoliazioni napoleoniche.
Grazie alla Venere di Milo, per altro, Parigi poteva tornare a competere con Londra – che da alcuni anni si era appropriata dei marmi del Partenone – e con Monaco di Baviera, la cui Gliptoteca conservava i preziosi frontoni provenienti dal tempio di Afaia, sull’isola greca di Egina.
Dopo estenuanti trattative con il monaco e con la comunità dell’isola di Milo i francesi finalmente si aggiudicarono la statua e la imbarcarono alla volta della corte di re Luigi XVIII che nel 1821 ne fece dono al Louvre.

L’azione di propaganda iniziò immediatamente: la statua, inizialmente attribuita a Fidia o a Prassitele (ma oggi datata al 150-125 a.C.) fu esposta al centro di una grande sala del Louvre e i calchi vennero inviati alle Accademie di Belle Arti affinché i giovani studenti potessero copiarla. Doveva diventare a tutti i costi un simbolo universale di bellezza.Per questo si aprì subito il dibattito sulla possibilità di completarla con due nuove braccia, come si usava fare all’epoca. Ma le ipotesi erano contraddittorie. Teneva una mela in mano? Scriveva su una lapide? Si guardava allo specchio?

Alla fine prevalse la decisione di lasciare la statua com’era (a parte l’aggiunta del piede sinistro, successivamente rimosso): la mancanza delle braccia, in fin dei conti, non ne diminuiva né il valore né la bellezza, anzi faceva convergere tutta l’attenzione sul raffinatissimo panneggio, sul busto levigato e su quel volto dall’espressione imperturbabile.

Per altro non era neanche certo che si trattasse di Venere: quell’identificazione era stata fatta da d’Urville e mai più rimessa in discussione. In verità una porzione di basamento originale, misteriosamente scomparso, portava delle iscrizioni collegabili forse alla statua di Poseidone ritrovata nello stesso luogo nel 1877, di cui la figura femminile avrebbe potuto essere la moglie  Anfitrite.

Ma è chiaro che una “Anfitrite di Milo” non avrebbe colpito l’immaginario collettivo come una “Venere di Milo” (che per essere precisi avrebbe dovuto chiamarsi Afrodite, alla greca). E d’altra parte la posa e la composizione somigliavano molto a quelle della Venere di Capua del Museo Archeologico di Napoli (copia romana di un originale greco rinvenuta nel XVIII secolo). Dunque, meglio lasciare tutto com’era…

La vera incoronazione come dea della bellezza arriverà poco tempo dopo, quando gli artisti iniziarono a prendere la Venere di Milo come modello per le loro opere d’arte. Il primo in assoluto è stato Eugène Delacroix: la sua Libertà che guida il popolo del 1830, infatti, si ispira alle Venere di Milo per quel busto nudo, per la gamba sinistra protesa in avanti e per il panneggio della veste.Questo omaggio però non bastò a fare apprezzare quella figura: le braccia robuste, le guance arrossate e i peli sotto le ascelle facevano somigliare la donna a una massaia piuttosto che a una dea!

Del 1841 invece, è questo dipinto intimista del danese Christoffer Wilhelm Eckersberg. È dedicato alla toilette del mattino ma quella schiena con i fianchi cinti dal tessuto è un esplicito riferimento alla Venere di Milo, come si può notare osservando il retro della statua.

Assieme alla fama purtroppo cominciano anche i pericoli. Nel 1870-1871, con l’infuriare a Parigi della guerra franco-prussiana, la Venere di Milo viene imballata in una cassa di legno e conservata in un luogo sicuro.

Al suo rientro a Louvre il curatore del museo iniziò degli studi approfonditi sulla statua scoprendo, tra le tante, che non si è spezzata in seguito a un incidente né è stata tagliata: la Venere è stata realizzata fin dall’inizio unendo due blocchi di marmo.
A partire dagli anni Ottanta viene ritratta più volte nella sala in cui era stata collocata, come presenza divina nella penombra del museo.

Intanto diventa oggetto di studio anche da parte degli artisti più insospettabili, come Cézanne e van Gogh.

