Scrivere un romanzo dopo il 7 ottobre, facendo spazio alla ferita
Nessuna opera distopica in Israele si era spinta tanto in là da immaginare il massacro del 7 ottobre. Che cosa succede a uno scrittore quando la realtà supera l’immaginazione? È difficile creare personaggi immaginari mentre nella mente passano in loop le immagini dei volti di Kfir e Ariel Bibas, gli unici due bambini tenuti ancora in ostaggio a Gaza, e risuonano i racconti sulle violenze sessuali contro le giovani donne. Se come ha affermato Theodor Adorno nel 1949, scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie, scrivere letteratura in Israele in questo periodo sembra invece un atto superfluo, tutto ciò che non viene scritto per testimoniare l’orrore sembra non aver nessun tipo di rilevanza. Ma qual è il valore della scrittura quando la realtà supera l’immaginazione? È possibile calarsi nella finzione, raccontare ciò che sarebbe potuto essere quando invece la realtà, ciò che è stato, risucchia come un vortice le nostre risorse esistenziali? Quale significato assume la produzione artistica quando eventi di dolore incommensurabile diventano invece misura di tutte le cose, ridimensionano la nostra percezione e ridefiniscono lo spazio di riferimento nel quale dovrebbe operare la creatività?
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