Il mazzo di carte di Reazioni strategiche

Reazioni Strategiche – genere e linguaggio d’odio è un gioco di carte pensato per ragazzi e ragazze adolescenti dai 12 ai 18 anni. 

Mentre giocano, ragazzi e le ragazze si trovano ad affrontare diverse situazioni in cui stereotipi e pregiudizi di genere alimentano conflitto e linguaggio d’odio. I giocatori sono così chiamati a riflettere sulla situazione, immedesimarsi nel vissuto e nelle emozioni di chi è vittima del discorso d’odio e attuare strategie di risposta con e attraverso le parole.

Nel gioco ci sono dei personaggi che rappresentano adolescenti con diversi profili e caratteristiche. Questi ricevono commenti negativi o insulti sulla base di stereotipi e pregiudizi di genere, partendo ad esempio dal loro aspetto fisico, dall’orientamento sessuale reale o presunto, da un certo tipo di comportamento. I commenti e gli insulti proposti offrono un forte contenuto stereotipato e sessista.

Ai giocatori e alle giocatrici viene chiesto di capire la situazione e di riflettere sugli stereotipi ad essa collegati, di empatizzare con la vittima del discorso d’odio, di esplorare le sue emozioni e di aiutare i personaggi ad affrontare la situazione e a rispondere con il linguaggio alla violenza verbale.

Il gioco aiuta i ragazzi e le ragazze a identificare le varie forme di discorso d’odio di genere e a riflettere su come gli stereotipi e i pregiudizi di genere abbiano un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà e nel linguaggio che la descrive. Il gioco stimola anche l’attivazione di strategie di reazione al linguaggio d’odio, lavorando sulla consapevolezza di sé, degli altri e delle proprie emozioni.

Offrendo l’opportunità di mettersi nei panni di chi subisce il discorso d’odio, il gioco facilita il processo di empatia e supporto tra pari che può essere fondamentale per uscire da una situazione di prevaricazione.

Riprodurre questi temi aiuta a testare le difficoltà che i/le più giovani incontrano nella realtà, facilitando uno spazio di dialogo e di scambio. Mira a decostruire percezioni consolidate e la violenza non riconosciuta che può essere associata ad esse.

Il gioco e il relativo manuale d’uso sono scaricabili gratuitamente qui sotto, e semplicemente stampati in formato A4.
L’insegnante/educatore/educatrice che vorrà utilizzarlo con un gruppo di adolescenti può trovare nel toolkit le regole di gioco spiegate nel dettaglio, insieme a 5 attività didattiche integrative collegate ai temi toccati dal gioco.


Strategic Reactions – English version

Strategic Reactions: Gender and Hate Speech is a card game designed for boys and girls from 12 to 18 years old.

There are several characters in the game, representing teenagers with different profiles and characteristics. The characters receive negative comments or insults on the basis of gender stereotypes and prejudices, starting for example from their physical appearance, real or presumed sexual orientation, a certain type of behaviour. The comments and insults proposed offer a strong stereotyped and sexist content.

Players are asked to understand the situation and reflect on the stereotypes attached to it, empathize with the victim of the hate speech, explore her/his emotions, and help the characters to deal with the situation and respond with language to the verbal violence.

The deck of card and the toolkit with full rules explanation + 5 Didactic units on stereotypes, gender discrimination and hate speech can be downloaded for free here below, and easily printed in A4 sheets.


Il gioco è stato ideato all’interno del progetto Play for Your Rights! Innovative media education strategies against sexism and discrimination, sostenuto dal programma Erasmus+ dell’Unione Europea e cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna, e promosso da sei diversi partner in quattro paesi europei: COSPE, Casa delle donne per non subire violenza, Centro Zaffiria in Italia, Mediterranean Institute of Gender Studies a Cipro, Women’s Issues Information Center in Lituania, Medien+Bildung.com in Germania.

Reazioni strategiche può essere utilizzato come strumento di lavoro all’interno di percorsi legati all’educazione ai media, lotta alle discriminazioni e prevenzione della violenza di genere.

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La gestione del conflitto

La gestione del conflitto

di Laura Bertocchi e Mario Maviglia

Premessa

In senso generale possiamo intendere il conflitto come “una situazione sociale in cui due o più individui apertamente si oppongono l’uno all’altro”[1] e questa opposizione può riguardare “pensieri, convincimenti, tendenze, desideri ecc. fra loro differenti.”[2] Da un punto di vista psicoevolutivo i comportamenti conflittuali si manifestano fin dalla più tenera età e costituiscono una tappa fondamentale nel processo di individuazione e di costruzione dell’identità del bambino (oltre che di sviluppo della sua autonomia). “È attraverso l’opposizione con l’altro [in modo particolare con le figure genitoriali] che il bambino sperimenta e afferma la sua indipendenza e individualità; una strategia questa che fa la sua prima ed emblematica comparsa nella crisi di opposizione dei 2 anni, in cui il bambino ricerca sistematicamente il conflitto con l’adulto.”[3] È interessante notare che questa crisi di opposizione ricompare in modo accentuato anche nella fase adolescenziale in cui la ragazza e il ragazzo sono alle prese con la ridefinizione della propria identità in un rapporto di ambivalenza e contrapposizione con le figure adulte di riferimento.