La celebrità della scultura è testimoniata pure da alcuni dipinti che ne raffigurano delle miniature in ambienti domestici…

… o nell’atelier di una pittrice.

Ebbe grande diffusione anche il solo torso. Possiamo vederlo sia nello studio di uno scultore che in un soggiorno borghese.

Tutto cambia con l’arrivo del Surrealismo. Dopo cento anni dalla sua scoperta, quell’icona di bellezza, quel frammento di perfezione, perde per la prima volta la sua aura divina e diventa l’oggetto degli esperimenti espressivi più estremi.
Per primo inizia René Magritte con Les menottes de cuivre (Le manette di rame) del 1931. Si tratta di una copia della statua parzialmente ridipinta in rosa e blu, con la testa lasciata in bianco. Il titolo, ideato da André Breton, allude ironicamente all’assenza delle mani. È un’operazione dadaista simile ai baffi sulla Gioconda fatti da Duchamp nel 1919. E tuttavia Magritte ci aveva visto giusto: le statue greche erano colorate in modo da sembrare corpi veri.

Il 1936 è invece l’anno della Venere a cassetti di Salvador Dalì. Riprodotta in infinite varianti, è un’opera che si inoltra nel mondo della bellezza carnale, dell’eros e dei suoi segreti, rappresentati dai cassetti (un simbolo tratto dalla psicanalisi di Freud) aperti sul corpo della statua.

Nello stesso periodo si occupa della scultura anche Man Ray. La sua Venere restaurata del 1936 (un busto senza drappo sui fianchi) e la testa di Venere del 1937 sono una perfetta dimostrazione dello spirito iconoclasta che muoveva dadaisti e surrealisti. Stringere tra corde o catturare in una rete un pezzo di statua significa trattare quei capolavori come oggetti qualsiasi, oltre a suggerire simili fantasie erotiche sul corpo femminile.Ma in fondo non occorre cercare un significato. La testa di Venere dentro una rete da pesca è “bella come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio”, per usare le parole del poeta Lautréamont tanto care ai Surrealisti.

Tuttavia la dissacrazione della Venere di Milo non è stata un’invenzione di questi artisti. Già a partire dagli anni Dieci ci avevano pensato i pubblicitari a trasformare la dea della bellezza in testimonial più o meno ironico dei nuovi consumi di massa. Dai corn-flakes all’aspirina, dai corsetti alle stilografiche, ogni occasione era buona per accostare il proprio prodotto alla suprema perfezione della dea greca.

Ma nel 1939 la Venere è di nuovo in pericolo. Con l’avanzata delle truppe tedesche verso la Francia occorreva svuotare il Louvre dai suoi capolavori e spostarli in un luogo sicuro. Il direttore Jacques Jaujard chiuse il museo il 25 agosto 1939 (ufficialmente per manutenzione) e organizzò il trasloco di oltre 4000 opere – sia dipinti che sculture – chiudendole dentro 1862 casse di legno trasportate da 203 camion diretti verso il castello di Chambord.

Il 16 agosto 1940 i nazisti entrarono al Louvre. Con grande disappunto scoprirono che era completamente vuoto. Ma furono lieti di trovare la Venere di Milo ancora al suo posto. Quello che non sapevano è che la statua che stavano ammirando era una volgare copia in gesso.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Venere, quella vera, torna al suo posto. E in poco tempo ritorna al centro dell’interesse degli artisti, in quella sorta di continuo ritorno al passato, specialmente quello classico, che caratterizza l’arte occidentale.

Nel 1962 se ne occupa Niki de Saint Phalle con una delle sue azioni artistiche da poco inaugurate: realizza una copia cava della Venere, fissa al suo interno dei sacchetti di vernice e poi la colpisce a distanza con un fucile. La statua a quel punto inizia a ricoprirsi di colore, ma in un modo che non può essere controllato dall’artista. È un attacco all’arte antica ma contemporaneamente è una rigenerazione, nata da un gesto di estrema violenza.

