Il principe felice

Il principe felice è un racconto per bambini di Oscar Wilde, adatta ai bambini da 5 anni in su.

Il principe felice

C’era una volta, nella piazza di un paese, la statua di un principe felice: era una statua ricoperta d’oro e tempestata di gemme e gioielli. Gli abitanti del paese l’avevano costruita in ricordo di un principe che aveva governato quelle terre molti anni prima: si diceva che non ci fosse mai stata una persona più felice di lui.Un giorno d’autunno, una rondine si posò sulla statua: stava volando verso Sud, per ripararsi dal freddo in qualche oasi d’Egitto, ma era …

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Il Sudoku dell’Antico Egitto

L’enigmistica è un’attività educativa divertente e coinvolgente che stimola il cervello e sviluppa le capacità logiche e matematiche degli studenti. Il Sudoku, un gioco di logica giapponese molto popolare, è una delle forme più apprezzate di enigmistica. Tuttavia, per rendere questo gioco ancora più interessante e rilevante per gli studenti della scuola primaria, possiamo introdurre una variante tematica: il Sudoku dell’Antico Egitto. Utilizzando simboli egizi al posto dei numeri tradizionali, questa versione del Sudoku non solo intrattiene, ma educa anche i bambini sulla storia e la cultura dell’antico Egitto.
Il Sudoku dell’Antico Egitto offre un’opportunità unica per combinare l’apprendimento della logica con elementi storici, rendendo il processo educativo più completo e affascinante. In questo articolo, esploreremo come introdurre il Sudoku dell’Antico Egitto nella scuola primaria e i benefici educativi di questa attività.
A fine articolo potrete scaricare gratuitamente in formato PDF “Il Sudoku dell’Antico Egitto, Enigmistica per la Scuola Primaria“.
Indice

Cos’è il Sudoku dell’Antico Egitto?
Una Variante del Classico Sudoku
Il Sudoku dell’Antico Egitto segue le stesse regole del Sudoku tradizionale. L’obiettivo del gioco è riempire una griglia in modo che ogni riga, colonna e sezione contenga tutti i simboli una sola volta. La differenza principale è che, invece dei numeri da 1 a 9, si utilizzano simboli egizi come geroglifici, immagini di divinità e altri simboli iconici dell’antico Egitto.
Simboli Egizi Utilizzati
Alcuni dei simboli egizi che possono essere utilizzati includono:

Ankh: simbolo della vita eterna.
Occhio di Horus: simbolo di protezione e buona salute.
Scarabocchio: simbolo di rinascita e trasformazione.
Geroglifici: vari simboli che rappresentano lettere e suoni.
Divinità: immagini di dei e dee come Ra, Anubi e Iside.

Benefici Educativi del Sudoku dell’Antico Egitto
Sviluppo delle Capacità Logiche e Matematiche
Giocare al Sudoku sviluppa le capacità logiche e matematiche degli studenti. Richiede concentrazione, pianificazione e risoluzione dei problemi, abilità che sono fondamentali per il successo accademico.
Conoscenza della Storia e della Cultura Egizia
Utilizzando simboli egizi, il Sudoku dell’Antico Egitto introduce i bambini alla storia e alla cultura dell’antico Egitto in modo interattivo e divertente. Questo aiuta a sviluppare un interesse per la storia e stimola la curiosità per altre civiltà antiche.
Miglioramento della Memoria e della Concentrazione
Il Sudoku richiede che gli studenti ricordino i simboli e le loro posizioni sulla griglia, migliorando così la memoria a breve termine e la capacità di concentrazione.
Integrazione Interdisciplinare
Il Sudoku dell’Antico Egitto può essere integrato in diverse materie scolastiche come la matematica, la storia e l’arte, creando un approccio interdisciplinare che arricchisce l’esperienza di apprendimento.
Esempi di Griglie di Sudoku dell’Antico Egitto
Griglia Semplice

Utilizza una griglia 4×4 per i bambini più piccoli o per chi è nuovo al Sudoku.
Inserisci 4 simboli egizi diversi.
Fornisci alcuni simboli già posizionati come indizi.

