Totò Cascio: “La gioia di recitare da grandi”
Il prodigioso attore bambino di “Nuovo cinema paradiso”, a 44 anni e dopo la lotta con una rara malattia agli occhi, è tornato a recitare. L’intervista
Sappiamo ormai cosa abbia fatto in tutti questi anni Salvatore Cascio, Totò, il prodigioso attore bambino di ‘Nuovo Cinema Paradiso’ e di diversi altri film, perché l’ha finalmente raccontato in un’autobiografia uscita nel 2022. ‘La gloria e la prova’, oggi alla quinta ristampa per Baldini&Castoldi, è il libro che ha riacceso i riflettori su un personaggio amatissimo e li ha soprattutto accesi su una persona che ha lottato con se stessa. Prima soffrendo la progressiva cecità dovuta a una rara malattia degli occhi, poi superando questa prova che lo aveva spinto ad allontanarsi volontariamente dal cinema e dalla precoce popolarità. Quando cominciò la sua avventura straordinaria aveva otto anni e mezzo e ne ha quarantaquattro adesso che è ricominciata. Tra quegli anni e questi, ha detto il suo amico per sempre che da regista lo scoprì, Giuseppe Tornatore, Totò è diventato un uomo non solo grazie al tempo, ma perché ha fatto pace con la sorte. “Ho metabolizzato che ciò che non si può cambiare, lo si deve accettare. Mentre ciò che si può cambiare, ed è quasi tutto il resto, sta a noi fare il possibile, e il nostro meglio, per esserne i coraggiosi timonieri”, ha scritto Cascio nel suo libro.
Si è perciò riavvicinato al mondo del cinema, prima con il cortometraggio ‘A occhi aperti’ sulla sua vicenda, poi con il docufilm ‘La fune’, dedicato alle morti sul lavoro, quindi recitando ne ‘Il depistaggio’ di Aurelio Grimaldi e in ‘Sbandati’ di Maurizio Trapani.
Dove ha vissuto in tutto questo tempo?
A Chiusa Sclafani, il paese nella provincia di Palermo dove risiede la mia famiglia, non lontano da Palazzo Adriano dove nacqui e dove fu girato ‘Nuovo Cinema Paradiso’. M’incontro ancora al bar coi vecchi amici di una volta.
Ha avuto paura di tornare sul set?
La paura la dissipai quando il regista Mauro Mancini, che mi diresse nel corto ‘A occhi aperti’ per Fondazione Telethon, mi convinse a non preoccuparmi: il pubblico non si sarebbe aspettato di ritrovare sullo schermo il bambino che ero stato, ma l’attore che ero. Dovevo essere me stesso. Senza dimenticare nulla del prima.
Cosa non ha dimenticato?
Che recitare è quello che so fare meglio. Mi sento come un calciatore dopo un infortunio. Riassaporo l’atmosfera del set sapendo che è il mio mondo, e in attesa del ciak mi sento come un calciatore al quale il mister dice: “Riscaldati, che adesso tocca a te”.
Tifa ancora per la Roma?
Ovviamente. Si può cambiare fidanzata, ma non la squadra.
Da bambino ebbe il privilegio di giocare una partitella con Baggio e Baresi. Ma poi l’impossibilità di proseguire nel calcio perché non ci vedeva più bene.
Rinunciare al pallone fu tra le cose che soffrii di più. Ero un attaccante esile, rapido, innamorato del gol. Più tardi, frequentando l’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza a Bologna, ho scoperto che esiste anche il calcio per ipo e non vedenti. Ma io il pallone lo volevo pure guardare.
Fu ospite del “Cavazza” anche Andrea Bocelli, con cui ha stretto amicizia e le ha profuso consigli.
Ci siamo scambiati le rispettive esperienze e lui mi ha regalato un insegnamento di aiuto fondamentale: la malattia non è un disonore. Non avrei dovuto viverla come una vergogna, nessuno lo dovrebbe. Ho impiegato anni per trasformare in amore la rabbia, grazie alla fede, alla psicoterapia, al lavoro sul carattere. È così che ho trovato finalmente una centratura. Ora so che compartire la mia esperienza serve da ispirazione per altri. Non mi sento un eroe, ma un uomo che ha afferrato la seguente verità: fai quel che puoi con quel che hai. Più condivido la mia testimonianza più posso essere utile a chi si trova in una situazione analoga. Quando qualcuno me ne ringrazia è il momento più bello. L’handicap non deve essere sentito come una condanna, anzi bisogna esercitare l’ironia, che non è superficialità ma è forza. Quando mi congedo da qualcuno nella mia stessa condizione gli dico: non perdiamoci di vista…
C’è prospettiva di progressi medici per la cura della retinite pigmentosa?
La ricerca procede. Se arriverà un rimedio, benissimo, altrimenti pace. Sono tranquillo. Intanto è una fortuna che la tecnologia consenta di usufruire per esempio delle e-mail, di WhatsApp, dei libri.
Che volto dà a chi incontra?
Lo modello sulla voce, sulle sensazioni, è una fotografia che prende forma nella testa e nel cuore, come ho spiegato anche alle ragazze trascorse nella mia vita di cui ciascuna corrisponde a un’immagine precisa.
Cosa farà dopo gli impegni cinematografici?
Continuerò ad andare in giro per presentare il mio libro. E studierò ancora perché un altro progetto ce l’ho: mi piacerebbe un giorno sperimentarmi come regista. Ma dopo tante lacrime mi attrae la commedia. Adoro Checco Zalone.
Qual è l’insegnamento di Totò bambino a Totò adulto?
La disciplina, che appresi da Tornatore. Quando conobbi Peppuccio aveva poco più di trent’anni, ma era un uomo rigoroso che faceva ogni cosa come andava fatta. Se bisognava girare una scena alle tre di notte, il piccolo Totò si riposava tra le braccia della mamma però all’ora stabilita si risvegliava ed era pronto per il set. Quando sei piccolo assorbi gli insegnamenti come una spugna. Ti rimangono per sempre.
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