Spiagge nere e belle in Italia

 Le spiagge italiane hanno storie geologiche molto diverse tra loro.

L’Italia è un paese ricco di spiagge: sono circa ottomila i chilometri di litorale che la percorrono dal Nord al Sud.

Del resto stiamo parlando di una penisola.

Quello che più affascina è la varietà di composizioni delle spiagge che vanno dalla sabbia finissima a quella più grossa, dai sassi alla ghiaia.

Oltre a questo c’è un’altra qualità, più evidente, che affascina ancora di più: la colorazione.

La sabbia presente su piccole spiagge, insenature, isole ed anfratti assume, infatti, un arcobaleno di colori: bianco, grigio, nero, dorato, rosa e addirittura rosso.

Citiamo le parole di un esperto, Enzo Pranzini, docente di dinamica e difesa dei litorali all’Università di Firenze e autore del libro “Granelli di sabbia.”

 “Così come è complessa la geologia della penisola e delle sue montagne, così è differente la composizione delle spiagge”, riassume l’esperto.

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Continua la lettura su: https://mastrogessetto.it/spiagge-nere-e-belle-in-italia/ Autore del post: Mastro Gessetto Fonte:

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Vacanze al mare. Senza immaginare che, quando andiamo in spiaggia e stendiamo il telo mare sulla sabbia o giochiamo a racchettoni, lo stiamo facendo sopra un pezzo di storia geologica d’Italia. Sotto i nostri piedi – e ombrelloni – ci può infatti essere roccia che svettava sulle Alpi, materiale espulso da antiche eruzioni vulcaniche, pietra dorata scesa dagli Appennini. Già, perché le spiagge della nostra penisola (almeno buona parte di esse, come vedremo) nascono in montagna.
«Sono formate dal materiale eroso all’interno dei bacini idrografici dei fiumi e da questi portato a valle: tutta Italia, dalle Alpi agli Appennini, contribuisce quindi a creare le spiagge italiane. E così come è complessa la geologia della penisola e delle sue montagne, così è differente la composizione delle spiagge», riassume Enzo Pranzini, docente di dinamica e difesa dei litorali all’Università di Firenze e autore del libro Granelli di sabbia.

Veniamo giù dai monti. Un giro d’Italia da spiaggia a spiaggia, oltre che bellissimo, è dunque un vero Grand Tour geologico. Che facciamo con la guida degli esperti. Per ricostruire le “fonti” delle spiagge dobbiamo innanzitutto risalire i fiumi. «Trasportano il materiale proveniente dalle rocce che affiorano nella loro area di alimentazione, sbriciolate dai fenomeni di erosione», spiega Massimo Moretti, docente di Sedimentologia all’Università di Bari e coordinatore del Corso di laurea in Scienze Ambientali di Taranto.
«All’arrivo al mare, entra in gioco un secondo mezzo di trasporto: le correnti. Sono generate dalle onde e portano le sabbie verso terra e verso mare, o anche lungo la costa: in pratica, le onde che non arrivano perfettamente perpendicolari alla costa spostano la sabbia anche parallelamente a essa. Questo processo si chiama deriva litorale, segue i venti dominanti (che generano le onde, ndr) e permette alle sabbie di viaggiare per centinaia di km lungo le coste».

Cominciamo il nostro tour dal Po e dalla parte settentrionale dell’Adriatico. «Il Po trasporta materiali da due catene montuose, Alpi e Appennini settentrionali: i sedimenti portati sono dunque diversi e questa complessità è riflessa nelle spiagge adiacenti il delta del Po», dice Moretti. E continua Enzo Pranzini, «le sabbie grigie del Po – con materiali dalle montagne alpine – dominano nella costa più settentrionale dell’Emilia-Romagna. Ma ogni fiume dà il suo contributo e i flussi di sabbie si mescolano. A Rimini e sulla riviera romagnola i sedimenti provengono dall’Appenino e si muovono verso nord spinti dalle correnti indotte dal moto ondoso.