            Già da queste annotazioni si può notare che il conflitto è insito nella natura umana sia in senso intrapsichico (come quando una persona è “influenzata simultaneamente da due forze opposte di intensità approssimativamente uguale”[4], oppure nel caso della “dissonanza cognitiva” elaborata da Festinger[5]), sia in senso interpersonale come preannunciato sopra. Il problema, dunque, non dovrebbe essere quello di accettarne l’esistenza, ma di trovare forme adeguate per affrontarlo in modo positivo. In realtà spesso, in campo educativo, si tende a disconoscere la dimensione conflittuale per un malinteso senso dell’”essere buoni”. Sia in seno alla famiglia che all’interno della classe una delle frasi più ricorrenti delle figure adulte è “non bisogna litigare” ed anzi chi si rende responsabile di un conflitto viene inconsapevolmente sollecitato a sentirsi in colpa. Eppure, analizzando la letteratura specifica del settore si può facilmente scoprire che vi sono vari modi per affrontare il conflitto. S. Bonino[6] individua almeno quattro forme diverse di affrontamento del conflitto:

il primo – molto diffuso – è quello di evitarlo o sottacerlo. Vi possono essere diverse ragioni che portano a questa forma di comportamento: la paura di rimanere soli o di non essere in grado di affrontare il conflitto; il timore di non piacere a tutti; la paura di non riuscire a controllare la propria aggressività in una situazione conflittuale o di subire quella dell’interlocutore. Va però detto che sia in famiglia che a scuola l’espressione del conflitto dovrebbe costituire l’occasione per ragionare proprio sul conflitto e sulle possibilità di esplicitarlo in una dimensione sostenibile per tutti.

La seconda forma è l’inibizione, che si determina di solito quando il rapporto tra i contendenti è asimmetrico per ragioni di ruolo o status (insegnante e studenti, o genitori e figli) o comunque quando l’altro viene percepito come più forte, come nel caso di fratelli di diversa età.

Una terza forma riguarda l’aggressività che costituisce una modalità di soluzione del conflitto a proprio favore. Va sottolineato che ricerche empiriche hanno messo in luce che “il ricorso all’aggressività nel conflitto interpersonale è sollecitato dalla partecipazione a contesti competitivi, che portano a un’escalation del problema, oltre la causa originale del conflitto.”[7] L’aggressività può anche essere la risposta ad una situazione in cui il soggetto sperimenta continuamente la difficoltà a intercettare il consenso degli altri; questo determina una sorta di circolo perverso in quanto il soggetto “rifiutato” tende a mettere in atto condotte sempre più aggressive che però determinano negli altri un comportamento ancor più ostile.

Infine, una quarta forma riguarda la negoziazione, ossia la ricerca di una soluzione per quanto possibile condivisa e tale da non scontentare nessuno. L’affermazione di una modalità negoziale è influenzata da almeno tre fattori: da una parte lo sviluppo del linguaggio e delle capacità espressive che pone il bambino/a o lo studente/ssa nella condizione di poter esprimere e sostenere in modo più adeguato le proprie ragioni o di richiedere spiegazioni a quelle degli altri; dall’altra lo sviluppo delle capacità empatiche e quindi la possibilità di tener conto del punto di vista dell’altro soprattutto all’interno di un possibile conflitto; e infine un assetto cooperativo dell’organizzazione sollecita fortemente la ricerca di soluzioni condivise.

Le ragioni del conflitto

Ma a cosa serve il conflitto? Abbiamo già visto che nel processo evolutivo serve per costruire la propria identità, attraverso il meccanismo di individuazione e differenziazione dall’altro.

I conflitti, soprattutto tra bambini o ragazzi, sono spesso fonte di forte disagio nell’adulto che si trova a doverli gestire. In classe tale disagio è per certi aspetti comprensibile, perché può far sentire l’insegnante impreparato e impotente di fronte a bambini e ragazzi che manifestano comportamenti conflittuali che spesso diventano aggressivi, nelle parole e, talvolta, nei gesti.

Per affrontare queste situazioni serve lucidità ed è indispensabile, innanzitutto, eliminare il giudizio moralistico[8]. Infatti, come abbiamo precisato in precedenza, il conflitto non ha un senso esclusivamente negativo, ma è un aspetto imprescindibile di una sana interazione sociale.

Come può allora l’insegnante intervenire efficacemente durante un conflitto tra alunni?

Molto, chiaramente, dipende dalla fascia di età a cui si fa riferimento. Se in età prescolare non è possibile aspettarsi che i bambini siano autonomi nella gestione del conflitto, è auspicabile pensare che crescendo acquisiscano strategie di risoluzione sempre più autonome e maggiori abilità di gestione delle emozioni coinvolte. D’altro canto, l’esperienza ci insegna che non sempre la ragionevolezza domina il conflitto, nemmeno tra adulti. Ecco allora che mettere in campo delle strategie di gestione diventa essenziale.

Innanzitutto è importante identificare le ragioni del conflitto:

Difficoltà di comunicazione

Spesso il conflitto nasce da un malinteso, da un fraintendimento. Soprattutto quando la comunicazione non avviene vis-à-vis (pensiamo per esempio ai social) il contesto è estremamente limitato e non aiuta certo la corretta interpretazione di quanto viene scritto o detto. Per quanto l’uso degli emoticon cerchi di sopperire alla mancanza degli aspetti paraverbali, l’assenza di toni, modulazioni della voce, espressioni, sguardi, sorrisi e gesti può generare numerosi fraintendimenti. È allora importante risalire all’intenzione di ciò che è stato detto, prestando attenzione al mittente, alle sue motivazioni e ai suoi obiettivi, che non sono necessariamente quelli compresi dal destinatario. Altrettanta attenzione va posta anche su chi riceve il messaggio, su ciò che comprende e su quali reazioni suscitino in lui quelle parole.