Griglia Intermedia

Utilizza una griglia 6×6 per studenti che hanno già familiarità con il Sudoku.
Inserisci 6 simboli egizi diversi.
Aumenta la complessità con meno indizi iniziali.

Griglia Avanzata

Utilizza una griglia 9×9 per studenti più esperti.
Inserisci 9 simboli egizi diversi.
Sfida gli studenti con una griglia complessa e pochi indizi iniziali.

Conclusione
Il Sudoku dell’Antico Egitto è un’attività enigmistica unica che combina logica e storia, rendendo l’apprendimento divertente e stimolante per gli studenti della scuola primaria. Utilizzando simboli egizi al posto dei numeri tradizionali, gli insegnanti possono introdurre elementi culturali e storici nelle lezioni di matematica e logica.

Potete scaricare e stampare gratuitamente in formato PDF “Il Sudoku dell’Antico Egitto, Enigmistica per la Scuola Primaria“, basta cliccare sul pulsante ‘Download‘:

Domande Frequenti su ‘Il Sudoku dell’Antico Egitto, Enigmistica per la Scuola Primaria’

Cos’è il Sudoku dell’Antico Egitto?
Il Sudoku dell’Antico Egitto è una variante del classico gioco di logica Sudoku, in cui i numeri sono sostituiti da simboli egizi. Questo rende il gioco più interessante e coinvolgente per gli studenti della scuola primaria, combinando l’apprendimento della logica con elementi della storia egizia.

Quali sono i benefici del Sudoku dell’Antico Egitto per gli studenti?
Giocare al Sudoku dell’Antico Egitto aiuta gli studenti a sviluppare capacità logiche e matematiche, migliorare la concentrazione e la memoria, e acquisire familiarità con i simboli egizi. Inoltre, rende l’apprendimento della storia e della cultura dell’antico Egitto più divertente e interattivo.

Come si gioca al Sudoku dell’Antico Egitto?
Il gioco si basa sulle stesse regole del Sudoku tradizionale: bisogna riempire una griglia in modo che ogni riga, colonna e sezione contenga tutti i simboli una sola volta. La differenza principale è che, invece dei numeri da 1 a 9, si utilizzano simboli egizi come geroglifici o immagini di divinità.

Come posso integrare il Sudoku dell’Antico Egitto nel curriculum scolastico?
Il Sudoku dell’Antico Egitto può essere utilizzato come attività di logica durante le lezioni di matematica, come esercizio di rilassamento o come parte di un’unità di studio sull’antico Egitto. Può essere inserito in attività di gruppo, competizioni in classe o come compito a casa.

Il Sudoku dell’Antico Egitto è adatto a tutti gli studenti della Scuola Primaria?
Sì, il Sudoku dell’Antico Egitto può essere adattato per essere adatto a diverse età e livelli di abilità. Griglie più semplici possono essere utilizzate per i bambini più piccoli o per chi è nuovo al Sudoku, mentre griglie più complesse possono sfidare gli studenti più grandi o più esperti.

Quali simboli egizi posso utilizzare nel Sudoku dell’Antico Egitto?
Puoi utilizzare una varietà di simboli egizi come geroglifici, immagini di divinità, animali sacri, e altri simboli iconici dell’antico Egitto. L’importante è scegliere simboli distinti e facilmente riconoscibili per evitare confusione.

Come posso valutare l’apprendimento degli studenti attraverso il Sudoku dell’Antico Egitto?
Puoi valutare l’apprendimento osservando la capacità degli studenti di completare correttamente le griglie, la loro comprensione delle regole del gioco e il loro coinvolgimento nell’attività. Inoltre, puoi includere domande di comprensione sulla storia e i simboli egizi utilizzati nel gioco per verificare l’acquisizione delle conoscenze storiche.

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Vi racconto la Venere di Milo

La bellezza per antonomasia. La classità per definizione. Il capolavoro scultoreo per eccellenza.Questo (e tanto altro) è la Venere di Milo, l’eccezionale statua greca conservata al Louvre.
È una delle sculture più famose del mondo, un capolavoro di età ellenistica, ma non tutti ne conoscono la storia a luci e ombre e le infinite reinterpretazioni fatte dagli artisti.