Nella parte nord dell’Adriatico, ci sono i fiumi (come Brenta o Piave) che veicolano sedimenti dalle Alpi Orientali, per esempio nati dai calcari chiari delle Dolomiti. Pensiamo al Tagliamento, che sfocia e porta materiale alla spiaggia di Lignano Sabbiadoro (UD): un tesoro di sabbia gialla, tanto che, al momento di costituire il nuovo comune nel 1959, al toponimo fu aggiunto l’epiteto “Sabbiadoro” prima usato a scopo promozionale. Le sabbie chiare marchigiane e abruzzesi sono alimentate da materiali erosi sugli Appennini, in zone dove prevalgono i calcari». La spiaggia è insomma una sintesi di rocce: ecco spiegate le differenze di colore tra granelli di arenili diversi o anche di una stessa spiaggia.

Andiamo tra Liguria e Toscana, «tra la foce del Magra (Bocca di Magra, SP) e Livorno. Il Magra, dall’Appennino Tosco-Emiliano, porta al mare anche i sedimenti del Vara: viene dall’Appennino Ligure ed è ricco di materiali scuri e con punte di verde dovute a rocce verdognole come le ofioliti. Le sabbie sono spinte a sud, arrivando a Marina di Pietrasanta (LU) dove incontrano i sedimenti più chiari dell’Arno (che sfocia a Marina di Pisa), che la corrente trasporta a nord e a sud fino a Livorno. Negli spostamenti, i sedimenti si lasciano dietro i granuli più grossi e vengono abrasi: ecco perché nella zona di convergenza di Marina di Pietrasanta si trova la sabbia più fine da Bocca di Magra a Livorno», dice Pranzini. In bianco o in rosa. Abbiamo parlato del trasporto via fiumi e mare. Prima di continuare il tour, spieghiamo cosa succede… all’arrivo, dove la sabbia si deposita formando la spiaggia. Che è ben più della striscia che frequentiamo in vacanza: la parte emersa è solo una frazione di quella sott’acqua. «Consideriamo spiaggia quell’ambiente che va dalla base delle dune fino alla profondità a cui si risente dell’effetto delle onde, che erodono, trasportano e depositano le sabbie», spiega Moretti. Onde e mareggiate spostano la sabbia, trasportandola verso la costa o verso il largo. Non c’è solo la sabbia, poi. «Esistono spiagge di ghiaia, che si formano spesso nei pressi dei delta dei fiumi», dice Moretti.

E nelle zone con pochi corsi d’acqua? «Un esempio è la Puglia: ci sono solo due fiumi pugliesi capaci di trasportare grandi quantità di sedimenti nel Mare Adriatico: il Fortore, per le zone a nord del Gargano, e l’Ofanto a sud.

Ci sono vaste zone carsiche dove buona parte delle precipitazioni viene inghiottita nella falda profonda senza scorrere in superficie. Nella parte ionica del Salento si creano però le spiagge bioclastiche: sono quelle formate da frammenti di conchiglie e di altri organismi marini, rotti dall’azione delle onde. Sono costituite nella quasi totalità da carbonato di calcio, il componente inorganico di conchiglie e altri resti di animali. È il caso delle spiagge di Porto Cesareo o di Pescoluse in provincia di Lecce», spiega Moretti.
Sabbia del Salento. Il carbonato di calcio è bianco e dà alle sabbie un colore candido. Queste spiagge dipendono in realtà da una pianta: la posidonia, che forma praterie sommerse. «Questi organismi con guscio vivono nel posidonieto e quando muoiono i loro resti finiscono sulla spiaggia con quelli della posidonia. Questa si decompone, i frammenti dei gusci restano. La posidonia quindi è fondamentale per fornire materiale a queste particolari spiagge, oltre a costituire una barriera naturale che limita l’erosione costiera: i suoi resti non andrebbero eliminati dalle spiagge», conclude Moretti. «E comunque in generale nelle spiagge una componente organica c’è sempre».