Differenze di obiettivi

Gli attriti naturalmente non si innescano solo per questioni di forma, spesso il disaccordo riguarda la sostanza. Avere obiettivi diversi è certamente uno di questi casi. Due bambini vogliono giocare, uno a calcio, l’altro a basket. Trovare un punto di incontro è complesso, perché le due scelte si contrappongono: optare per una delle due significa escludere l’altra. Spostiamo ora il piano del confronto su temi caldi che possono toccare gli adulti: l’embargo, la guerra. Schierarsi a favore della pace significa necessariamente dire no al sostegno alla guerra. Sono due posizioni opposte, per le quali non è possibile trovare un punto di incontro. In questo caso diventa opportuno chiedersi quali sono le ragioni che spingono verso un determinato obiettivo e, sovente, le ragioni ultime e i grandi principi che muovono scelte e azioni sono identici. Divertirsi, potremmo immaginare nel caso dei bambini, ristabilire o trovare un equilibrio, possiamo azzardare nel secondo caso. Ecco allora, può capitare di scoprire che i fini non sono così diversi, sebbene le scelte iniziali possano apparire diametralmente opposte.

Stili non condivisi

In questo caso il risultato perseguito è il medesimo, ma il percorso che si desidera intraprendere per giungere alla meta può essere diverso. Molto dipende dal modo peculiare con cui ognuno di noi, anche sulla base delle esperienze pregresse, affronta un problema o una sfida. Si può essere più interventisti, quando si preferisce agire prontamente, oppure si può prediligere un approccio più riflessivo, analizzando tutte le possibili soluzioni, i vantaggi e gli inconvenienti. Quando due persone con attitudini così diverse devono collaborare, è ragionevole pensare che possa nascere un conflitto che, se mal gestito, può degenerare, tanto più quando il fine da raggiungere rappresenta un importante traguardo per le persone coinvolte.

Differenza di metodi e tempi di gestione delle azioni

Altrettanto importanti sono le differenti attitudini che ognuno di noi adotta nella gestione di un problema. Esistono persone che affrontano tutto di petto. Sembrano non temere niente e nessuno, si lanciano nelle imprese e affrontano le sfide con coraggio. Altre persone invece hanno bisogno di tempi più distesi per maturare la consapevolezza delle azioni da compiere e, anche una volta maturata tale consapevolezza, ritornano spesso sulle proprie decisioni. Il confronto tra due tipologie di caratteri così diversi può essere fonte di disaccordo e conflitto, a maggior ragione quando succede che questi debbano collaborare per portare a termine un progetto o raggiungere un traguardo.

Differenze nelle credenze e nelle opinioni di base

Le credenze di base sono idee profondamente radicate all’interno di ognuno e influenzano il modo in cui viviamo la vita. Possono avere origine nel background culturale ma anche essere determinate dalla storia personale, da esperienze negative o positive che influenzano convinzioni e percezioni.  Credere, per esempio, che le situazioni che affrontiamo avranno una conclusione positiva fa sì che anche le difficoltà vengano sostenute con un’energia diversa rispetto a chi teme l’insuccesso. Queste attitudini così diverse ovviamente cozzano quando si deve collaborare per un obiettivo.

Regole non chiare

Quando si lavora in gruppo è indispensabile, per una proficua collaborazione, che le regole siano chiare a tutti. Gli obiettivi che si perseguono, i tempi, i ruoli, ciò che si deve fare, ciò che si può fare e quanto, invece, non è consentito. Emblematiche sono in tal senso le competizioni di debate, originarie dei paesi anglosassoni ma ora molto diffuse anche in Italia. Si tratta di un confronto di opinioni tra interlocutori, divisi in due squadre che si affrontano per sostenere una tesi a favore e una contro su un tema loro assegnato. Conoscere le specifiche modalità di esecuzione e le regole che guidano la gara è indispensabile. La capacità di esprimere opinioni senza prevaricazioni, le scelte lessicali rispettose dell’altro, il rispetto dei tempi di parola e di ascolto devono essere conosciuti da tutti i partecipanti che, in caso di mancato rispetto di dette regole, vengono squalificati, compromettendo la possibilità di successo di tutta la squadra.

Mancanza di definizione dei ruoli

In ogni gruppo, in modo più o meno formale, ogni membro assume un ruolo[9]. L’equilibrio, o la mancanza di esso, regola le dinamiche che si sviluppano. Troviamo chi viene ascoltato, chi non è mai interpellato, chi decide e chi esegue, chi allenta le tensioni e chi le fomenta, chi è più concentrato sul raggiungimento degli obiettivi e chi sulle relazioni che si instaurano, troviamo leader e gregari. Non tutti i membri di un gruppo detengono la stessa importanza e centralità, lo stesso potere e la stessa capacità di consenso. Innegabilmente vi è chi è più ascoltato di altri, chi sa prendere decisioni coinvolgendo tutto il gruppo e prendendosene la responsabilità. L’importanza non è sul piano del valore, poiché tutti i ruoli sono indispensabili, basti immaginare che in un gruppo due leader spesso non possono convivere, quanto piuttosto della capacità di guidare gli altri verso il perseguimento di un obiettivo. È molto importante che questi ruoli siano chiari ad ogni membro ed è auspicabile che i ruoli che vengono a costituirsi informalmente – la leadership non si impone, ma ci viene riconosciuta dagli altri – corrispondano ai ruoli formalmente attribuiti. Diversamente possono generarsi attriti e caos che sono di da ostacolo al raggiungimento degli scopi prefissati.