Tutto ha inizio l’8 aprile del 1820 quando Yorgos Kentrotas, un contadino greco che abitava sull’isola di Milo, nell’arcipelago delle Cicladi, colpì con la sua pala qualcosa di molto duro.

Stava cercando pietre per rinforzare la recinzione del suo campo quando dal terreno spuntò fuori un busto di marmo pario senza braccia, del tutto inutile per le necessità del contadino.
Il caso volle che si trovasse da quelle parti anche Olivier Voutier, un giovane ufficiale della marina francese appassionato di archeologia, la cui nave Chevrette era ormeggiata sull’isola. L’uomo passeggiava tra i ruderi dell’antico teatro greco, incantato dagli innumerevoli frammenti di statue che emergevano dal terreno. Ma vedendo il contadino, a poca distanza da lui, fermo a osservare qualcosa nella buca che stava scavando, si avvicinò per curiosare.

Ecco come Voutier ricorda quel momento: “Aveva appena scoperto la parte superiore di un statua in cattive condizioni e, non potendo essere utilizzata per la sua costruzione, stava per ricoprirla di macerie. Con la punta di qualche piatto l’ho fatta invece uscire. Non aveva le braccia, il naso e il nodo di i capelli erano spezzati, erano terribilmente sporchi. Tuttavia, a prima vista, si riconosce un pezzo notevole. Ho esortato il mio uomo a cercare l’altra parte. Presto si è imbattuto in essa. Poi ho fatto assemblare la statua. Chi ha visto la Venere di Milo può immaginare il mio stupore!”.Ed ecco come ha disegnato quel ritrovamento.

La scoperta della statua suscitò grande entusiasmo anche nell’ammiraglio Jules Dumont d’Urville che si fece subito avanti per acquistarla. Ma Pierre-Henry Gauttier du Parc, il capitano della Chevrette, si oppose a quella trattativa rifiutandosi di trasportare un manufatto tanto fragile.

A quel punto il contadino pensò bene di cercare un nuovo acquirente in un monaco ortodosso che intendeva offrirla a un funzionario ottomano del sultanato di Costantinopoli. D’Urville allora scrisse immediatamente all’ambasciatore di Francia a Costantinopoli: non poteva lasciarsi sfuggire un pezzo così pregiato! L’ambasciatore acconsentì all’acquisto, anzi diede l’ordine di comprare la scultura a qualsiasi prezzo.

Il suo interesse però non era tanto di tipo artistico, ma smaccatamente politico. Quella statua, un raro esemplare greco originale e non una copia romana, alta poco più di due metri, avrebbe compensato lo smacco subito dalla Francia che, dopo il Congresso di Vienna, nel 1815, aveva dovuto restituire ai vari stati italiani la Venere Medici, l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte, alcuni dei capolavori classici sottratti con le spoliazioni napoleoniche.
Grazie alla Venere di Milo, per altro, Parigi poteva tornare a competere con Londra – che da alcuni anni si era appropriata dei marmi del Partenone – e con Monaco di Baviera, la cui Gliptoteca conservava i preziosi frontoni provenienti dal tempio di Afaia, sull’isola greca di Egina.
Dopo estenuanti trattative con il monaco e con la comunità dell’isola di Milo i francesi finalmente si aggiudicarono la statua e la imbarcarono alla volta della corte di re Luigi XVIII che nel 1821 ne fece dono al Louvre.

L’azione di propaganda iniziò immediatamente: la statua, inizialmente attribuita a Fidia o a Prassitele (ma oggi datata al 150-125 a.C.) fu esposta al centro di una grande sala del Louvre e i calchi vennero inviati alle Accademie di Belle Arti affinché i giovani studenti potessero copiarla. Doveva diventare a tutti i costi un simbolo universale di bellezza.Per questo si aprì subito il dibattito sulla possibilità di completarla con due nuove braccia, come si usava fare all’epoca. Ma le ipotesi erano contraddittorie. Teneva una mela in mano? Scriveva su una lapide? Si guardava allo specchio?

Alla fine prevalse la decisione di lasciare la statua com’era (a parte l’aggiunta del piede sinistro, successivamente rimosso): la mancanza delle braccia, in fin dei conti, non ne diminuiva né il valore né la bellezza, anzi faceva convergere tutta l’attenzione sul raffinatissimo panneggio, sul busto levigato e su quel volto dall’espressione imperturbabile.

