Niente paura: l’IA può aiutare l’Italia a creare nuovi posti di lavoro. Parla il capo di Anitec
“Spesso si pensa alla transizione digitale e alla diffusione dell’intelligenza artificiale come a un processo che farà perdere posti di lavoro in Italia. Ma è esattamente il contrario: aumenterà la domanda di nuove competenze, in termini qualitativi ma anche quantitativi. E penso proprio che dovremo importarle queste competenze visto che l’invecchiamento della popolazione non ci consentirà di far fronte al fabbisogno”. Da dove? “Dall’Africa, per esempio, che si sta rivelando un paese in grande evoluzione con tanti giovani tecnici preparati”. Massimo Dal Checco è appena stato nominato presidente di Anitec-Assinform, l’associazione aderente a Confindustria che raggruppa le imprese Ict e dell’elettronica di consumo. Ceo di Sidi Group, azienda che opera nel settore dell’innovazione digitale e dell’industria 4.0, Dal Checco succede a Marco Gay che è stato alla guida dell’associazione negli anni del “salto” digitale avvenuto in modo inaspettato con la pandemia. “L’industria digitale continua a svilupparsi nonostante il difficile contesto geopolitico e le pressioni economiche globali – dice al Foglio Dal Checco – Il settore Ict italiano vale oltre 79 miliardi di euro e la previsione è raggiungere 90 miliardi entro il 2026 con una crescita media annua del 4,5 per cento. Sono numeri che continuano a essere in controtendenza rispetto al pil, tornato crescere dello 0,7 per cento nel 2023 e che addirittura crescerà solo dello 0,5 per cento nel 2024, secondo le stime del centro studi di Confindustria. Soprattutto, i dati dimostrano che la transizione digitale è un processo avviato, necessario e non eludibile”.
In effetti, le imprese italiane, continuano ad investire riconoscendo il valore del digitale per mantenere la competitività sui mercati internazionali. “Ma esiste anche una parte di aziende, soprattutto le più piccole, che sono in ritardo e vanno supportate nella trasformazione. Questa, in realtà, rappresenta una delle sfide principali da affrontare insieme con il miglioramento delle infrastrutture digitali e l’adeguamento alle nuove normative europee sull’intelligenza artificiale che, in base alle nostre stime, potrebbe avere un impatto di 300 mila euro ad azienda”. Il grande driver di crescita del paese è il Pnrr, che tipo di impatto avrà sullo sviluppo digitale? “Nei prossimi tre anni l’impatto in questo settore è stimato costante intorno allo 0,5 per cento in termini assoluti, così passeremo da 910 milioni di valore aggiunto nel 2023 a quasi 2,4 miliardi nel 2026”. Il Piano ha, però, scadenze stringenti, difficili da rispettare, non è così? “I ritardi ci sono e in gran parte sono dovuti alla tanta burocrazia indotta dalla rendicontazione, al rallentamento causato dalla revisione che c’è stata e alla carenza strutturale nelle amministrazioni delle competenze necessarie”. E’ la pubblica amministrazione il vero ostacolo? “Le rispondo così: pensiamo alle grandi multinazionali, sono strutture estremamente complesse con numerose procedure interne paragonabili a un ministero o una Asl; per queste realtà la digitalizzazione dei processi è un imperativo. Così dico che bisognerebbe permettere alla pubblica amministrazione di adottare strumenti in grado di accelerare produttività e velocità. Quest’ultimo non è solo un tema di procedure di appalto, serve puntare sul change management delle organizzazioni e vanno potenziate le competenze digitali dei dipendenti pubblici”.
Secondo Dal Checco bisogna iniziare a pensare anche al post-Pnrr: “Per allora dovremmo aver gettato le basi per una pubblica amministrazione più smart, in grado, ad esempio, di sfruttare le potenzialità dell’intelligenza artificiale: penso alla redazione di atti, lettura dei documenti o automazione dei procedimenti amministrativi. Bisogna cercare strade nuove, per esempio la presidenza italiana del G7 dovrebbe rappresentare un’opportunità per avviare iniziative di cooperazione internazionale delle infrastrutture Gigabit e per attrarre investimenti nel settore Ict”. Insomma, il paese è di fronte a un cambiamento epocale che non deve avere timore di affrontare cercando soluzioni alternative, come quella di incoraggiare l’arrivo di tecnici da un continente come l’Africa, che soprattutto nell’area sub-sahariana, sta crescendo a ritmi sostenuti grazie proprio al contributo delle nuove tecnologie. “Credo che l’Italia dovrebbe porsi il problema non di come aiutare l’Africa ma di come partecipare alla sua crescita economica. Mi pare, comunque, che questo sia lo spirito anche del piano Mattei che il governo si è impegnato a portare avanti”.
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