Sulla via dell’umiltà
L’umiltà alla luce di diritto, pedagogia, psicologia, sociologia, religione.
La polemica
“Soltanto lavorando, soltanto umiliandosi – evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale di crescita della personalità – di fronte ai suoi compagni è lui che si prende la responsabilità dei propri atti. Da lì nasce il riscatto.”
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito (d’ora in poi “locutore”), nel pronunciare questa frase, si riferiva a uno studente che aveva colpito una docente con un pugno. La punizione da infliggere o il mezzo di correzione da adibire che dir si voglia consisteva nell’avviarlo ai lavori socialmente utili. Poiché erano sorte polemiche per quell’evviva alla “umiliazione”, il locutore in un primo momento porgeva le sue scuse, destinate in un secondo momento ad essere dal medesimo ritirate.
Dapprincipio il locutore aveva ammesso che l’uso del termine “umiliazione” era stato infelice.
Nella palinodia difendeva invece il senso del suo discorso, rivolgendosi al direttore di un quotidiano come persona capace di capire a differenza di altre. Ecco l’incipit della lettera pubblicata su “la Repubblica” il 26 novembre 2022:
“Caro Direttore, mi rivolgo a lei perché so che è persona culturalmente preparata e in buona fede, che ha ben compreso il senso di alcune mie parole […]”
Quindi altre persone, quelle che avevano esercitato il loro spirito critico, venivano considerate culturalmente impreparate e in malafede, incapaci di ben comprendere l’autentico significato di quelle parole. Si eccepiva, anche se tardivamente, che era stato detto “umiliandosi” e non “umiliandolo”. Differenza capziosa, perché l’umiliarsi, se è frutto di una costrizione percepita come tale, viene ad equipararsi all’essere umiliato.
È stato detto che la sospensione dalle lezioni non è un provvedimento efficace quanto può esserlo l’avvio ai lavori socialmente utili. Conveniamo senz’altro che la sospensione dalle lezioni come provvedimento disciplinare abbia risvolti negativi, come li ha, almeno a nostro avviso, la ripetizione di un anno di studi. Ciò non toglie che l’avviamento ai lavori socialmente utili, ovvero al lavoro di pubblica utilità, comporti una serie di problemi assai complessi.
La sfera giuridica
Sul sito del Ministero della Giustizia leggiamo che “il lavoro di pubblica utilità è ritenuto una sanzione penale sostitutiva”. Tale sanzione è applicata in sentenza a soggetti liberi secondo quanto disposto dal Decreto ministeriale del 26 marzo 2001. In origine la pena poteva essere applicata dal giudice di pace “solo su richiesta dell’imputato” ai sensi dell’articolo 54 del Decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274.
Si tratta di una “attività non retribuita a favore della collettività” avente a oggetto prestazioni di lavoro in cinque diversi ambiti, fra i quali risulta estremamente difficile trovarne uno per il quale uno studente, soprattutto se minore, possegga le specifiche competenze. Questa figura dello studente come lavoratore al di fuori del contesto scolastico, introdotta con la dannosa alternanza scuola-lavoro, continua ad essere riproposta. Intanto c’è da dubitare fortemente, per non dire esserne certi, che un alunno deviante giunga a umiliarsi nel momento in cui venga trattato da imputato senza garanzia di difesa.
La sfera pedagogica
Compito della scuola è mettere in atto un’opera pedagogica in senso etimologico a favore di ogni alunno deviante. Se un alunno si manifesta violento, ad esempio colpendo con un pugno chi insegna, o si comporta in altri modi non violenti eppure disdicevoli, necessita di un supplemento di educazione. Perciò dovrebbero entrare in azione soggetti appositamente formati per fornire tale supplemento in ambito scolastico. L’alunno deviante dovrebbe essere affidato a un insegnante di sostegno all’uopo specializzato. Peraltro ciò non basterebbe. Nell’opera rieducativa dovrebbe essere coinvolta la famiglia. Vero è che i familiari stessi possono manifestare, come purtroppo accade, ostilità verso gli operatori scolastici, prendendo a torto le difese della loro prole. Ma è anche vero che l’impresa educativa va incontro a difficoltà che bisogna affrontare e superare anche nei rapporti con gli adulti.