Analogo è il meccanismo che ha creato una formazione straordinaria: la Spiaggia Rosa dell’isola di Budelli (SS), in Sardegna. È composta da frammenti di gusci di Miniacina miniacea: è un foraminifero, un protozoo che si costruisce un guscio calcareo di colore rosa. Vive sulla posidonia e quando muore arriva sulla costa con i resti della pianta. Sabbie di origine biologica si possono trovare anche nelle pocket beach, le “spiagge a tasca”. «Sono quelle limitate da due promontori, sui quali le onde, frangendosi, perdono energia facendo depositare tutti i gusci degli organismi nella baia fra essi compresa», spiega Moretti. «Normalmente, a meno che non siano sede di un fiume, le pocket beach hanno pochi sedimenti terrigeni (provenienti dall’erosione delle rocce più antiche, ndr). Una minima parte viene dall’erosione delle rocce dei promontori stessi. Il resto, come nelle pocket beach della Puglia, proviene dai gusci dei tanti organismi che popolano i fondali marini». Spiagge sonore. Anche alcuni minerali molto diffusi creano spiagge chiare. «Uno di questi è il quarzo, che è trasparente ed è ben presente nelle nostre spiagge perché molto abbondante nelle rocce. Lo stesso vale per altri minerali chiari come i feldspati. E chiari possono anche essere i sedimenti che vengono dai calcari», riassume Moretti.

A volte i materiali si mescolano. «La spiaggia bianca della Pelosa a Stintino (SS), oltre al quarzo proveniente dai graniti che affiorano nella zona, ha in realtà più del 50% di frammenti di resti di animali», aggiunge Pranzini. Parlando di quarzo, un capolavoro naturale costituito da questo minerale è la spiaggia di Is Arutas (OR). La formano granuli di quarzo, arrotondati dall’erosione fino a formare chicchi bianchi e rosati, con inclusioni di altri colori come il verde. Sempre di granelli di quarzo è la spiaggia di Cala Violina a Scarlino (GR). La sua particolarità non è il colore. «È una spiaggia sonora: quando vi si cammina sopra, stride come un violino. L’abbondanza di quarzo si deve al fatto che è un materiale molto resistente: gli altri, più erodibili, sono stati persi e non rimpiazzati perché la spiaggia viene poco alimentata da nuovo materiale», dice Pranzini. Il quarzo è rimasto, con il suo effetto sonoro.

Dalle spiagge chiare, passiamo però alle scure. Che origine hanno? «Molte sono prodotte da materiali vulcanici, dallo sbriciolarsi per esempio del basalto (una roccia scura di origine vulcanica)», spiega Pranzini. Nascono da materiale vulcanico le spiagge nere delle Eolie, come Sabbie Nere a Vulcano e Ficogrande a Stromboli. L’arcipelago siciliano ha vulcani ancora attivi, ma a volte le sabbie scure rimandano a vulcani lontani ed estinti. Qualche esempio? «I minerali che arrivano nell’Adriatico dal monte Vulture, in Basilicata: sono scuri e hanno una densità maggiore (circa 3,6 g/cm³) rispetto per esempio al quarzo (circa 2,6 g/cm³). Per questo sono trasportati in modo diverso, selettivo, rispetto agli altri minerali: tra Margherita di Savoia (BT) e Otranto (LE), per esempio, formano tipiche lamine nere che si alternano alle sabbie chiare», dice Moretti.
La magnetite nella sabbia. Questi minerali sono per esempio anfiboli e pirosseni, comuni nelle rocce magmatiche, e magnetite: un minerale ferroso con densità ancora maggiore (oltre 5 g/cm³), con le più intense proprietà magnetiche in natura, presente nelle rocce basaltiche. Basta una calamita per attrarre la magnetite dalla sabbia. «Allo stesso modo dagli antichi vulcani del Lazio “scendono” i sedimenti scuri che alimentano le spiagge della regione e arrivano a conquistare parte del litorale toscano», dice Pranzini.

Sfumature di nero. Le sfumature di nero possono essere molte. Una è quella della spiaggia di Terranera all’Isola d’Elba.

