Il problema educativo delle teste ben fatte

Le teste ben fatte non bastano, devono anche avere gli strumenti adatti per sconfiggere le teste fatte male.
Parlando di Edgar Morin, lo straordinario intellettuale che l’8 luglio prossimo compirà cent’anni, dovrò anche essere molto critico. La sua concezione mi risulta non tanto utopistica, quanto astratta.  Le teste ben fatte non sono in grado di avere il sopravvento sulle teste fatte male. È ancora attuale la lezione del Machiavelli:
«È necessario pertanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per lor medesimi o se dependono da altri: cioè se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, o vero possono …

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Giovanni Modugno: a master of the senses

GIOVANNI MODUGNO: UN “MAESTRO DEL SENSO” PER LA SCUOLA ITALIANA DI OGGI

di CARLO DE NITTI

Alle “voci archetipe” della mia remotissima adolescenza

per sempre nei miei spazitempi mnesici, con infinita gratitudine.

Nascoste ai molti, si palesano,

a chi le cerca con animo puro,

perle, veri tesori delle profondità,

che rivelano le nostre vite,

la nostra intima essenza

di cercatori tra le pagine …

1. PROLOGO

Non mi è possibile iniziare questo intervento senza ringraziare con sentimenti di sincera gratitudine il prof. Vincenzo Robles, illustre cittadino bitontino e studioso di preclara fama, per avermi invitato a partecipare – bontà sua – a questo evento sul pensiero di Giovanni Modugno, pedagogista del ‘900 pugliese, italiano, europeo.

Non è quella che segue una forma di excusatio non petita: non sono un esperto di Giovanni Modugno nel senso accademico della parola, ma ho avuto, da molti anni, con la sua storia di vita, di pensiero, politica, culturale e religiosa una frequentazione che mi affascina. Sì, perché una personalità come quella di Giovanni Modugno non può non sé-durre, a prescindere dalle idee di chi a lui si accosti, purché lo faccia con onestà intellettuale e disinteresse, anche venale. Caratteristiche che egli stesso possedette in modo assoluto e che costituirono la cifra peculiare della sua personalità di uomo, di docente e quindi, di pedagogista.

Tutti gli altri intervenuti a questo evento – certamente molto più competenti di me – hanno lumeggiato o lumeggeranno da par loro al meglio il pensiero del pedagogista: a me, che raccolgo “materiali per chi voglia scrivere di storia” (alla maniera dei Commentari cesariani) piace interrogare la figura di Giovanni Modugno per cogliere – provando a suggere l’essenza del suo pensiero – quanto egli possa dire (rectius: insegnare) a noi persone di scuola del XXI secolo, che operano nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado (sebbene, ahimè, io mi trovi nel “pronaos” della quiescenza). Il ri-pensare Giovanni Modugno nella scuola di oggi non può, né deve, essere un mero esercizio di erudizione storiografica, ma un interesse squisitamente teoretico che interroghi il pedagogista, a partire dagli interrogativi del presente che scaturiscono, ovviamente, da bisogni didattici, educativi e pedagogici che urgono alle persone di scuola.

2. I “MAESTRI DEL SENSO”

E’ possibile connotare Giovanni Modugno come un “cercatore di Cristo”, un “apostolo dell’educazione”, un “pellegrino dell’Assoluto”: queste locuzioni possono legittimamente compendiarsi – per utilizzare il lessico della pedagogia di Papa Francesco – nell’espressione “maestro del senso”. Non trovo migliore sintetica definizione se non quella delle parole usate dal Pontefice recentemente a Lisbona, parlando ai giovani dal Pontefice per definirli: . 

E Giovanni Modugno lo è stato, di sicuro, ante litteram, … e lo è ancora oggi, a sessantacinque anni dalla sua scomparsa!

Leggere Giovanni Modugno oggi significa affrontare in modo efficace le urgenze educative del mondo contemporaneo: riformare la scuola, per Modugno, voleva dire formare le coscienze delle degli educandi. Al centro del processo educativo – come sostenevano in quegli anni i pedagogisti dell’attivismo pedagogico – non possono che esserci gli educandi con i loro vissuti, le loro storie interiori, i loro bisogni. Nel processo di educazione, non si può che “ascendere insieme”, per riprendere il titolo di un testo del 1943 dello stesso Modugno, per cambiare se stessi e contestualmente la società in cui si vive. L’unica vera riforma della scuola doveva essere, a parere di Giovanni Modugno, la “riforma interiore”, quella della formazione dei docenti.

