G. Bensoussan, Storia della Shoah

Georges Bensoussan tra i misteri della Shoah

di Antonio Stanca

   Allegata a Il Sole 24 Ore- Cultura, su licenza della casa editrice Giuntina che l’aveva pubblicata nel 2013, è uscita recentemente una nuova edizione di Storia della Shoah, ampio studio dello storico francese Georges Bensoussan. La traduzione è di Vanna Lucattini Vogelmann. L’opera risale al 1997, era stata tra le prime dell’autore ed era rientrata tra quelle che meglio avrebbero espresso i suoi interessi principali, la storia, la vita del popolo ebreo. Anche di cultura moderna e contemporanea si sarebbe interessato Bensoussan, anche di essa avrebbe scritto molto ma la sua origine ebraico-marocchina avrebbe fatto tendere i suoi studi verso quanto era successo al popolo dal quale proveniva.

   Nato in Marocco nel 1952, Bensoussan è ritenuto uno dei maggiori esperti di fenomeni quali l’antisemitismo, la Shoah, il sionismo. Molti studi ha compiuto a questi riguardi, molto ha scritto e molto è stato tradotto. Ha ottenuto notevoli riconoscimenti: è il responsabile editoriale del “Mémorial de la Shoah” di Parigi, dirige la Revue d’histoire de la Shoah.

   Come nelle altre opere anche in Storia della Shoah riesce molto chiaro, molto convincente pur trattando di un problema così complicato. Un problema che è durato a lungo, dagli ultimi anni ’30 ai primi anni ’40 del secolo scorso, si è combinato con la seconda guerra mondiale, ha coinvolto tante nazioni, assunto tanti aspetti, interessato tanti luoghi. È diventato il più grave della storia europea degli ultimi tempi. Tanto grave da tornare quasi in continuazione nel ricordo, nella memoria.

   Ampio, esteso è lo studio che Bensoussan compie nel libro riguardo alla Shoah, molto puntuale, molto preciso si mostra circa gli avvenimenti che allora si verificarono, i personaggi che ne furono responsabili, le vittime, i tempi, i luoghi, i modi della strage del popolo ebreo voluta dalla Germania nazista mentre combatteva una guerra che avrebbe dovuto procurarle il dominio del mondo e fare di quella tedesca l’unica umanità possibile. In tale prospettiva quella degli ebrei era un’impurità che andava eliminata, cancellata. Si trattò di un’operazione perpetrata, perseguita dai tedeschi di Hitler e da loro attuata soprattutto nelle zone dell’Europa orientale, quelle conquistate all’inizio delle ostilità e molto abitate dagli ebrei. Qui sorsero i campi di concentramento, le camere a gas con gli annessi forni crematori. Prima, però, che si arrivasse ad un’operazione ben determinata, rigorosamente eseguita, prima che partissero tanti treni carichi di deportati, prima che la si capisse come una vera e propria persecuzione contro gli ebrei, ovunque fossero, si era cominciato con provvedimenti restrittivi nei loro riguardi, con limitazioni, con modi che, però, non lasciavano sospettare dove si sarebbe giunti, non facevano pensare ad un piano prestabilito, lo sterminio di un popolo. In silenzio hanno cominciato i tedeschi, con la guerra hanno mascherato le loro intenzioni, nemmeno dopo le prime vittime si era sospettato il pericolo che incombeva, come lo si stava preparando. Sarebbero diventati sempre più crudeli, più feroci quei primi modi soprattutto quando le sorti della guerra avrebbero cominciato a volgere contro la Germania. Dappertutto, anche fuori dai campi di concentramento, ovunque ci sarebbe stata la morte per gli ebrei, per centinaia, migliaia di ebrei. Non si sarebbe distinto tra uomini e donne, madri e figli, vecchi e giovani, sani e malati. Sfiniti dalla fame, dal freddo, dai lavori forzati, dalle lunghe marce sarebbero diventati tutti prima di morire. Oggetti da eliminare, bruciare, distruggere e si sarebbe continuato così anche dopo un certo tempo dall’arrivo delle forze alleate. A sei milioni sarebbe giunto il numero degli ebrei uccisi durante la Shoah. Molte sarebbero state le condanne, le pene assegnate ai colpevoli dal processo di Norimberga nella sua lunga attività che, però, verso la fine si sarebbe mostrata incline ad una certa clemenza.

