Che cos’è la “regola del pollice in su”?

Conoscete la regola del pollice in su? No, non quella degli imperatori romani che condannavano a morte o meno i gladiatori. Si tratta di un metodo pratico che offrirebbe una percezione immediata circa le possibilità di sopravvivenza di fronte a un disastro nucleare. C’è chi sostiene che questa regola era nota ai soldati Usa durante la Seconda guerra mondiale. E adesso è tornata alla ribalta con la serie Tv da record Fallout ispirata all’omonima e gettonatissima saga di videogame. Di che cosa si tratta? La Rule of thumb (regola del pollice) è spiegata nel primo episodio di Fallout dal personaggio interpretato da Walton Goggins. «Quando ero nei Marines ci hanno insegnato che, se mai venisse sganciata una bomba, devi tenere il pollice in su. Se la nube è più piccola del pollice, corri via lontano. E se è più grande… ci hanno detto che non serve correre».

Fake news atomica. I fan di Fallout e i media americani ne discutono: si tratta di una bufala nata decenni fa? O in questa regola c’è qualcosa di vero? Insomma, basterebbe osservare un fungo atomico dietro un pollice alzato per capire se vale la pena correre per salvarsi dalla ricaduta radioattiva di una bomba atomica? Se lo sono chiesto anche alcuni fisici dell’Università di Leicester (Regno Unito), e la risposta è questa: la regola del pollice in su potrebbe – forse – funzionare in contesti molto limitati, ma non con le moderne armi nucleari, ben più potenti di quelle utilizzate una volta.

Calcoli precisi. I fisici hanno voluto dimostrarlo con precisione. Per i loro calcoli, hanno scelto una bomba da 15 kilotoni, di potenza pari a quella sganciata dagli americani su Hiroshima nel corso della Seconda guerra mondiale. Il primo passo è stato misurare la lontananza dell’esplosione affinché un dito di medie dimensioni possa coprire il fungo atomico: circa 12,6 km. Supponendo dunque che lo scoppio avvenga al suolo, il raggio per evitare le ustioni dirette dovrebbe essere di 4,67 km, mentre per sopravvivere agli effetti iniziali della deflagrazione sarebbero sufficienti i 12 km calcolati.

Il fattore vento. Ma, precisano gli autori dello studio, sono da prendere in considerazione altri fattori. Tralasciando l’onda d’urto che viaggia a una velocità simile a quella del suono (circa 330 m/s), e che a 12 km/h arriverebbe in meno di un minuto, il vero problema è rappresentato dalle radiazioni portate dal vento, elemento totalmente imprevedibile.

Se, per esempio, viaggiasse a 24 km/h, impiegherebbe mezz’ora a raggiungerci, e dunque avrebbe senso il suggerimento di “correre”.

Basterebbe per salvarsi? Non proprio. Lo studio è infatti valido solo per “piccole” esplosioni, visto che le bombe di allora erano molto meno potenti di quelle attuali. Per dare un parametro di riferimento, le testate tattiche a disposizione dell’esercito russo raggiungono i 100 kilotoni, mentre le B61-3 americane possono arrivare anche a tre volte tanto. Se però passiamo alle bombe H, l’ordine di grandezza è rappresentato dai megatoni (1.000 kilotoni) e la più potente mai sganciata (nel 1961 in URSS) ne contava ben 58. In pratica, con ordigni di questo tipo, trovarsi a 12 km significherebbe essere nel cuore dell’esplosione. Ma anche se ci si trovasse a una distanza sufficiente, fuggire non è quasi mai l’idea migliore, poiché ci esporrebbe all’aria contaminata.

Alla ricerca di un bunker. Lasciamo dunque questa regola ai personaggi del futuro apocalittico di Fallaut. Per sopravvivere a un disastro nucleare, la soluzione più efficace è rifugiarsi in una struttura attrezzata o in un bunker. Se ciò non fosse possibile, le linee guida consigliano di allontanarsi dalle finestre, di restare all’interno della propria casa e di lavarsi spesso nell’attesa che le autorità forniscano istruzioni più precise. E si salvi chi può.

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