Per altro non era neanche certo che si trattasse di Venere: quell’identificazione era stata fatta da d’Urville e mai più rimessa in discussione. In verità una porzione di basamento originale, misteriosamente scomparso, portava delle iscrizioni collegabili forse alla statua di Poseidone ritrovata nello stesso luogo nel 1877, di cui la figura femminile avrebbe potuto essere la moglie  Anfitrite.

Ma è chiaro che una “Anfitrite di Milo” non avrebbe colpito l’immaginario collettivo come una “Venere di Milo” (che per essere precisi avrebbe dovuto chiamarsi Afrodite, alla greca). E d’altra parte la posa e la composizione somigliavano molto a quelle della Venere di Capua del Museo Archeologico di Napoli (copia romana di un originale greco rinvenuta nel XVIII secolo). Dunque, meglio lasciare tutto com’era…

La vera incoronazione come dea della bellezza arriverà poco tempo dopo, quando gli artisti iniziarono a prendere la Venere di Milo come modello per le loro opere d’arte. Il primo in assoluto è stato Eugène Delacroix: la sua Libertà che guida il popolo del 1830, infatti, si ispira alle Venere di Milo per quel busto nudo, per la gamba sinistra protesa in avanti e per il panneggio della veste.Questo omaggio però non bastò a fare apprezzare quella figura: le braccia robuste, le guance arrossate e i peli sotto le ascelle facevano somigliare la donna a una massaia piuttosto che a una dea!

Del 1841 invece, è questo dipinto intimista del danese Christoffer Wilhelm Eckersberg. È dedicato alla toilette del mattino ma quella schiena con i fianchi cinti dal tessuto è un esplicito riferimento alla Venere di Milo, come si può notare osservando il retro della statua.

Assieme alla fama purtroppo cominciano anche i pericoli. Nel 1870-1871, con l’infuriare a Parigi della guerra franco-prussiana, la Venere di Milo viene imballata in una cassa di legno e conservata in un luogo sicuro.

Al suo rientro a Louvre il curatore del museo iniziò degli studi approfonditi sulla statua scoprendo, tra le tante, che non si è spezzata in seguito a un incidente né è stata tagliata: la Venere è stata realizzata fin dall’inizio unendo due blocchi di marmo.
A partire dagli anni Ottanta viene ritratta più volte nella sala in cui era stata collocata, come presenza divina nella penombra del museo.

Intanto diventa oggetto di studio anche da parte degli artisti più insospettabili, come Cézanne e van Gogh.

La celebrità della scultura è testimoniata pure da alcuni dipinti che ne raffigurano delle miniature in ambienti domestici…

… o nell’atelier di una pittrice.

Ebbe grande diffusione anche il solo torso. Possiamo vederlo sia nello studio di uno scultore che in un soggiorno borghese.

Tutto cambia con l’arrivo del Surrealismo. Dopo cento anni dalla sua scoperta, quell’icona di bellezza, quel frammento di perfezione, perde per la prima volta la sua aura divina e diventa l’oggetto degli esperimenti espressivi più estremi.
Per primo inizia René Magritte con Les menottes de cuivre (Le manette di rame) del 1931. Si tratta di una copia della statua parzialmente ridipinta in rosa e blu, con la testa lasciata in bianco. Il titolo, ideato da André Breton, allude ironicamente all’assenza delle mani. È un’operazione dadaista simile ai baffi sulla Gioconda fatti da Duchamp nel 1919. E tuttavia Magritte ci aveva visto giusto: le statue greche erano colorate in modo da sembrare corpi veri.

Il 1936 è invece l’anno della Venere a cassetti di Salvador Dalì. Riprodotta in infinite varianti, è un’opera che si inoltra nel mondo della bellezza carnale, dell’eros e dei suoi segreti, rappresentati dai cassetti (un simbolo tratto dalla psicanalisi di Freud) aperti sul corpo della statua.