Intanto i traslochi non sono finiti. Nel 1964 la statua viene spedita addirittura a Tokyo, in occasione delle Olimpiadi. Ma il lungo viaggio di 33 giorni sul transatlantico francese Vietnam l’ha danneggiata: quattro frammenti del panneggio, all’altezza dello stinco sinistro, si sono staccati. Tre di questi erano pezzi in gesso di un vecchio restauro mentre il quarto era una scheggia di marmo, già staccata dalla statua all’atto del ritrovamento nel 1820.
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Dalì tornerà di nuovo sul tema della Venere negli anni Settanta, evidentemente ossessionato da questo simbolo così potente. In Torero allucinogeno la Venere di Milo si moltiplica in diverse posizioni e varie dimensioni dentro una delirante sovrapposizione di immagini. La dea diventa archetipo femminile inafferrabile, a tratti spaventoso. La sua figura ripetuta dà forma anche al volto del torero, in un gioco di interscambio tra figura e sfondo.

Negli stessi anni Dalì torna anche alla versione scultorea di Venere, ma abbandona i cassetti e inizia a mescolare le parti del volto con la Testa otorinologica di Venere. Naso e orecchio sono scambiati di posto: forse perché ‘sentiamo’ con entrambi?

Poi è stata la volta di Arman che, usando il suo linguaggio basato sulla trasformazione e accumulazione di oggetti comuni, ha iniziato ad affettare, frammentare, scomporre e riassemblare la Venere di Milo. Ma per quanto la si possa fare a pezzi, lei rimane sempre riconoscibilissima.

Quella posa sinuosa con le braccia mozzate si riconosce pure in silhouette, come nello specchio Venere disegnato dall’architetto Carlo Mollino nel lontano 1938 per Casa Miller a Torino (ma ancora in produzione)…

… oppure nella scultura sezionata di César del 1984.

Tra le versioni più recenti ci sono quelle di Jim Dine degli anni Ottanta e Novanta. Le sue Veneri sembrano regredire alla fase di blocco appena sbozzato: mancano della testa e appaiono spigolose e ruvide. Ma il colore, in tinta unita o a chiazze vivaci, rende questi oggetti quasi astratti, specialmente nelle dimensioni colossali che in alcuni casi assumono. Quando queste statue sono disposte in gruppi di tre la classicità raddoppia, attraverso un evidente richiamo al tema delle Tre grazie.

A fronte di tutto questo, di una passione sfrenata verso una dea venuta da una sperduta isola greca che pare non vedere mai flessioni, si può ben dire che l’azione di propaganda messa in atto dalla Francia abbia funzionato davvero alla grande! E però, per trasformare una statua in un’icona, qualcosa di speciale ci dev’essere.

Quella donna di marmo ci guarda da millenni, indifferente al succedersi dei giorni e delle stagioni, alle generazioni umane che, passando, la guardano negli occhi. Aspetta paziente senza aspettare nulla: la sua imperfetta perfezione le basterà per sempre.

Castelli, manieri e borghi ma anche dimore storiche: ecco dove andare

“Il 13 e il 14 maggio, e poi ancora il 16, 17 e 23 settembre 2023, grandi città e piccoli centri del nostro Paese saranno animati da visite guidate gratuite, attività e trekking culturali, pranzi, cene e concerti a castello e non solo.”

Parliamo della XXIV edizione delle Giornate Nazionali dei Castelli.

In queste date è prevista l’apertura di 37 tra manieri, cinte murarie, palazzi fortificati (spesso non accessibili al pubblico) in 19 regioni.

Contemporaneamente, ci sono altre 46 tra architetture ed itinerari a piedi, appositamente disegnati per queste giornate.

Quindi ci sonoben due appuntamenti, uno a maggio e uno a settembre.

Nei giorni stabiliti potrete ammirare le architetture fortificate italiane in ogni stato di conservazione.

Bene.

Volete sapere cosa si può visitare dalle vostre parti?

Il consiglio è quello di sempre.

Rilassatevi!

Pronti?

Si parte!

I castelli da visitare regione per regione

Il fascino di un castello resta nel tempo, per sempre.

Mi viene in mente quello estense di Ferrara.

Ne ho parlato nel mio articolo https://mastrogessetto.it/idee-per-viaggiare-i-dieci-castelli-piu-belli-ditalia/.