La sua vita, la sua ricerca culturale, il suo insegnamentoincarnano l’anelito verso una società più giusta e più libera, nella quale ogni persona, consapevole della sua dignità, possa recuperare e vivere il significato dei valori fondamentali, in primis, la vita e la libertà, senza dei quali non è possibile praticare alcun altro valore. L’attualità del suo messaggio si focalizza prioritariamente intorno alla finalità dell’educazione, riprendendo le istanze più significative della tradizione pedagogica cristiana, arricchita dal dialogo fecondo con autori contemporanei. A partire dalla fine degli anni Venti, intensa fu la relazione di Giovanni Modugno con il gruppo di pedagogisti cattolici che si raccoglieva in quel di Brescia intorno alla casa editrice La Scuola, fondata nel 1904, ed alla rivista Scuola Italiana Moderna, nata nel 1893. Il medesimo milieu cattolico in cui, com’è noto, nacque (nel 1897) e si formò un giovane sacerdote (proclamato santo nel 2018), don Giovanni Battista Montini (il cui padre, l’avvocato Giorgio, era stato tra i fondatori della casa editrice), che alle posizioni di Giovanni Modugno fu certamente vicino, anche attraverso la filosofia della persona di Jacques Maritain (1882 – 1973).  

Nel gruppo di docenti e pedagogisti cattolici bresciani e nelle loro iniziative, di cui fu ispiratore e sodale anche attraverso il suo discepolo e figlioccio Matteo Perrini (1925 – 2007), Giovanni Modugno trovò quella consonanza intellettuale e religiosa che spesso gli mancò in Puglia, una sorta di accogliente “rifugio” ma anche la possibilità di incidere nella scuola militante: basti pensare alla comunanza di interessi e alla sua consonanza intellettuale con Laura Bianchini (1903 – 1983), docente di filosofia bresciana e madre Costituente.  

Anche dopo la seconda guerra mondiale, Giovanni Modugno continuò a collaborare con Scuola Italiana Moderna, la rivista scolastica più diffusa tra i docenti di scuola elementare, ed ispirò anche una filiazione diretta del gruppo bresciano: il “gruppo di maestri sperimentatori” di Pietralba (BZ),  dal nome dalla località dolomitica nella quale il gruppo si riunì per la prima volta nel 1948, cui partecipò anche un altro grande pedagogista pugliese, allora appena venticinquenne, suo allievo all’Istituto Magistrale di Bari: Gaetano Santomauro (1923 – 1976).  

Giovanni Modugno riconosce che la pedagogia è la “scienza della vita”: si preoccupa di affinare una riflessione rigorosa ma anche che manifesti un’efficacia pratica, fondata su principi e valori saldi, applicabili sia alla prassi quotidiana, scolastica e non. Per Modugno, la scienza della vita costituisce la risposta più significativa all’esigenza di riaffermare il primato della moralità, della razionalità e della spiritualità, come qualità peculiari di ogni persona che impara a riconoscerle come espressioni ineludibili della propria dignità e della propria coscienza morale.

Giovanni Modugno ricerca sempre il “perfezionamento interiore” anche nei momenti più drammatici della sua vita personale, come nel 1934, con la precoce morte dell’unica figlia Pina. Evento – collegato con altri lutti familiari (i genitori) – che interroga la coscienza del pedagogista. Quando la figlia si ammala, il progetto del Modugno è di lavorare per ‘cristianizzare la vita’, in lui e attorno a lui. E’ convinto che le disuguaglianze sociali e le miserie non si eliminano soltanto con le leggi e le riforme, ma con l’amore. La vera riforma interiore consiste nel disporsi a comprendere i bisogni di ciascuna persona in difficoltà e nel sentirsi responsabili se manca il necessario per vivere.