«È ricca di minerali di ferro: provengono dal materiale di scarto dall’attività mineraria sull’isola. Se fossero rimasti dentro la montagna, non sarebbero arrivati sulla riva», dice Pranzini. Qui si estraevano magnetite, ematite, pirite, minerali di ferro i cui frammenti ora si trovano nella spiaggia scura e luccicante. Ci sono però anche spiagge scure con origini slegate dai vulcani. «Come la spiaggia nera di Cala Jannita a Maratea (PZ), sulla costa tirrenica della Basilicata: è alimentata da calcari e dolomie nerastre (rocce sedimentarie, ndr) che affiorano nel bacino da cui le acque arrivano alla costa. Non tutti i calcari sono chiari», dice Pranzini.
Nella tavolozza delle sabbie italiane ci sono anche rosso e arancione. «Dove si vedono, è segno che ci sono ossidi di ferro», conclude Pranzini. È arancione la spiaggia di Porto Ferro (SS) in Sardegna, dove il colore è dato dalla presenza di ossidi di ferro nelle arenarie che la alimentano. Il punto in cui stendiamo l’asciugamano, insomma, merita davvero attenzione.

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Tutti al mare: le spiagge più belle viste dall’alto

L’infinito potere della sabbia

Che cosa ci ha salvato dalle ere glaciali, nasconde più vita della foresta amazzonica e muove un giro d’affari di 70 miliardi di dollari? Risposta: la sabbia. E che cosa ha fatto nascere la matematica, i computer, il vetro, il calcestruzzo e il nostro Pianeta? Sempre la sabbia. Questo materiale impalpabile, su cui ci sdraiamo d’estate, ci influenza più di quanto immaginiamo: «La sabbia è uno degli attori principali della vita sulla Terra», dice Michael Welland, geologo britannico.
«È trasportata dai venti, dalla gravità, dai fiumi e dalle correnti marine. Ogni secondo si generano miliardi di granelli di sabbia: ciascuno impiega secoli per viaggiare dalle montagne al mare, essere sepolto nei fondali e tornare in atmosfera con le eruzioni vulcaniche o la collisione delle placche tettoniche».

Minerali, conchiglie, corallli. La sabbia è composta da minerali (per lo più composti del silicio: quarzo, argilla, granito) sminuzzati dal vento, dal ghiaccio e dall’acqua.. Ma le sabbie possono essere fatte anche di conchiglie, lava vulcanica, coralli e… escrementi di pesci pappagallo: sono loro gli artefici delle bianche spiagge caraibiche. Questo pesce ha una sorta di becco con cui inghiotte i coralli in cerca di cibo: poi ne espelle i resti triturati, al ritmo di 1 kg l’anno. Per la scienza, in realtà, qualsiasi materiale fra 0,06 e 2 mm è definibile come sabbia: quindi anche lo zucchero, il sale o le sementi.
Ma la sabbia ha un’influenza globale. E ogni granello ha un’identità unica: si può risalire alle rocce da cui è originato. Nel 1944 i geologi statunitensi scoprirono la provenienza di alcune mongolfiere incendiarie grazie alla sabbia con cui erano zavorrate. Venivano da una località del Giappone, che fu poi bombardata.

Scopri le storie geologiche delle più siginificative spiagge italiane nell’articolo Test sotto la sabbia, di Giovanna Camardo, su Focus 359 (settembre 2022). Leggi il nuovo Focus in edicola!
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Oggi la sabbia è il materiale più usato ed estratto dopo l’acqua. Ogni anno se ne scavano 40 miliardi di tonnellate in tutto il mondo: ci si potrebbe costruire un muro alto come un palazzo di 9 piani e largo altrettanto, per tutto l’Equatore. Infatti la sabbia è l’ingrediente principale del calcestruzzo. La sabbia è usata per fare smalti, plastiche, dentifrici, creme solari, inchiostri. E chip per computer: il silicio è estratto da sabbia di quarzo pura al 99,99999%.
Arcipelaghi artificiali. Ecco perché la sabbia muove un business globale di 70 miliardi di dollari. Con effetti critici: causa il 10% delle emissioni di CO2 , contribuisce all’erosione delle coste e sottrae una risorsa naturale che non si rinnova. «La sabbia sepolta negli edifici e nell’asfalto non torna più in circolo», avverte l’Unep, Programma Onu per l’ambiente. Basta citare Dubai: ha raschiato 835 milioni di tonnellate di sabbia dai fondali del Golfo Persico per costruire gli arcipelaghi artificiali “le Palme” e “il Mondo”, con effetti ignoti sulla vita sottomarina. O Singapore, che si è ampliata del 20% grazie alla sabbia importata: i prelievi massivi hanno cancellato 24 isole indonesiane, aprendo tensioni politiche con la Malesia sui nuovi confini marittimi.