Ma veniamo all’argomento di oggi.

Si tratta di castelli o manieri, non sempre facilmente visitabili.

Iniziamo il nostro viaggio virtuale.

Questa volta non ci spostiamo da nord a sud o viceversa.

Infatti zigzaghiamo su e giù per la nostra penisola, seguendo l’ordine alfabetico delle nostre regioni.

Cominciamo!

Lettera A come Abruzzo.

 ABRUZZO

In Abruzzo nelle Giornate Nazionali dei Castelli 2023 i riflettori sono puntati su uno dei migliori esempi di architettura neogotica in Italia: il Castello Della Monica di Teramo. 

Questa costruzione è stata recentemente restaurata e riaperta al pubblico.Si trova in cima al colle di San Venanzio.Lì ha vissuto gli ultimi anni della sua vita (dal 1889 al 1917) Gennaro della Monica.Architetto, scultore e pittore, lo progettò come sua dimora personale e sede del proprio studio.

Alle visite guidate al castello, in programma domenica 14 maggio, si affiancano tre itinerari gratuiti (prenotabili con l’app Scopri Teramo).In queste occasioni verranno illustrate: la cinta muraria della città con tutte le porte di accesso al centro, il Duomo e Palazzo Melatino, signorile esempio di palazzo nobiliare del XIII secolo. “

BASILICATA

Valsinni è un piccolo borgo lucano della provincia di Matera.Qui troviamo un castello millenario dove abitò e fu confinata la poetessa cinquecentesca Isabella di Morra.   

Il 13 e il 14 maggio questo maniero sarà protagonista delle Giornate Nazionali dei Castelli 2023 in Basilicata.Ci saranno  visite guidate ed eventi, tra cui la conferenza “Il Castello di Valsinni: storia, vicende costruttive e trasformazioni. Prospettive per il restauro e la valorizzazione”.

 CALABRIA

In Calabria la protagonista è Crotone.Il suo castello è un’imponente fortezza di epoca medievale sorta sull’acropoli greca, che domina ancora la città.

Qui le visite guidate si svolgeranno sia sabato che domenica.Se amate passeggiare, potete partecipare ad un interessante itinerario. Questo prevede la scoperta del centro storico di Crotone,  un percorso archeologico e a itinerari dedicati ai palazzi nobiliari e alle architetture religiose. 

CAMPANIA

In Campania è il castello aragonese di Baia (NA)protagonista di queste giornate.E’ una fortezza difensiva eretta dagli Aragonesi a partire dal 1495, a picco sul Golfo di Pozzuoli, oggi sede del Museo archeologico dei Campi Flegrei.

Ma volendo potete partecipare ad altre visite guidate ed eventi che sono in programma anche al borgo abbandonato di Melito Irpino (Avellino), al borgo medievale di Agropoli, a Vairano Patenora (Caserta).A Vairano, domenica 14 c’è una visita guidata al borgo turrito e al castello, preceduta da una colazione nei giardini di un’antica villa nobiliare. E ancora al castello dell’Ettore ad Apice (Benevento), che aprirà ai visitatori con figuranti in abiti medievali e artigianato.

 EMILIA ROMAGNA

In Emilia Romagna i riflettori sono puntati sul  borgo medievale di Castellarano, arroccato su una collina nella valle del Secchia, in provincia di Reggio Emilia.

Al Castello non perdetevi la sua torre e i bellissimi giardini solitamente chiusi al pubblico, e il centro storico al quale si accede dalla “Rocchetta”, la porta d’ingresso fortificata, simbolo del borgo.

Da non perdere anche il percorso Calanchi e Castelli che si snoda per 28 km nel territorio di Castellarano, Scandiano e Casalgrande, tra natura impervia e architetture fortificate.Tra queste spicca il castello della Torricella dove, secondo la tradizione, Matteo Maria Boiardo scrisse l’Orlando Innamorato.

 FRIULI VENEZIA GIULIA

In Friuli Venezia Giulia, domenica 14 maggio, sono previste visite ai castelli, ruderi e torri di vedetta nelle vallate tra i borghi di Meduno, Toppo e Solimbergo, in provincia di Pordenone.