Alcune regole di base

      Comprendere le ragioni del conflitto è importante perché consente innanzitutto di spostare lo sguardo da se stessi all’altro. Il passo successivo è infatti quello di accogliere. Accogliere significa[10] “ricevere, sentire, ammettere nel proprio gruppo” ed è dunque apertura all’altro, non necessariamente per condividerne le idee, le attitudini, gli scopi ma piuttosto per porsi in ascolto, per scoprirne l’alterità. Per fare ciò, è necessario:

Non sminuire il vissuto dell’altro

Non esistono emozioni sbagliate perché sono l’espressione della reazione alle esperienze che si vivono[11]. Possono essere più o meno piacevoli, ma non giuste o sbagliate e non è possibile pretendere di non provarle. Si può cercare di controllarne l’intensità, “regolando il volume” delle emozioni più intense ma, più di tutto, è necessario validarle, accettandole sia per quanto riguarda se stessi che gli altri. Ciò che è opportuno fare è invece riflettere sul pensiero associato alle emozioni, cercando di individuare la ragione profonda di tali reazioni. È su questa ragione che si può intervenire. Non possiamo chiedere di non provare rabbia, ma regolarne l’intensità, controllarne le manifestazioni e comprenderne le ragioni è possibile e auspicabile in ogni relazione.

Pensare in modalità win-win

Una trattativa si può concludere con un vincitore che ottiene un vantaggio e un perdente che si adegua alle condizioni imposte dall’altro, questo però rischia di rovinare relazioni già esistenti e possibili collaborazioni future. Meglio allora cercare un accordo cosiddetto win win[12], una soluzione che non faccia sentire sconfitto nessuno, attraverso negoziazioni che permettano di ottenere vantaggi reciproci, anche se le condizioni finali non corrispondono necessariamente a quelle inizialmente pensate. Per fare ciò è indispensabile evitare di condurre la trattativa come se fosse una prova di forza, uno scontro personale con l’interlocutore. Ogni parte ha le sue richieste, che devono essere considerate legittime da entrambe le parti. Partendo da questa consapevolezza, mantenendo la mente aperta e una certa flessibilità è possibile trovare soluzioni che non scontentino nessuno. Ricordiamo sempre che questo parziale cedere sulle proprie rivendicazioni consentirà collaborazioni future.  

Esprimere i bisogni in modo assertivo

L’assertività è la capacità di esprimere i propri bisogni, le proprie emozioni e i propri diritti in modo sereno anche se in disaccordo con gli altri e portare avanti le proprie idee rispettando quelle altrui.[13] Si contrappone alla passività, nella quale si antepongono i bisogni degli altri ai propri e all’aggressività, quando si antepongono i propri bisogni a quelli altrui. Comportarsi in modo assertivo significa bilanciare i bisogni degli altri con i propri, quando entrambi gli interlocutori tengono in considerazione le reciproche esigenze pur esprimendo con chiarezza le proprie necessità. Saper dire no e accettare il no sono abilità che possono essere acquisite e che permettono di vivere le relazioni e le collaborazioni con un certo equilibrio, senza sopraffare e senza lasciarsi sopraffare. Controllare le modalità di comunicazione, i toni e i gesti si rivela una tecnica molto importante per esprimersi con assertività.

Individuare un obiettivo chiaro, esplicito e comune verso cui tendere (e perseguirlo)

Per risolvere il conflitto è indispensabile individuare l’obiettivo a cui tendere e questo deve essere chiaro a tutti i membri del gruppo. Il fine va esplicitato ed è necessario tornarvi ogni qualvolta che il disaccordo sembra impedire il proseguimento del percorso. L’obiettivo deve guidare le azioni e le trattative come un faro ed è importante che non venga mai perso di vista.

Far circolare la comunicazione

Non interrompere la comunicazione è indispensabile. Lasciare questo canale di continuo confronto, chiarimento, ritrattazione è fondamentale per trovare una soluzione condivisa. Il silenzio impedisce all’altro di comprendere le nostre emozioni, i nostri ragionamenti, gli obiettivi ai quali tendiamo. Chiudersi in se stessi non consente all’altro di tentare una trattativa, di scendere a compromessi. Inoltre, esprimere ad alta voce o per iscritto ciò che si prova dà la giusta distanza che permette di valutare le proprie azioni e reazioni che, dunque, non vengono espresse sull’onda dell’emozione.

Attenzione ai comportamenti difensivi

Vengono messi in atto quando ci si sente minacciati[14]. Tra i comportamenti difensivi possiamo trovare, come accennato poco fa, il silenzio, ma anche il prendere ogni cosa sul personale, lo spostare la colpa sempre sugli altri, il sarcasmo e il cinismo, il procrastinare o l’essere evasivo. Tutti questi comportamenti sono espressione del rifiuto del confronto e possono essere agiti quando ci si sente in situazione di inferiorità rispetto all’interlocutore. Rafforzare l’autostima e praticare l’assertività possono essere strategie idonee a controllare questi atteggiamenti quando siamo noi a praticarli.

Allenarsi all’ascolto

Senza ascolto non può esserci comunicazione, intesa come scambio e partecipazione[15]. L’ascolto permette all’interlocutore di sentirsi preso in considerazione e ciò lo predispone favorevolmente alla negoziazione; inoltre ascoltare ci permette di raccogliere informazioni su chi abbiamo di fronte e quindi ci aiuta a predisporre una strategia di negoziazione. Ascoltare, è noto, è molto più che sentire. Ascoltare richiede un ruolo attivo, fatto di silenzi ma anche di domande tese a comprendere il punto di vista dell’altro. Si cerca di comprendere non solo le parole ma anche le ragioni che soggiacciono alla comunicazione. L’ascolto attivo non ha fretta e si astiene dal giudizio.