   Nessun particolare di un avvenimento che è durato tanto, che tante persone, tra perseguitati e persecutori, vittime e carnefici, ha visto coinvolte, sfugge al Bensoussan di quest’opera. Leggendo si ha l’impressione che abbia assistito personalmente a quelle vicende: tutto di esse riporta persino i pensieri più segreti, i discorsi più brevi, le parole più intime che possono essersi verificate nelle tantissime circostanze che della Shoah hanno fatto parte. Un documento importante va considerato il suo lavoro anche perché oltre allo storico che registra Bensoussan è il saggista che valuta, lo studioso che giudica. Stavolta più che mai molti sono i punti che lo muovono a riflettere: nella storia sono state commesse altre atrocità ma hanno avuto una causa, sono venute da una grave offesa, un torto, una colpa, un danno mentre gli ebrei non erano colpevoli, non avevano commesso misfatti, non erano “impuri”. Come spiegare tanto accanimento verso di loro? Come farlo rientrare in quel diffuso e sempre latente fenomeno dell’antisemitismo che dalla storia più antica è giunto fino ai giorni nostri? Perché così poco o niente si è fatto in quel momento da parte delle altre nazioni al fine di contenere la strage, aiutare gli ebrei, offrire loro un rifugio, un ricovero? Perché neanche la Chiesa lo ha fatto? Perché li si è lasciati così soli, li si è abbandonati? Come mai in tempi moderni quali quelli dell’Europa di metà Novecento c’è stato posto per tanto male? Come si può essere tanto primitivi, tanto barbari mentre si è tanto nuovi? Perché da parte dei colpevoli si è provveduto a cancellare, far perdere le tracce di quanto commesso? Perché tante colpe sono state occultate e tante pene ridotte?

   Sono queste mancate risposte ad aver fatto della Shoah un evento mai dimenticato, sempre pronto a rinascere. In quanto c’è d’incomprensibile, d’inspiegabile sta l’interesse che ancora suscita, nei problemi che neanche Bensoussan ha saputo risolvere. Tornerà lo studioso a scrivere della Shoah, tornerà su quanto è rimasto di non chiarito ma non lo chiarirà e accetterà il carattere di mistero che può assumere a volte la storia dell’umanità.  

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Classe prima: il metodo globale fonematico (video da YouTube)

In questi anni molto spesso sul metodo di insegnamento della lingua italiana in una prima classe ci sono state idee del tutto diverse, talvolta contrapposte. A mio parere la classica contrapposizione tra metodo globale e il suo opposto il metodo analitico non aveva ragione di esistere, i due metodi avevano il grosso limite di praticare una didattica estrema che non generava buoni risultati. L’enunciato teorico che sottende anche il nostro iter didattico è il seguente: è vero che la visione del tutto è anteriore alla ricognizione analitica delle parti (metodo globale), ma proprio per questo l’analisi va fatta ed è importante (metodo analitico). In altri termini, quando un bambino entra in classe ha dapprima una visione globale dell’aula ma poi va a cogliere i particolari: il banco, la lavagna, ecc. Se questo è vero, ed è difficile poter affermare che non lo è, dal punto di vista didattico ne deriva che occorra partire prima dalla frase (visione del tutto) per poi passare all’analisi dei fonemi e dei grafemi (ricognizione analitica delle parti) che vanno poi a formare le sillabe. E’ quello che intendiamo fare proponendo tuttavia frasi il più possibile semplici che contengano parole bisillabe o trisillabe piane. In seguito si passerà all’analisi dei singoli suoni sino ad identificare i fonemi e i grafemi che compongono la sillaba. Sarà fondamentale evitare l’inutile e dannoso passaggio proposto da molti testi di didattica che prevede la formazione della sillaba (M+A=MA). Molto più semplice ed efficace, dopo l’acquisizione delle vocali e delle consonanti M e R, far leggere l’intera sillaba e, se questo avviene, i bambini potranno, in tempi brevi, cominciare a leggere e a scrivere le prime parole. E’ di basilare importanza, in una prima fase, far scrivere gli alunni solo in stampato maiuscolo. E’ una strategia didattica semplice e nel contempo efficace; attraverso l’utilizzo dello stampato maiuscolo aiutiamo il bambino a dirigere le sue energie mentali verso la prima fondamentale esigenza del conoscere: saper leggere e saper scrivere. Se invece lo obblighiamo a scrivere sin dai primi giorni di scuola nei tre caratteri dovrà per forza di cose preoccuparsi della sua grafia e della memorizzazione di più segni, simili ma anche diversi, con il risultato di distoglierlo non di poco da quello che è poi l’obiettivo più importante. Le difficoltà manuali, per molti bambini, diventeranno non solo un’inutile fatica ma anche una barriera e un limite al progressivo evolversi delle proprie capacità di apprendimento delle strumentalità di base. Viceversa quando un bambino parte sin dall’inizio dell’anno scolastico utilizzando lo stampato maiuscolo imparerà più facilmente. 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