I motivi fondamentali che accompagnano la vita di Modugno sono quelli di ‘ascendere insieme’, ‘salire alla sublime vetta’,‘aiutare gli altri a salire’: l’insegnamento gli consente di adempiere a questa sua idea. Nella prospettiva del suo pensiero, la religione costituisce il principale centro d’interesse dell’intero curricolo scolastico, oltre che il contenuto più significativo della scienza della vita. Essa è la guida per cogliere nella vita concreta le relazioni tra le singole azioni ed i principi della ragione e della morale. Con la didattica della ‘provocazione riflessiva’, stimolata dal docente, la pratica del riflettere durante le lezioni li sollecitanella chiarificazione dei criteri direttivi e li pome nelle condizioni di osservare, giungendo a scoprire le istanze più profonde della vita.

3. GIOVANNI MODUGNO VIVANT

Riflettere oggi, nel terzo decennio del XXI secolo, sulla figura, sul pensiero e sulla storia di Giovanni Modugno, “cercatore di Cristo” ed “apostolo dell’educazione” è un atto “rivoluzionario” nella sua essenza, che modifica radicalmente i paradigmi del pensiero corrente, spesso incentrato sui tecnicismi della pedagogia– declinati in tutte le sue branche – e della scuola, piuttosto che sulla persona, quale punto di imputazione ultimo di ogni azione educativa.

Questo è il continuum che attraversa la vita di Giovanni Modugno, anche prima di insegnare, quando, da giovanissimo, iniziò ad impegnarsi nelle vicende della politica della sua città, in solido con lo storico molfettese Gaetano Salvemini (1873 – 1957), cui lo unì un lunghissimo sodalizio intellettuale e politico, nonostante le diverse posizioni, che ha attraversato la storia italiana dai primi anni del XX secolo agli anni ’50 del medesimo.Pressocché coetanei, furono entrambi “figli”, molto diversi tra loro, della medesima temperie culturale, quella positivistica, da cui furono entrambi però sempre alieni, giungendo a posizioni politiche diverse che avevano in comune l’impegno infaticabile e diuturno per il riscatto dei contadini meridionali rispetto ai soprusi dei latifondisti assenteisti, attraverso la conquista del primo e più fondamentale dei diritti, quello all’istruzione.   

Il fulcro dell’attività di Giovanni Modugno – che volle essere sempre “maestro di maestri” – fu sempre l’educazione dei giovani al pensiero critico, lontano da ogni possibile strumentalizzazione da qualunque “luogo” essa provenisse. Egli non fu mai uomo “di parte”, rifiutò sempre per se stesso incarichi, cariche ed onori di ogni tipo, proprio per conservare la sua libertà di pensiero: com’è noto, rifiutò la carica di Provveditore agli studi di Bari, sia nel 1923, quando gli fu proposta da Giuseppe Lombardo-Radice (1879 – 1938) perché temeva che avrebbe dovuto venire a compromessi con il fascismo, sia dopo la seconda guerra mondiale, quando fu invitato a ricoprire la medesima carica da Tommaso Fiore (1884 – 1973), a nome del Comitato di Liberazione Nazionale. Parimenti, non a caso, nel 1929, fu assordante il suo silenzio – in un’Italia osannante – di fronte alla firma dei Patti Lateranensi, che, com’è noto, ponevano fine alla sessantennale “questione romana”.

Questa missione – cui adempì senza deroga alcuna – non gli impedì di mantenere relazioni intellettuali con i più sensibili ed insigni pedagogisti del suo tempo, a cominciare dalla “scoperta” di Friedrich Wilhelm Foerster (1869 – 1966) e Josiah Royce (1855 – 1916). Con ed attraverso di loro, Giovanni Modugno difese la persona umana, la sua dignità e la sua libertà interiore, trovando nel cristianesimo, inteso come “fede nella Resurrezione”, il miglior fondamento per conseguire questo obiettivo. In quest’opera educativa, massima era la sintonia del pedagogista con l’allora Arcivescovo di Bari, Mons. Marcello Mimmi (1882 – 1961), di cui condivideva in toto il metodo pastorale.

La cifra di tutta l’esistenza del pedagogista che si può compendiare nel titolo del volume – pubblicato dieci anni dopo la sua scomparsa, a cura dell’amatissima moglie, Maria Spinelli Modugno – Giovanni Modugno. Io cerco l’Eterno: mediante un’ascesa interiore, mai disgiunta dall’adempimento del dovere della missione educativa, indirizzata alla conquista, da rinnovare continuamente, della libertà, della coscienza critica e della dignità della persona umana. Un’eredità pedagogica e morale da raccogliere e praticare con rinnovata lena anche, se non soprattutto, nelle scuole di ogni ordine e grado. 