Follow up: importanza di tornare a distanza di tempo sulla gestione del conflitto

Il profilo della montagna si vede bene solo da lontano e questo vale anche per il conflitto. Una distanza troppo ravvicinata (fisica nel caso della montagna, di tempo nel caso del conflitto) impedisce una visione completa e chiara della situazione. Prendersi del tempo quando sembra impossibile risolvere un conflitto non solo è auspicabile, ma anche opportuno. Una certa distanza temporale permette di vedere con maggiore ragionevolezza le cause del disaccordo. Le emozioni e la ragione si ricompongono permettendo valutazioni più equilibrate e non intrise dell’emotività del momento che, talvolta, impedisce di prendere in considerazione l’altro e le sue istanze.

Le strategie

Il terzo e ultimo step riguarda il feed-back.

Anche nel conflitto “sbagliare è già imparare” e il riscontro dell’errore resta uno dei pilastri dell’apprendimento. Quando un conflitto degenera è indispensabile fermarsi per capire le ragioni che hanno portato a quella situazione. Ciò significa ripercorrere le tappe del disaccordo, rivedere gli obiettivi perseguiti, le modalità di comunicazione e individuare i punti di attrito rispetto ai quali non è stato possibile trovare un punto di incontro. Più accurato è il feedback, più puntuale sarà l’analisi volta all’individuazione degli snodi cruciali del processo. Tali consapevolezze permetteranno di correggere i comportamenti ostativi alla risoluzione positiva del conflitto qualora si ripresentasse.

Senza pretesa di esaustività, suggeriamo alcune strategie che gli insegnanti possono adottare per gestire i conflitti che ogni giorno si creano nelle nostre aule e per aiutare gli studenti  ad acquisire modalità d’azione che possono essere proficuamente applicate nei rapporti quotidiani:

Creare apertura verso le differenze, verso il punto di vista dell’altro, che non deve essere percepito come una minaccia quando diverso dal proprio.

Prestare attenzione al clima di classe, che deve promuovere il confronto, anche attraverso attività quali il circle time e il debate.

Rispettare l’opinione dell’altro, che può essere diversa dalla propria ma non per questo vale meno.

Creare un clima di apprendimento reciproco, anche attraverso l’osservazione e la valutazione tra pari.

Prestare attenzione al momento in cui sorge il conflitto e non rimandarne la gestione. I disaccordi vanno affrontati sul nascere, altrimenti rischiano di esacerbarsi.

Insegnare la negoziazione win win come strategia di risoluzione dei conflitti.

In conclusione, ribadiamo che il conflitto è insito in ogni relazione e, in quanto tale, va accolto e accettato per ciò che è: fisiologico. Naturalmente il conflitto è opportuno si mantenga sul piano del confronto civile, dello scambio di idee e della corretta difesa delle proprie opinioni poiché tanto l’atteggiamento aggressivo quanto quello passivo sono censurabili e fonte di problemi relazionali. Insegnare a controllare l’emotività eccessiva e le reazioni incontrollate è l’obiettivo che ogni insegnante dovrebbe porsi, ricordando che, prima ancora che studenti, la scuola cresce ed educa i cittadini di domani.

[1] S. Bonino, Dizionario di psicologia dello sviluppo, Einaudi, Torino, 1994, p. 164,

[2] P. Bertolini, Dizionario di pedagogia  e scienze dell’educazione, Zanichelli, Bologna, 1996, p. 99.

[3] S. Bonino, op. cit., p. 165

[4] R. Harrè, R. Lamb, L. Mecacci, Psicologia. Dizionario enciclopedico, Editori Laterza, Roma-Bari, 1998, p. 194

[5] L. Festinger, Teoria della dissonanza cognitiva, Franco Angeli, Milano, 1973

[6] S. Bonino, op. cit., pp. 166-167

[7] S. Bonino, op. cit., p. 167

[8] https://formazionecontinuainpsicologia.it/ruolo-delladulto-nei-conflitti-bambini/

[9]https://docs.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid949175.pptx#:~:text=I%20ruoli%20sono%20definiti%20dalla,una%20certa%20posizione%20nel%20gruppo

[10] https://www.treccani.it/vocabolario/accogliere/

[11] https://drcollevecchio.it/7-cose-che-non-sai-sulle-emozioni/

[12] https://www.softskills.site/win-win-negoziazione-a-vantaggio-reciproco/

[13]  https://www.stateofmind.it/2014/11/assertivita-stili-comportamento/

[14] https://carlobisio.com/comportamenti-difensivi-conoscerli-gestirli

[15] https://www.aleksandrabobic.com/blog/perche-ascolto-e-importante

Giovanni Modugno: a master of the senses

GIOVANNI MODUGNO: UN “MAESTRO DEL SENSO” PER LA SCUOLA ITALIANA DI OGGI

di CARLO DE NITTI

Alle “voci archetipe” della mia remotissima adolescenza

per sempre nei miei spazitempi mnesici, con infinita gratitudine.

Nascoste ai molti, si palesano,

a chi le cerca con animo puro,

perle, veri tesori delle profondità,

che rivelano le nostre vite,

la nostra intima essenza

di cercatori tra le pagine …

1. PROLOGO

Non mi è possibile iniziare questo intervento senza ringraziare con sentimenti di sincera gratitudine il prof. Vincenzo Robles, illustre cittadino bitontino e studioso di preclara fama, per avermi invitato a partecipare – bontà sua – a questo evento sul pensiero di Giovanni Modugno, pedagogista del ‘900 pugliese, italiano, europeo.

