La poesia di Ghiannis Ritsos salverà il mondo

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Ovunque abbiate in programma di andare in vacanza, portatevi questo piccolo (non sarà un peso neppure nello zaino in quota) e preziosissimo libro che raccoglie le poesie più belle di Ghiannis Ritsos: «Disse: Credo nella poesia, nell’amore, nella morte, perciò credo nell’immortalità. Scrivo un verso, scrivo il mondo; esisto, esiste il mondo».

Nicola Crocetti ha navigato fra le onde emozionali del poeta greco per portarci fino alla meraviglia di un cielo che si illumina, di una serata grigia e nel senso della semplicità. Sedetevi, aprite una pagina e troverete luce. Ghiannis Ritsos nasce nel 1909 in Laconia, a Monemvasià, e scrive fin da ragazzino. Gli studi universitari lo portano ad Atene ma la tubercolosi mina la sua vita e i giorni in sanatorio gli spalancano gli occhi sulle miserie dei ricoverati e le ingiustizie che subiscono. Studia e lavora come correttore di bozze, ballerino, comparsa teatrale. Entra nelle fila della sinistra e inizia a pubblicare nel 1934: esce la raccolta Trattori. La sua scrittura è matta e disperatissima: ogni refolo di vita è ispirazione e ogni centimetro quadrato accoglie i suoi pensieri, da un quaderno a un pacchetto di sigarette. Poi, sarà la volta di Epitaffio, poemetto ispirato dalla violenza con cui i soldati del dittatore Metaxàs si avventano sui manifestanti. Anni faticosi durante l’occupazione nazifascista, l’indigenza è ovunque e Ritsos devolve a chi muore di fame per le strade fondi raccolti per lui. Si unisce ai partigiani dopo la liberazione del 1944 e scrive, scrive. Anche i due capolavori Grecità e La Signora delle Vigne: sono gli anni delle persecuzioni per i partigiani, viene deportato a Leros, una delle isole-lager della Grecia. Nel 1949 lo rinchiudono sull’isola di Makrònissos, dove le condizioni sono ancora peggiori, ma Ritsos è uno dei 500 (su 70mila reclusi) che non firma l’abiura.

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Finalmente nel 1952, quando scrive L’uomo con il garofano, ritrova la libertà ma gli anni della dittatura dei colonnelli (1967-1974) lo obbligano ancora nei “campi di rieducazione nazionale”. È una vita di lotta e di resistenza perché gli ultimi sono i primi nei suoi pensieri. La critica gli è vicina anche per questo esporsi in prima persona, brandire i propri versi a difesa di chi è sottomesso. Per vari anni il suo nome è fra i candidati al Nobel: «La sua smisurata produzione, essenzialmente di natura lirica, è un’appassionata affermazione di speranza, un ardente atto di fede nel potere di riscatto e di immortalità della poesia», scrive Nicola Crocetti nella sua prefazione.

E dunque eccoli alcuni versi: La notte ci guarda tra il fogliame delle stelle (Durata); Non aveva nient’altro per resistere – ragazza di diciott’anni – / solo due mani magre, molto magre, un vestito nero, / il ricordo di un pane diviso con scrupolo / e quel che chiamavano “patri” pronunciato di nascosto le notti (La ragazza); Dunque, / invecchia anche la bellezza, anche la gloria invecchia. La fama, che credevi / ti avesse dato l’eterna giovinezza, due volte ti ha invecchiato (Venezia, I); Accanto, nel basso fondale, si udì / il secondo, il terzo di un pesce. / Immensa, estatica orfanezza – libertà (Notte).

Nel buio della disperazione, nel buio dei manicomi, Ritsos soffia il vento salvifico della poesia.

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