Quella ‘coscienza critica’ di cui oggi – dopo oltre sessanta anni dalla sua morte – si avverte uno smisurato bisogno: VINCENZO ROBLES, da storico, con i suoi volumi, ne rende seriamente consapevoli noi tutt*, uomini del XXI secolo, persone di scuola e non.

4. EPILOGO “APERTO”

Più che un epilogo – per quanto aperto – mi piace avanzare una proposta concreta per continuare a riscoprire e valorizzare il pensiero di Giovanni Modugno nel XXI secolo. Mi piace avanzarla qui in un luogo simbolo della sua città natale, alla presenza delle autorità civili e religiose e di tanti illustri esperti.

Come si è diffuso nella scuola barese, pugliese ed italiana, forse melgré lui, il pensiero di Giovanni Modugno? A questa domanda,penso, si possa dare una risposta certa: attraverso i suoi studenti cui è toccato in sorte di averlo avuto come docente, prima a Corato, per sette anni, poi. dal 1920 al collocamento in quiescenza. presso l’Istituto Magistrale “Giordano Bianchi-Dottula” di Bari.

Essi hanno “abitato” ed “innervato” la scuola – segnatamente e prioritariamente quella elementare – barese, pugliese e non solo portando nella loro attività didattica e professionale gli insegnamenti ricevuti. Sarebbe molto interessante – non certo per mera erudizione storiografica – ricercare i loro nomi, la loro provenienza geografica attraverso i registri del prof. Giovanni Modugno, raccolti nell’archivio storico dell’istituto scolastico frequentato.

Consultando quell’archivio, tanto si potrebbe scoprire su Giovanni Modugno e sulla storia della scuola pugliese: potrebbe essere un ottimo argomento per un’efficace e non convenzionale attività di Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (vulgo PCTO, come negli acronimi di cui è saturo lo ‘scolastichese’, nota neolingua iniziatica), ovvero, anche per tesi di laurea (triennali, magistrali e di PhD) sicuramente molto interessanti e nietzscheanamente “inattuali”.

Del resto, l’influenza del pensiero di Giovanni Modugno,attraverso i suoi studenti del “Bianchi–Dottula”, ha anche travalicato anche i confini della scuola e della pedagogia: basti ricordare anche soltanto il nome di uno di loro, divenuto un Maestro del Diritto dell’Università degli studi di Bari (e tantissimo altro…), il prof. Renato Dell’Andro (1922 – 1990).

Ma questa sarebbe un’altra storia, che mi ricondurrebbe alla mia ormai remotissima adolescenza… 

5. BIBLIOGRAFIA

• AA.VV., Maestri del senso: competenze e passione per una scuola migliore, a cura di DE NITTI, CARLO e LAVERMICOCCA, CARLO, Bari 2023, Ecumenica editrice, di prossima pubblicazione;

• CAPORALE, VITTORIANO, Educazione e politica in Giovanni Modugno, Bari 1988, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Un pedagogista del Sud, Bari 1995, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Pedagogia Scienza della Vita, Bari, 1997, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, La proposta pedagogica di Giovanni Modugno, Bari, 2004, Cacucci;                                                                                                              

• CAPORALE, VITTORIANO, Pedagogia e vita di Giovanni Modugno, Bari 2006, Cacucci;

• CAPURSO, GIOVANNI, Due Maestri per il Sud: Gaetano Salvemini e Giovanni Modugno, Corato, 2022, SECOP;

• MICUNCO, GIUSEPPE, La buona battaglia. Santità e laicità in Giovanni Modugno, Bari, 2013, Stilo editrice;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno. Il volto umano del Vangelo, Bari, 2020, Edizioni Dal Sud;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno e il suo “rifugio”bresciano, Bari, 2022, Edizioni Dal Sud;

• ROBLES, VINCENZO – AUFIERO, ARMANDO, Giovanni Modugno: il volto umano del Vangelo in AA.VV., Op. cit.;

• SANTOMAURO, GAETANO, Giovanni Modugno attraverso gli inediti, «La Rassegna pugliese», 1969, 4-5, pp. 3 – 22;

• SARACINO, DOMENICO, Giovanni Modugno. Politica, cultura e spiritualità in un cercatore di Cristo, Bari 2006, Stilo editrice; 

• SPINELLI MODUGNO, MARIA, Giovanni Modugno. Io cerco l’Eterno, Bari 1967, Editoriale Universitaria.