Non è quella che segue una forma di excusatio non petita: non sono un esperto di Giovanni Modugno nel senso accademico della parola, ma ho avuto, da molti anni, con la sua storia di vita, di pensiero, politica, culturale e religiosa una frequentazione che mi affascina. Sì, perché una personalità come quella di Giovanni Modugno non può non sé-durre, a prescindere dalle idee di chi a lui si accosti, purché lo faccia con onestà intellettuale e disinteresse, anche venale. Caratteristiche che egli stesso possedette in modo assoluto e che costituirono la cifra peculiare della sua personalità di uomo, di docente e quindi, di pedagogista.

Tutti gli altri intervenuti a questo evento – certamente molto più competenti di me – hanno lumeggiato o lumeggeranno da par loro al meglio il pensiero del pedagogista: a me, che raccolgo “materiali per chi voglia scrivere di storia” (alla maniera dei Commentari cesariani) piace interrogare la figura di Giovanni Modugno per cogliere – provando a suggere l’essenza del suo pensiero – quanto egli possa dire (rectius: insegnare) a noi persone di scuola del XXI secolo, che operano nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado (sebbene, ahimè, io mi trovi nel “pronaos” della quiescenza). Il ri-pensare Giovanni Modugno nella scuola di oggi non può, né deve, essere un mero esercizio di erudizione storiografica, ma un interesse squisitamente teoretico che interroghi il pedagogista, a partire dagli interrogativi del presente che scaturiscono, ovviamente, da bisogni didattici, educativi e pedagogici che urgono alle persone di scuola.

2. I “MAESTRI DEL SENSO”

E’ possibile connotare Giovanni Modugno come un “cercatore di Cristo”, un “apostolo dell’educazione”, un “pellegrino dell’Assoluto”: queste locuzioni possono legittimamente compendiarsi – per utilizzare il lessico della pedagogia di Papa Francesco – nell’espressione “maestro del senso”. Non trovo migliore sintetica definizione se non quella delle parole usate dal Pontefice recentemente a Lisbona, parlando ai giovani dal Pontefice per definirli: . 

E Giovanni Modugno lo è stato, di sicuro, ante litteram, … e lo è ancora oggi, a sessantacinque anni dalla sua scomparsa!

Leggere Giovanni Modugno oggi significa affrontare in modo efficace le urgenze educative del mondo contemporaneo: riformare la scuola, per Modugno, voleva dire formare le coscienze delle degli educandi. Al centro del processo educativo – come sostenevano in quegli anni i pedagogisti dell’attivismo pedagogico – non possono che esserci gli educandi con i loro vissuti, le loro storie interiori, i loro bisogni. Nel processo di educazione, non si può che “ascendere insieme”, per riprendere il titolo di un testo del 1943 dello stesso Modugno, per cambiare se stessi e contestualmente la società in cui si vive. L’unica vera riforma della scuola doveva essere, a parere di Giovanni Modugno, la “riforma interiore”, quella della formazione dei docenti.

La sua vita, la sua ricerca culturale, il suo insegnamentoincarnano l’anelito verso una società più giusta e più libera, nella quale ogni persona, consapevole della sua dignità, possa recuperare e vivere il significato dei valori fondamentali, in primis, la vita e la libertà, senza dei quali non è possibile praticare alcun altro valore. L’attualità del suo messaggio si focalizza prioritariamente intorno alla finalità dell’educazione, riprendendo le istanze più significative della tradizione pedagogica cristiana, arricchita dal dialogo fecondo con autori contemporanei. A partire dalla fine degli anni Venti, intensa fu la relazione di Giovanni Modugno con il gruppo di pedagogisti cattolici che si raccoglieva in quel di Brescia intorno alla casa editrice La Scuola, fondata nel 1904, ed alla rivista Scuola Italiana Moderna, nata nel 1893. Il medesimo milieu cattolico in cui, com’è noto, nacque (nel 1897) e si formò un giovane sacerdote (proclamato santo nel 2018), don Giovanni Battista Montini (il cui padre, l’avvocato Giorgio, era stato tra i fondatori della casa editrice), che alle posizioni di Giovanni Modugno fu certamente vicino, anche attraverso la filosofia della persona di Jacques Maritain (1882 – 1973).  

Nel gruppo di docenti e pedagogisti cattolici bresciani e nelle loro iniziative, di cui fu ispiratore e sodale anche attraverso il suo discepolo e figlioccio Matteo Perrini (1925 – 2007), Giovanni Modugno trovò quella consonanza intellettuale e religiosa che spesso gli mancò in Puglia, una sorta di accogliente “rifugio” ma anche la possibilità di incidere nella scuola militante: basti pensare alla comunanza di interessi e alla sua consonanza intellettuale con Laura Bianchini (1903 – 1983), docente di filosofia bresciana e madre Costituente.  

Anche dopo la seconda guerra mondiale, Giovanni Modugno continuò a collaborare con Scuola Italiana Moderna, la rivista scolastica più diffusa tra i docenti di scuola elementare, ed ispirò anche una filiazione diretta del gruppo bresciano: il “gruppo di maestri sperimentatori” di Pietralba (BZ),  dal nome dalla località dolomitica nella quale il gruppo si riunì per la prima volta nel 1948, cui partecipò anche un altro grande pedagogista pugliese, allora appena venticinquenne, suo allievo all’Istituto Magistrale di Bari: Gaetano Santomauro (1923 – 1976).  