In ogni caso, come è stato ribadito anche nell’intervista del maestro Alex Corlazzoli allo scrittore Eraldo Affinati su Il fatto quotidiano del 24 novembre 2022, resta valida l’eredità di pedagogisti militanti del calibro di Maria Montessori, Alberto Manzi, Mario Lodi, Don Milani, i quali “ci hanno insegnato che il riscatto, la redenzione non arrivano mai attraverso l’umiliazione”, e nemmeno, aggiungiamo noi, attraverso l’umiliarsi.
La sfera psicologica
Nelle parole del locutore non si ravvisa un’apertura ai più recenti risultati delle neuroscienze, da prendere invece in considerazione per lumeggiare la realtà psichica dell’adolescente. Ad opera di ricercatori amstelodamensi si è giunti a concludere che l’umiliazione, anche se consista nell’umiliarsi, attiva processi cerebrali negativi. È da notare in proposito che la tendenza ad umiliare i propri coetanei si manifesta in gruppi di adolescenti coalizzati e che il vissuto dei soggetti fatti oggetto di scherno assume dimensioni drammatiche. Si noti come il locutore ritenga che il soggetto deviante possa riscattarsi “umiliandosi […] di fronte ai suoi compagni”. Può darsi che proprio quell’umiliarsi, qualora avvenga al cospetto di compagni compiaciuti di infierire sul coetaneo, dia il via a una crisi esistenziale piuttosto che a un’assunzione di responsabilità. Invece il locutore dà per scontato un itinerario lineare secondo il percorso umiliarsi-responsabilizzarsi-riscattarsi grazie al lavoro ritenuto provvisto di virtù taumaturgiche.
La sfera sociologica
Nella società liquida magistralmente teorizzata da Zigmunt Bauman assistiamo a un progressivo distacco dei fenomeni dal contesto in cui di verificano. La deriva dell’istruzione dipende essenzialmente da questo. Si pretende di prescindere dalle situazioni reali di insegnamento-apprendimento, sostituendole con schemi astratti funzionali ad interessi estranei alla pedagogia. Nel caso di un alunno chiamato a infliggersi l’umiliazione, non si tiene conto dell’ambiente nel quale ciò dovrebbe avvenire. L’ambiente potrebbe essere inadatto all’espletamento di lavori socialmente utili a causa di una serie di fattori legati alla realtà territoriale.
La sfera religiosa
Nelle esternazioni del locutore è presente il richiamo alla religione. Viene da lui citato un passo del Vangelo di Luca, ove si legge un’espressione invero famosa, che anche Papa Francesco in una sua Udienza Generale ebbe a illustrare: “Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Gesù ricorre alla parabola del fariseo e del pubblicano nel tempio, per spiegare come si debba pregare. Il fariseo prega ritto in piedi con uno sproloquio in cui, ritenendosi superiore agli altri, esalta se stesso, mentre il pubblicano prega a capo chino con poche sentite parole in segno di umiltà: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Il Maestro divino conclude la parabola con una sentenza: “Io vi dico: questi – cioè il pubblicano –, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Trasferire in ambito laico questo contenuto religioso appare alquanto azzardato, dal momento che la prassi mondana lo smentisce e segnatamente a livello politico.
Il senso autentico dell’esperienza lavorativa
Il locutore avrà avuto tutte le sue ragioni per difendere i suoi ragionamenti e potremmo anche concedere per assurdo che i rilievi critici fin qui esternati non li scalfiscano. Però anche in questo ipotetico caso resterebbe nella sua teoria un difetto assai difficile, anzi impossibile da sanare, se si pensa, ad esempio, alle attività di volontariato svolte a favore della popolazione. Difetto chiaramente evidenziato da questo interrogativo di Emilio Ambrisi:
“Ma poi perché svolgere un lavoro socialmente utile dovrebbe spingere a umiliarsi e non ad essere fiero di sé?”