Et si parva licet …

• DE NITTI, CARLO, La missione educativa di Giovanni Modugno e la sua attualità nel XXI secolo. Nota a margine di una recente biografia del pedagogista bitontino, ”Educazione & Scuola”, XXVI, marzo 2021, 1123;

• DE NITTI, CARLO, In difesa del Sud: storia dell’amicizia di due Maestri tra Molfetta e Bitonto, ”Educazione & Scuola”, XXVII, settembre 2022, 1141; 

• DE NITTI, CARLO, Giovanni Modugno: un “cercatore di Cristo”, apostolo dell’educazione, in VINCENZO ROBLES, Giovanni Modugno e il suo “rifugio” bresciano, Bari 2023, Edizioni Dal Sud, pp. 9 – 12.

I due Machiavelli. L’indagine di Alessandro Campi

Cinico calcolatore, d’accordo, ma come politico sul campo e come stratega militare lasciava a desiderare. In “Machiavelliana. Immagini, percorsi, interpretazioni”, il politologo analizza ciò che un tale nome ha finito per evocare

Non siamo sicuri di che volto avesse davvero Niccolò Machiavelli; ma è sulle sue fattezze, per come sono state tramandate, che è stato tratteggiato Charles Montgomery Burns. Sì: il proprietario della centrale nucleare dove lavora Homer Simpson, e che sarebbe poi il cattivo per eccellenza del popolare cartoon. Un po’ emblema e rappresentazione di quella che può considerarsi la contrapposizione tra mito e anti mito dell’autore del “Principe”, l’osservazione è fatta da Alessandro Campi nel suo “Machiavelliana. Immagini, percorsi, interpretazioni”, appena uscito per Rubbettino (366 pp., 24 euro). “Guardatene con attenzione il profilo: l’espressione sinistra e luciferina, la fronte spaziosa e i capelli disordinati che cadono indietro sulla nuca, il naso adunco e aquilino, lo sguardo pungente e obliquo, il sorriso malizioso e irriverente (addirittura cattivo). Vi ricordano forse qualcuno o qualcosa?”.    Appunto, il ritratto attribuito a Santi di Tito, oggi custodito nel Palazzo Vecchio di Firenze: “Non solo riprodotto in una infinità di occasioni nella sua versione originale, al punto da essersi trasformato nel tempo in una sorta di manifesto o icona, ma più volte e nelle forme più diverse riadattato, ripreso, aggiornato, integrato, ritoccato e persino manipolato”. Comunque sempre utilizzato, osserva Campi, non solo per suggerire un aspetto fisico, ma più ancora per rendere visivamente “i segreti del suo carattere e la sua reale disposizione d’animo, gli aspetti più rilevanti della sua personalità, dunque l’essenza di un pensiero che nel corso dei secoli non ha mai smesso di intrigare e suggestionare, ma al tempo stesso di spiazzare e confondere, anche i lettori più avveduti”. Insomma, “l’incredibile fortuna del ritratto in questione – di una forza espressiva straordinaria e persino inquietante”, dipenderebbe, secondo questa analisi, “dalla curiosa circolarità che sembra implicare e che porta a chiedersi, quando lo si guarda, se quella faccia volpina e astuta, magra e ossuta, se quegli occhi vispi e indagatori, se quel sorriso appena accennato ma che sembra denotare malizia e un fondo di irriverenza, siano la trasposizione pittorica, ben riuscita e a suo modo geniale, della obliqua fama, vagamente sinistra, che ha cominciato a imprimersi su Machiavelli da subito dopo la sua morte, o se invece si tratti della rappresentazione fedele di quest’ultimo, insomma del vero e autentico Machiavelli per come lo hanno conosciuto i suoi famigliari e i suoi contemporanei”. Una faccia da diavolo: ma è il vero Machiavelli? 