Giovanni Modugno riconosce che la pedagogia è la “scienza della vita”: si preoccupa di affinare una riflessione rigorosa ma anche che manifesti un’efficacia pratica, fondata su principi e valori saldi, applicabili sia alla prassi quotidiana, scolastica e non. Per Modugno, la scienza della vita costituisce la risposta più significativa all’esigenza di riaffermare il primato della moralità, della razionalità e della spiritualità, come qualità peculiari di ogni persona che impara a riconoscerle come espressioni ineludibili della propria dignità e della propria coscienza morale.

Giovanni Modugno ricerca sempre il “perfezionamento interiore” anche nei momenti più drammatici della sua vita personale, come nel 1934, con la precoce morte dell’unica figlia Pina. Evento – collegato con altri lutti familiari (i genitori) – che interroga la coscienza del pedagogista. Quando la figlia si ammala, il progetto del Modugno è di lavorare per ‘cristianizzare la vita’, in lui e attorno a lui. E’ convinto che le disuguaglianze sociali e le miserie non si eliminano soltanto con le leggi e le riforme, ma con l’amore. La vera riforma interiore consiste nel disporsi a comprendere i bisogni di ciascuna persona in difficoltà e nel sentirsi responsabili se manca il necessario per vivere.

I motivi fondamentali che accompagnano la vita di Modugno sono quelli di ‘ascendere insieme’, ‘salire alla sublime vetta’,‘aiutare gli altri a salire’: l’insegnamento gli consente di adempiere a questa sua idea. Nella prospettiva del suo pensiero, la religione costituisce il principale centro d’interesse dell’intero curricolo scolastico, oltre che il contenuto più significativo della scienza della vita. Essa è la guida per cogliere nella vita concreta le relazioni tra le singole azioni ed i principi della ragione e della morale. Con la didattica della ‘provocazione riflessiva’, stimolata dal docente, la pratica del riflettere durante le lezioni li sollecitanella chiarificazione dei criteri direttivi e li pome nelle condizioni di osservare, giungendo a scoprire le istanze più profonde della vita.

3. GIOVANNI MODUGNO VIVANT

Riflettere oggi, nel terzo decennio del XXI secolo, sulla figura, sul pensiero e sulla storia di Giovanni Modugno, “cercatore di Cristo” ed “apostolo dell’educazione” è un atto “rivoluzionario” nella sua essenza, che modifica radicalmente i paradigmi del pensiero corrente, spesso incentrato sui tecnicismi della pedagogia– declinati in tutte le sue branche – e della scuola, piuttosto che sulla persona, quale punto di imputazione ultimo di ogni azione educativa.

Questo è il continuum che attraversa la vita di Giovanni Modugno, anche prima di insegnare, quando, da giovanissimo, iniziò ad impegnarsi nelle vicende della politica della sua città, in solido con lo storico molfettese Gaetano Salvemini (1873 – 1957), cui lo unì un lunghissimo sodalizio intellettuale e politico, nonostante le diverse posizioni, che ha attraversato la storia italiana dai primi anni del XX secolo agli anni ’50 del medesimo.Pressocché coetanei, furono entrambi “figli”, molto diversi tra loro, della medesima temperie culturale, quella positivistica, da cui furono entrambi però sempre alieni, giungendo a posizioni politiche diverse che avevano in comune l’impegno infaticabile e diuturno per il riscatto dei contadini meridionali rispetto ai soprusi dei latifondisti assenteisti, attraverso la conquista del primo e più fondamentale dei diritti, quello all’istruzione.   

Il fulcro dell’attività di Giovanni Modugno – che volle essere sempre “maestro di maestri” – fu sempre l’educazione dei giovani al pensiero critico, lontano da ogni possibile strumentalizzazione da qualunque “luogo” essa provenisse. Egli non fu mai uomo “di parte”, rifiutò sempre per se stesso incarichi, cariche ed onori di ogni tipo, proprio per conservare la sua libertà di pensiero: com’è noto, rifiutò la carica di Provveditore agli studi di Bari, sia nel 1923, quando gli fu proposta da Giuseppe Lombardo-Radice (1879 – 1938) perché temeva che avrebbe dovuto venire a compromessi con il fascismo, sia dopo la seconda guerra mondiale, quando fu invitato a ricoprire la medesima carica da Tommaso Fiore (1884 – 1973), a nome del Comitato di Liberazione Nazionale. Parimenti, non a caso, nel 1929, fu assordante il suo silenzio – in un’Italia osannante – di fronte alla firma dei Patti Lateranensi, che, com’è noto, ponevano fine alla sessantennale “questione romana”.

Questa missione – cui adempì senza deroga alcuna – non gli impedì di mantenere relazioni intellettuali con i più sensibili ed insigni pedagogisti del suo tempo, a cominciare dalla “scoperta” di Friedrich Wilhelm Foerster (1869 – 1966) e Josiah Royce (1855 – 1916). Con ed attraverso di loro, Giovanni Modugno difese la persona umana, la sua dignità e la sua libertà interiore, trovando nel cristianesimo, inteso come “fede nella Resurrezione”, il miglior fondamento per conseguire questo obiettivo. In quest’opera educativa, massima era la sintonia del pedagogista con l’allora Arcivescovo di Bari, Mons. Marcello Mimmi (1882 – 1961), di cui condivideva in toto il metodo pastorale.