Come limitare il saccheggio di sabbia? «Usare calcinacci e vetro per le costruzioni di bassa qualità, o i residui degli inceneritori, che producono malte resistenti. È urgente regolare l’estrazione di sabbia, sia in terraferma (alzando le tariffe delle concessioni) sia nelle acque», avverte Pascal Peduzzi dell’Unep. In Italia gli fa eco Legambiente: sabbia e ghiaia sono il 62,5% dei materiali cavati ma «le pianificazioni delle Regioni sono scarse e le imposte agli estrattori ridicole».
Sulla Luna. Gli scienziati studiano le dinamiche della sabbia. La fisica dei sedimenti, infatti, è cruciale per prevedere le valanghe o gli smottamenti. I materiali granulari hanno una dinamica insospettabile: la sabbia secca si comporta come un liquido, quella umida come un solido. Ralph Bagnold – ufficiale britannico affascinato dal Sahara, da cui vide riemergere la Sfinge – dedicò la vita alle dune del deserto: all’Imperial College di Londra fece costruire una galleria del vento per studiarne il moto.
Il suo libro sulla fisica della sabbia (1941) è stato uno dei testi base delle missioni della Nasa sulla Luna e su Marte, dove è cruciale conoscere le dinamiche della sabbia per posizionare in sicurezza le navicelle spaziali. La sabbia ha comportamenti complessi: quando c’è vento, per esempio, un granello può sollevare in aria una superficie ampia più di 6 volte il suo diametro e 200 volte il suo peso; e queste collisioni generano cariche di elettricità statica che tengono i granelli vicini al terreno. Ricostruire la dinamica della sabbia è un rompicapo: quanti granelli, lasciati cadere su una pila, occorrono per provocarne il collasso? È uno degli obiettivi (ancora lontani) delle teorie del caos.

Già Archimede di Siracusa, oltre 2.200 anni fa, colse il legame fra sabbia e matematica: intitolò L’arenario un trattato sui grandi numeri. Per dimostrare che possono estendersi all’infinito, calcolò quanti granelli riempirebbero la sfera celeste: circa 1063. Difficile dire se avesse ragione, ma di fatto creò i numeri esponenziali. La sabbia, infatti, è l’immagine dell’infinito. Per questo, nei Caraibi, si usa lasciarne una pila davanti a casa: se arrivasse un vampiro, non resisterebbe alla tentazione di contarne i granelli e rimarrebbe bloccato tutta la notte.
Infinita. Per enumerare i granelli di un litro di sabbia (17 milioni), uno al secondo, occorrerebbero 3 mesi e mezzo. Ecco perché l’abaco, la prima calcolatrice, deriva dal fenicio abak, “sabbia”: era una tavoletta su cui si disponevano sabbia e sassi; forse lo 0 riproduce l’impronta di un sasso eliminato. Ed è nato sulla sabbia il codice a barre: nel 1952 l’ingegnere Usa Norman Woodland, cercando un sistema veloce per fare i conti alle casse, disegnò sulla sabbia l’alfabeto Morse: allungò in verticale i punti e le linee, e creò il nuovo codice. Con la sabbia si può fare arte: in Tibet i disegni sulla sabbia (mandala) guidano la meditazione; quando sono finiti sono distrutti, perché tutto è transitorio.

I fiumi sono le principali autostrade della sabbia: ogni anno portano nei mari 8 km3 di materiale, che riempirebbero mezzo miliardo di camion. Nelle zone ad alto rischio idrogeologico, i sedimenti possono causare tragedie, ma nessun computer può ricostruire la fisica dei granelli: per studiare il moto dei sedimenti, al laboratorio Anthony Falls di Minneapolis hanno costruito il “Juras – sic tank”, una vasca da bagno lunga 47 metri in cui fanno precipitare 200 tonnellate di sabbia, variando la pendenza e la superficie. Ma è difficile, anche ai più esperti, fare previsioni: nel 1944 la nave Usa Richard Montgomery risalì il Tamigi con un carico di bombe. La nave si incagliò nell’estuario, su un banco di sabbia a Sheerness, e fu abbandonata. È ancora lì, delimitata da boe, carica di 3.000 t di esplosivi: occorrerebbero 35 milioni di € e 18 mesi di lavoro per bonificarla.