Su ciò Campi ha qualche dubbio, tenendo conto del fatto che Santi di Tito, “essendo nato nel 1536 e morto nel 1603, di certo non ha potuto conoscere personalmente il soggetto da lui rappresentato”. Ma è la stessa situazione degli altri ritratti di Machiavelli: “Tutti realizzati dopo la sua morte e senza che si conosca l’archetipo figurativo sul quale i diversi autori possano aver lavorato”. Non è che siamo dunque di fronte alla “immagine sintetica, altamente evocativa, di un Machiavelli stereotipato e al tempo stesso di fantasia, la rappresentazione icastica di tutto ciò che un tale nome (e i termini che ne sono derivati nel tempo: machiavellico, machiavelliano, machiavellismo, machiavellicamente, machiavello, machiavelleria, machiavellesco) ha finito per evocare soprattutto a livello di cultura popolare, sino ai giorni nostri: astuzia, scaltrezza, slealtà, mancanza di scrupoli, sotterfugio, inganno, per giungere agli estremi della perfidia, dell’assoluta mancanza di remore morali e della disponibilità a perseguire i propri obiettivi con ogni possibile mezzo”? 

Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Perugia, e dal 22 febbraio direttore dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Alessandro Campi ha con Machiavelli un rapporto particolare. Sua originalissima scaramanzia è quella per cui in ogni luogo dove arriva si mette a cercare per librerie o bancarelle almeno una edizione originale di opere dello stesso Machiavelli: hobby di cui lo scrivente di queste note è testimone per aver avuto la ventura di accompagnarlo in un paio di queste scorribande. A riprova di questo approccio quasi personale col “segretario fiorentino”, calabrese di nascita ma perugino per antica naturalizzazione, Campi dedica uno dei saggi della prima parte a ripercorrere l’itinerario di Machiavelli in Umbria.

Subito prima c’è un altro saggio su  “Machiavelli e l’arte della guerra”, dove per rivalutare il Machiavelli polemologo Campi cerca di smontare un’altra presumibile fake news: la novella dove  Matteo Bandello racconta di quella volta in cui “il nostro ingegnoso messer Niccolò Macchiavelli sotto Milano volle far quell’ordinanza di fanti di cui egli molto innanzi nel suo libro de l’arte militare aveva trattato”. Ma “si conobbe alora quanta differenza sia da chi sa e non ha messo in opera ciò che sa, da quello che oltra il sapere ha piú volte messe le mani, come dir si suole, in pasta”, dal momento che non gli riuscì in due ore a sistemare tremila fanti in una formazione su cui aveva a lungo scritto, fin quando al posto del “teorico” non venne il “pratico” Giovanni dalle Bande Nere, che sistemò il tutto in quattro e quattr’otto grazie a pochi comandi ben impartiti e all’ausilio di qualche tamburino. Era però appunto dal rischio di sostituire alle milizie cittadine i capitani di ventura che Machiavelli aveva messo in guardia. E l’Umbria aveva dunque riscosso il suo interesse proprio perché di questo tipo di condottieri era stata una grande produttrice: da Braccio da Montone a Erasmo da Narni il Gattamelata. 

  Campi in passato ha curato sia una mostra sull’iconografia di Machiavelli, sia un’altra su  “Machiavelli e il mestiere delle armi. Guerra, arti e potere nell’Umbria del Rinascimento”. Ma è un po’ anche un invitare il maestro a casa sua che rimanda alla citata famigliarità, e che riporta alla confessione personale con cui si chiude il libro: “Ho trovato gli undici preziosissimi volumi delle opere complete Valdonega”, famosa edizione su Machiavelli, “sul mercato antiquario e con un esborso tutto sommato contenuto – tale per me, mia moglie è stata d’altro avviso – li ho fatti miei”.

Un denunciatore delle malefatte clericali diventò per le chiese riformate il simbolo della politica dell’inganno nel mondo cattolico-latino

  L’aneddoto di Bandello, però, rimanda a un paradosso. Immagini demoniache a parte, Machiavelli è stato proprio identificato con una sorta di diavolo in terra. “Nel corso del tempo, ad esempio nell’Inghilterra elisabettiana e antipapista”, spiega Campi, “il suo nome  è divenuto, agli occhi delle chiese riformate del nord, l’emblema di una politica tutta giocata sull’inganno come quella abitualmente praticata nel mondo cattolico-latino”. Anche questo è “un divertente paradosso per un autore che in vita era stato un gran denunciatore delle malefatte clericali e che da morto ha dovuto scontare per quasi due secoli i rigori censori del Sant’Uffizio”. Mentre in Francia il suo nome fu associato alla polemica contro la “mafia” di italiani che Caterina de’ Medici si era portata appresso.