Nei tre siti le visite saranno guidate da esperti di storia dell’architettura, stratigrafia e archeologia, e affiancate da narrazioni, laboratori ed esibizioni musicali.   

LAZIO

In Lazio protagonista è uno dei simboli della capitale: Castel Sant’Angelo. E’ un’occasione unica per riscoprire questo complesso architettonico.E’ stato edificato intorno al 123 d.C. come sepolcro per l’imperatore Adriano e la sua famiglia e poi divenuto , tra l’altro, un baluardo difensivo, un carcere, una residenza papale dove lavorarono artisti come Michelangelo.

Oggi è un museo e uno dei luoghi più visitati di Roma, che ospita anche una sede dell’Istituto Italiano Castelli.

 LIGURIA

In Liguria abbiamo due tappe, sabato 13 maggio:  Bordighera, nella Riviera dei Fiori (Imperia), e il castello dei Doria che sovrasta il borgo di Dolceacqua dal XII secolo.

 LOMBARDIA

Le protagoniste in Lombardia sono Bergamo e Brescia, nominate capitali della cultura nel 2023.

Da visitare sabato è il famoso castello di Brescia, una delle più imponenti e meglio conservate fortezze d’Italia, che sovrasta la città dall’alto del colle Cidneo.Qui troviamo il più grande vigneto cittadino d’Europa.

Domenica è invece la giornata del meno noto castello di San Vigilio, sull’omonimo colle che sovrasta Città Alta.Si tratta di  un’architettura millenaria con torrioni, cannoniere e feritoie e un’intricata rete sotterranea di cunicoli e passaggi segreti, legato alla storia della città fino al XIX secolo, poi abbandonato e oggi in attesa di essere valorizzato.

MARCHE

Nelle Marche visite guidate gratuite al borgo fortificato di Acquaviva Picena, a pochi chilometri da San Benedetto del Tronto e dal mare.

“Questo piccolo gioiello è famoso per la spettacolare e ben conservata fortezza medievale, che ogni estate diventa teatro di una delle più riuscite feste in costume d’Italia: “Sponsalia, Omaggio all’amore”, la rievocazione storica del matrimonio avvenuto nel 1234 tra Forasteria degli Acquaviva e Rainaldo dei Brunforte.”

“La Rocca aprirà le porte sabato 13, domenica 14 le visite guidate gratuite si estenderanno a palazzi, chiese, torri e monumenti del borgo.”

 MOLISE

“Il Molise invita a scoprire il Castello di Civitacampomarano, il sito protagonista della due giorni di visite, uno dei castelli più belli della regione, un tempo circondato dal fossato, caratterizzato da ponti levatoi e torri cilindriche,e posto tra “Civita di sotto” e “Civita di sopra”, i due abitati in cui si divideva il borgo in provincia di Campobasso.”  

“Visite ed eventi collaterali si svolgono al Castello di Pescolanciano (IS), al Castello di Macchiagodena (IS), piccolo borgo noto come la “Terrazza sul Matese”, e alla rocca di Riccia (CB).”

PIEMONTE

Ed eccoci arrivati in Piemonte: sabato 13 maggio visite guidate a piedi al Castello e al borgo medievale di Ormea, nel cuore delle Alpi Liguri, in provincia di Cuneo.

 Il castello sorge, con le sue imponenti strutture, sul rilievo che domina il borgo di Ormea, compreso tra il torrente Armella e il fianco nord-ovest dell’abitato stesso, cui si accede risalendo un suggestivo pendio terrazzato.

Il sottostante abitato di Ormea conserva, oltre al castello, numerose testimonianze della sua origine bassomedievale.

Tra le altre, meritano un cenno la chiesa di San Martino, che incorpora una delle trecentesche porte di accesso al borgo e conserva affreschi del XV secolo, la cosiddetta casa del marchese, quattrocentesca, e i resti delle mura.