Quando la sabbia trasportata dai fiumi arriva in mare, si può depositare sulle coste o finire nei fondali. Ma non tutte le spiagge si formano per accumulo di sabbia: altre sono dovute all’erosione delle coste, al deposito di lave vulcaniche, conchiglie, escrementi di pesce, coralli. L’arcipelago delle Bahamas, 132 mila km 2 , è una piattaforma carbonatica: una barriera corallina che venne a galla per l’abbassamento dei mari nel Mesozoico. Cotti dal Sole, i carbonati si sono trasformati in una roccia spessa 5 km. E dobbiamo ringraziare i calcari finiti negli oceani se il clima della Terra resta equilibrato. I calcari si formano quando le piogge acide si uniscono a sabbie di silicati di calcio. Se arrivano in acqua fredda, che li scioglie, i mari rilasciano CO 2 , che riscalda l’atmosfera; se invece sfociano in acque calde, i calcari si depositano nei fondali, portando con sé la CO 2. Èil ciclo silicio-carbonio, meccanismo con cui la Terra si raffredda quando la temperatura sale troppo e viceversa.
Le sabbie mobili. La sabbia può essere un collante: se riusciamo a costruire i castelli di sabbia è merito della tensione di superficie fra l’acqua e l’aria, che lega due granelli vicini. E questo spiega anche le sabbie mobili: si formano quando l’acqua separa i granelli fra loro ma non riesce a drenare, lasciando la sabbia in sospensione. Il risultato è un fragile equilibrio fra solido e liquido: se ci si muove veloci, il movimento impedisce la dilatazione del liquido, e i granelli vanno a uno stato solido, cementando la persona. Nelle sabbie mobili si può morire di fame, caldo, ma non perché si viene risucchiati a fondo, come si vede nei film. Per estrarre un piede dalle sabbie mobili occorre la stessa forza necessaria a sollevare un’auto di media cilindrata.

Come liberarsi dalle sabbie nobili? Il segreto è muoversi lentamente, per permettere all’acqua di scorrere e riempire lo spazio intorno a voi. La dilatazione della sabbia è un problema tragico in caso di terremoti. Se si scaricano su uno strato di sabbia umida nel sottosuolo, ne causano l’espansione: l’acqua drena, viene meno l’adesione fra i granelli, e si aprono grandi crepe nel terreno che inghiottono intere città. L’Università della California ha trovato una soluzione: iniettare nel sottosuolo un batterio (Sporosarcina pasteurii) capace di cementare fra loro i granelli.

Nella sabbia si celano molte forme di vita, e diverse sono ancora da scoprire. Se una foresta pluviale può ospitare 16 tipi (phyla) di organismi, nella sabbia ce ne sono 22. Granchi, coccinelle scorpioni, scarabei, ma anche invisibili creature inferiori al mm, gli psammon. Si nutrono di foglie, batteri, animali morti: è merito loro se troviamo pulite – e piene di buchi – le spiagge, anche a Ferragosto. Fra le creature della sabbia ci sono animali resistenti come i tardigradi, capaci di sopravvivere fra i –200 °C e i +150 °C.
E le strutture più antiche sulla Terra sono le stromatoliti, sedimenti costruiti da cianobatteri intrappolando granelli di sabbia coi loro filamenti: la sabbia è stata la culla della vita. E gli stessi pianeti non sono che sabbia e polveri interstellari coagulate fra loro in milioni di anni. È falso, invece, che le perle si formino se un grano di sabbia entra in un guscio d’ostrica: occorrono materiali più grandi, come frammenti di conchiglia. Ma con tutto ciò che fanno i granelli, pretendere anche le perle sarebbe troppo.

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