 Ma, tornando al mondo anglosassone, il risultato è che “il suo nome è stato deformato in forme maliziosamente allusive al Principe delle Tenebre e con lo scopo di biasimare le malvage pratiche politiche da lui teorizzate e giustificate alla stregua di un’insopprimibile necessità della lotta per il potere”. “Much Evil, Macht a Villain, Hatch Evil, Mitchell Wylie, Matchewell sono solo alcune delle storpiature che nella letteratura del periodo, a partire dalla scrittura teatrale, sono state inflitte al suo nome per renderlo vagamente assonante col diavolo e col male (devil-evil). Anche nei drammi elisabettiani è frequente il riferimento, anche solo vago e indiretto ma pur sempre polemico e riconoscibile, a Machiavelli per personaggi presentati sulla scena come malvagi, traditori, furfanti, intriganti e appunto demoniaci. Manca la prova filologica, ma persino uno dei nomignoli con i quali in lingua inglese si indica il diavolo, old Nick, leggenda vuole che si riferisca proprio al ‘vecchio Niccolò’”.

 Ma del diavolo si ricorda che sa fare le pentole ma non i coperchi: cosa a cui lo stesso Machiavelli peraltro allude, in quella sua “Favola” dove racconta di un Belfagor arcidiavolo che va in terra come uomo per verificare se davvero siano le mogli la principale causa di dannazione degli uomini, e si trova a doverlo sperimentare sulla sua pelle nel modo più traumatico. E il Machiavelli pasticcione di Bandello richiama il ritratto che ne fa, nell’“Italia della Controriforma”, Indro Montanelli. “Con le ‘Storie’ rientrò nelle grazie della potente famiglia fiorentina. Il 18 maggio 1526 fu nominato capo dei Curatori delle mura, un comitato addetto alle fortificazioni. Era, dopo quattordici anni, la prima ripresa di contatto con la vita politica. Ma fu anche l’ultima. Un anno dopo, quando i lanzichenecchi di Carlo V calarono su Roma e ne scacciarono Clemente, i fiorentini rovesciarono i Medici e restaurarono la Repubblica. Il grande teorico della Realpolitik, l’esaltatore del calcolo opportunistico, in pratica non ne azzeccava una. Di aver cambiato così spesso bandiera, non si può fargli colpa: rientrava nella morale del suo tempo. Ma si può sorridere del fatto che il maestro del cinismo e della spregiudicatezza, quale egli è considerato, puntasse sempre sul cavallo sbagliato”. Ancora più feroce un altro aforisma montanelliano: “I toscani sembrano dei demoni, ma nella realtà perdono, come dei poveretti. Scrivono ‘Il Principe’, per vincere il concorso da segretario comunale, e sono bocciati”.

   

Secondo Campi, “molti hanno usato questo espediente. Attaccare Machiavelli per nascondere il loro machiavellismo”

   Sempre di Montanelli un’altra battuta, riferita a Federico II di Prussia: “Era talmente machiavellico che scrisse un libro contro Machiavelli per dimostrare che non lo era”. Secondo Campi, “effettivamente hanno usato in molti questo espediente. Attaccare Machiavelli per nascondere il loro machiavellismo o per non essere accusati di esserlo. Federico II, appunto. Ma tipico anche il caso di Walter Raleigh: un filibustiere, in senso letterale, che attaccava pubblicamente Machiavelli essendone un lettore e ammiratore in privato”. Un’altra sfaccettatura, ma non l’ultima. La lunga cavalcata di Campi ricorda ad esempio che il XX secolo ha rivisto Machiavelli come precursore del totalitarismo: in senso negativo, ad esempio dal giovane Raymond Aron, da Gerhard Ritter, da Jacques Maritain, o da Leo Strauss; ma anche positivo, con Benito Mussolini che raccontava del padre a leggergli “Il Principe” davanti al camino. Ma c’è anche l’altra tesi che va da Traiano Boccalini a Francesco Bacone e a Jean-Jacques Rousseau, sul repubblicano che finge di dare consigli ai tiranni per smascherarli. Come sintetizzò Ugo Foscolo nei “Sepolcri”, “quel grande / che temprando, lo scettro a’ regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue”. 