PUGLIA

“In Puglia, per le Giornate dei Castelli, è stato messo a punto un inedito itinerario sulle orme degli Acquaviva-Filomarino: sabato 13 maggio si va alla scoperta dei luoghi di questa dinastia, dal castello Marchione a Conversano (BA), la tenuta di caccia e residenza estiva, al monastero dove sono sepolti aperto per l’occasione.”

 SARDEGNA

“in Sardegna riflettori accesi sui ruderi del castello di Medusa a Samugheo (OR), visitabili sia il 13 che il 14 maggio.

Dell’antichissimo e misterioso castello, che sorge in uno scenario impervio, tra gole e dirupi, restano le possenti mura della corte centrale e alcuni ambienti di vita all’interno dei quali gli scavi archeologici hanno riportato alla luce testimonianze di vita quotidiana.

Le Giornate Nazionali dei Castelli a Samugheo coincidono con la festa di Sant’Isidoro: domenica mattina ci sarà la tradizionale processione fino al santuario campestre di San Basilio e la sera una sfilata di gruppi folkloristici.”  

SICILIA

“In Sicilia sono protagoniste delle Giornate di maggio Catania con il castello di Serravalle e Messina con il castello Branciforti, nel piccolo comune di Raccuja, entrambi aperti alle visite.

Il castello di Serravalle, nel territorio di Mineo, sembra un tutt’uno con l’altura rocciosa sulla quale sorge. Appartiene dal 1513 alla famiglia Grimaldi. Il nucleo più antico, costituito dalla torre e dalla cinta muraria, risale al XIII secolo.

Il castello Branciforti è una fortezza medievale che domina dall’alto il piccolo paese di Raccuja. Restaurato di recente dalla Soprintendenza, è pronto ad accogliere il museo civico, archivio storico e biblioteca comunale.”

TOSCANA

“La Toscana partecipa alle Giornate Nazionali dei Castelli 2023 con un’esplorazione guidata a piedi del tessuto medievale di piazza della Signoria a Firenze, in programma sabato 13 maggio.”

TRENTINO ALTO ADIGE

“In Trentino Alto Adige durante le Giornate di maggio si animano con visite ed eventi Fahlburg, uno dei castelli rinascimentali più belli dell’Alto Adige a Prissiano, e Castel Leonburg, un mastio medievale sopra Lana, in provincia di Bolzano.”

UMBRIA

“L’Umbria propone visite guidate, sabato 13 maggio, a Monte del Lago, che si affaccia sul lago Trasimeno.  

Frazione del comune di Magione in provincia di Perugia, il borgo conserva ancora oggi il suo impianto medievale, con la ripida gradinata che taglia il paese in due e la rete di stretti vicoli, fiancheggiati da case di pescatori, ma anche dimore gentilizie.”

VENETO

In Veneto,  le luci si accendono su Mestre (VE)-La città è protagonista con il Castelnuovo ed il Castelvecchio.

Sia il 13 sia il 14 maggio, sono previste visite dei siti ed un convegno.se volete, potrete patecipare a due passeggiate patrimoniali guidate alla Mestre medievale con partenza dalla Torre dell’Orologio.Vi trasformerete in archeologhi sulle tracce dei castelli scomparsi e sarete protagonisti di una vera e propria caccia al tesoro, alla ricerca della Mestre antica “diluita” nella grande.

In Veneto e più precisamente a Mestre termina il nostro viaggio.

Se non avete il tempo o l’occasione in questo fine settimana, la prossima domenica c’è un’altra iniziativa molto interessante.

Infatti il più grande museo diffuso d’Italia riapre le porte.

Domenica 21 maggio torna la Giornata Nazionale dell’Associazione Dimore storiche Italiane, giunta quest’anno alla XIII edizione.

“Saranno oltre 500 i monumenti che apriranno: castelli, rocche, ville, parchi e giardini visitabili gratuitamente, un’immersione nella storia che rende il nostro Paese unico.”

Per saperne di più basta cliccare qui : https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/dimore-storiche-domenica-21-maggio-xiii-giornata-nazionale-adsi/AE7ER8PD?refresh_ce=1

Sono convinta che qualunque esperienza facciate di quelle proposte, sarà sicuramente un arricchimento personale.

Paola di Mastrogessetto!

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