La cifra di tutta l’esistenza del pedagogista che si può compendiare nel titolo del volume – pubblicato dieci anni dopo la sua scomparsa, a cura dell’amatissima moglie, Maria Spinelli Modugno – Giovanni Modugno. Io cerco l’Eterno: mediante un’ascesa interiore, mai disgiunta dall’adempimento del dovere della missione educativa, indirizzata alla conquista, da rinnovare continuamente, della libertà, della coscienza critica e della dignità della persona umana. Un’eredità pedagogica e morale da raccogliere e praticare con rinnovata lena anche, se non soprattutto, nelle scuole di ogni ordine e grado. 

Quella ‘coscienza critica’ di cui oggi – dopo oltre sessanta anni dalla sua morte – si avverte uno smisurato bisogno: VINCENZO ROBLES, da storico, con i suoi volumi, ne rende seriamente consapevoli noi tutt*, uomini del XXI secolo, persone di scuola e non.

4. EPILOGO “APERTO”

Più che un epilogo – per quanto aperto – mi piace avanzare una proposta concreta per continuare a riscoprire e valorizzare il pensiero di Giovanni Modugno nel XXI secolo. Mi piace avanzarla qui in un luogo simbolo della sua città natale, alla presenza delle autorità civili e religiose e di tanti illustri esperti.

Come si è diffuso nella scuola barese, pugliese ed italiana, forse melgré lui, il pensiero di Giovanni Modugno? A questa domanda,penso, si possa dare una risposta certa: attraverso i suoi studenti cui è toccato in sorte di averlo avuto come docente, prima a Corato, per sette anni, poi. dal 1920 al collocamento in quiescenza. presso l’Istituto Magistrale “Giordano Bianchi-Dottula” di Bari.

Essi hanno “abitato” ed “innervato” la scuola – segnatamente e prioritariamente quella elementare – barese, pugliese e non solo portando nella loro attività didattica e professionale gli insegnamenti ricevuti. Sarebbe molto interessante – non certo per mera erudizione storiografica – ricercare i loro nomi, la loro provenienza geografica attraverso i registri del prof. Giovanni Modugno, raccolti nell’archivio storico dell’istituto scolastico frequentato.

Consultando quell’archivio, tanto si potrebbe scoprire su Giovanni Modugno e sulla storia della scuola pugliese: potrebbe essere un ottimo argomento per un’efficace e non convenzionale attività di Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (vulgo PCTO, come negli acronimi di cui è saturo lo ‘scolastichese’, nota neolingua iniziatica), ovvero, anche per tesi di laurea (triennali, magistrali e di PhD) sicuramente molto interessanti e nietzscheanamente “inattuali”.

Del resto, l’influenza del pensiero di Giovanni Modugno,attraverso i suoi studenti del “Bianchi–Dottula”, ha anche travalicato anche i confini della scuola e della pedagogia: basti ricordare anche soltanto il nome di uno di loro, divenuto un Maestro del Diritto dell’Università degli studi di Bari (e tantissimo altro…), il prof. Renato Dell’Andro (1922 – 1990).

Ma questa sarebbe un’altra storia, che mi ricondurrebbe alla mia ormai remotissima adolescenza… 

5. BIBLIOGRAFIA

• AA.VV., Maestri del senso: competenze e passione per una scuola migliore, a cura di DE NITTI, CARLO e LAVERMICOCCA, CARLO, Bari 2023, Ecumenica editrice, di prossima pubblicazione;

• CAPORALE, VITTORIANO, Educazione e politica in Giovanni Modugno, Bari 1988, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Un pedagogista del Sud, Bari 1995, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Pedagogia Scienza della Vita, Bari, 1997, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, La proposta pedagogica di Giovanni Modugno, Bari, 2004, Cacucci;                                                                                                              

• CAPORALE, VITTORIANO, Pedagogia e vita di Giovanni Modugno, Bari 2006, Cacucci;

• CAPURSO, GIOVANNI, Due Maestri per il Sud: Gaetano Salvemini e Giovanni Modugno, Corato, 2022, SECOP;

• MICUNCO, GIUSEPPE, La buona battaglia. Santità e laicità in Giovanni Modugno, Bari, 2013, Stilo editrice;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno. Il volto umano del Vangelo, Bari, 2020, Edizioni Dal Sud;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno e il suo “rifugio”bresciano, Bari, 2022, Edizioni Dal Sud;

• ROBLES, VINCENZO – AUFIERO, ARMANDO, Giovanni Modugno: il volto umano del Vangelo in AA.VV., Op. cit.;

• SANTOMAURO, GAETANO, Giovanni Modugno attraverso gli inediti, «La Rassegna pugliese», 1969, 4-5, pp. 3 – 22;

• SARACINO, DOMENICO, Giovanni Modugno. Politica, cultura e spiritualità in un cercatore di Cristo, Bari 2006, Stilo editrice; 

• SPINELLI MODUGNO, MARIA, Giovanni Modugno. Io cerco l’Eterno, Bari 1967, Editoriale Universitaria.

Et si parva licet …

• DE NITTI, CARLO, La missione educativa di Giovanni Modugno e la sua attualità nel XXI secolo. Nota a margine di una recente biografia del pedagogista bitontino, ”Educazione & Scuola”, XXVI, marzo 2021, 1123;

• DE NITTI, CARLO, In difesa del Sud: storia dell’amicizia di due Maestri tra Molfetta e Bitonto, ”Educazione & Scuola”, XXVII, settembre 2022, 1141; 

• DE NITTI, CARLO, Giovanni Modugno: un “cercatore di Cristo”, apostolo dell’educazione, in VINCENZO ROBLES, Giovanni Modugno e il suo “rifugio” bresciano, Bari 2023, Edizioni Dal Sud, pp. 9 – 12.

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