 In realtà, Campi considera più corretta quella visione secondo la quale Machiavelli nel definire che gli stati sono o repubbliche o principati, redige appunto due manuali: i “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio” per le repubbliche; “Il Principe” per i principati. “E chi piglia una tirannide e non ammazza Bruto, e chi fa uno stato libero e non ammazza i figliuoli di Bruto, si mantiene poco tempo” è la famosa massima sul Capitolo terzo del Libro terzo dei “Discorsi” che Arthur Koestler pose come esergo al suo “Buio a mezzogiorno”. Machiavelli personalmente preferirebbe una repubblica, ma perché la gente in libertà si comporti bene bisogna che ci sia una religione efficace, in grado di far rigare diritto senza bisogno di coercizione fisica. Siccome non è più il caso dell’Italia, per colpa del cattivo esempio dato dalla Chiesa, da noi ci vuole ormai un potere forte, anche perché bisogna costruire una Italia unita. Non è il fine che giustifica i mezzi, ma i mezzi che devono essere congruenti al fine.

 All’idea che il metodo di Machiavelli può comunque essere utilizzato a fini che si considerano positivi è legato l’apprezzamento che ne fa Antonio Gramsci, che come sintetizza Campi considera “Il Principe” non “un libro datato, ma un testo vivente, utile per l’azione politica immediata, uno strumento per la mobilitazione delle masse”. Ma c’è anche un altro importante filone definito neo-repubblicano, che è diventato prevalente negli Stati Uniti dopo la loro ascesa a superpotenza globale proprio in nome della missione di difesa delle libertà occidentali. Un approccio secondo cui un’analisi scientifica della politica è indispensabile proprio a difendere la democrazia liberale, che vede come sistematore Hans Baron con una serie di fortunati saggi pubblicati tra il 1956 e il 1961, ma che ha il suo antecedente nel famoso “Nel nome di Machiavelli. I difensori della libertà” scritto nel 1943 da James Burnham. Più bestseller che opera scientifica, in realtà. Però compilò una lista di eredi legittimi di Machiavelli, alcuni dei quali Campi pone tra le “voci” della parte terza del volume: Robert Michels, Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca. 

   

Per Gaetano Mosca, Machiavelli è “soprattutto un idealista teorico, e, come quasi tutti gli idealisti, è qualche volta un ingenuo”

   E’ vero: se effettivamente Pareto costruttore di una sociologia come logica delle azioni non logiche e teorico delle élites richiama a più riprese Machiavelli, in realtà  Michels, creatore di una “legge ferrea delle oligarchie” destinate a riapparire in ogni organizzazione, osserva che “non ha mai scritto alcunché di organico o sistematico sull’autore del Principe”. Mentre Gaetano Mosca, teorico della classe politica e della formula politica da cui nasce l’idea della democrazia come strumento di selezione tra oligarchie in competizione, addirittura “nei suoi scritti espressamente dedicati a Machiavelli ha criticato quest’ultimo proprio per la sua mancanza di rigore analitico, di metodo scientifico e di un’adeguata conoscenza della storia, arrivando a negare che possa essere considerato il fondatore e il precursore di una vera scienza politica”. “A Machiavelli sono mancati, in particolare, i materiali storici adeguati a una simile impresa, il che si spiega col fatto che alla sua epoca, secondo lo studioso palermitano, ‘l’indagine e la critica storica erano all’infanzia, anzi forse non erano neppure nate’. La sua cultura storica, oltre che limitata a Roma e alla Grecia, era inoltre eccessivamente libresca e intellettualistica: da qui l’erronea pretesa, da letterato più che da studioso, di modellare sull’antichità classica la politica del suo tempo. Come si legge nel manuale moschiano di dottrine politiche, Machiavelli, ‘come tutti quelli nei quali la maniera di pensare si è formata a preferenza sui libri, è soprattutto un idealista teorico, e, come quasi tutti gli idealisti, è qualche volta un ingenuo’”. 

 Insomma, tesi ripresa anche da Giovanni Sartori e appunto orecchiata da Montanelli: in realtà, forse il problema vero di Machiavelli fu proprio quello di non essere machiavellico! 

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