Nello stesso periodo si occupa della scultura anche Man Ray. La sua Venere restaurata del 1936 (un busto senza drappo sui fianchi) e la testa di Venere del 1937 sono una perfetta dimostrazione dello spirito iconoclasta che muoveva dadaisti e surrealisti. Stringere tra corde o catturare in una rete un pezzo di statua significa trattare quei capolavori come oggetti qualsiasi, oltre a suggerire simili fantasie erotiche sul corpo femminile.Ma in fondo non occorre cercare un significato. La testa di Venere dentro una rete da pesca è “bella come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio”, per usare le parole del poeta Lautréamont tanto care ai Surrealisti.

Tuttavia la dissacrazione della Venere di Milo non è stata un’invenzione di questi artisti. Già a partire dagli anni Dieci ci avevano pensato i pubblicitari a trasformare la dea della bellezza in testimonial più o meno ironico dei nuovi consumi di massa. Dai corn-flakes all’aspirina, dai corsetti alle stilografiche, ogni occasione era buona per accostare il proprio prodotto alla suprema perfezione della dea greca.

Ma nel 1939 la Venere è di nuovo in pericolo. Con l’avanzata delle truppe tedesche verso la Francia occorreva svuotare il Louvre dai suoi capolavori e spostarli in un luogo sicuro. Il direttore Jacques Jaujard chiuse il museo il 25 agosto 1939 (ufficialmente per manutenzione) e organizzò il trasloco di oltre 4000 opere – sia dipinti che sculture – chiudendole dentro 1862 casse di legno trasportate da 203 camion diretti verso il castello di Chambord.

Il 16 agosto 1940 i nazisti entrarono al Louvre. Con grande disappunto scoprirono che era completamente vuoto. Ma furono lieti di trovare la Venere di Milo ancora al suo posto. Quello che non sapevano è che la statua che stavano ammirando era una volgare copia in gesso.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Venere, quella vera, torna al suo posto. E in poco tempo ritorna al centro dell’interesse degli artisti, in quella sorta di continuo ritorno al passato, specialmente quello classico, che caratterizza l’arte occidentale.

Nel 1962 se ne occupa Niki de Saint Phalle con una delle sue azioni artistiche da poco inaugurate: realizza una copia cava della Venere, fissa al suo interno dei sacchetti di vernice e poi la colpisce a distanza con un fucile. La statua a quel punto inizia a ricoprirsi di colore, ma in un modo che non può essere controllato dall’artista. È un attacco all’arte antica ma contemporaneamente è una rigenerazione, nata da un gesto di estrema violenza.

Intanto i traslochi non sono finiti. Nel 1964 la statua viene spedita addirittura a Tokyo, in occasione delle Olimpiadi. Ma il lungo viaggio di 33 giorni sul transatlantico francese Vietnam l’ha danneggiata: quattro frammenti del panneggio, all’altezza dello stinco sinistro, si sono staccati. Tre di questi erano pezzi in gesso di un vecchio restauro mentre il quarto era una scheggia di marmo, già staccata dalla statua all’atto del ritrovamento nel 1820.
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Dalì tornerà di nuovo sul tema della Venere negli anni Settanta, evidentemente ossessionato da questo simbolo così potente. In Torero allucinogeno la Venere di Milo si moltiplica in diverse posizioni e varie dimensioni dentro una delirante sovrapposizione di immagini. La dea diventa archetipo femminile inafferrabile, a tratti spaventoso. La sua figura ripetuta dà forma anche al volto del torero, in un gioco di interscambio tra figura e sfondo.

Negli stessi anni Dalì torna anche alla versione scultorea di Venere, ma abbandona i cassetti e inizia a mescolare le parti del volto con la Testa otorinologica di Venere. Naso e orecchio sono scambiati di posto: forse perché ‘sentiamo’ con entrambi?

Poi è stata la volta di Arman che, usando il suo linguaggio basato sulla trasformazione e accumulazione di oggetti comuni, ha iniziato ad affettare, frammentare, scomporre e riassemblare la Venere di Milo. Ma per quanto la si possa fare a pezzi, lei rimane sempre riconoscibilissima.

Quella posa sinuosa con le braccia mozzate si riconosce pure in silhouette, come nello specchio Venere disegnato dall’architetto Carlo Mollino nel lontano 1938 per Casa Miller a Torino (ma ancora in produzione)…

… oppure nella scultura sezionata di César del 1984.

Tra le versioni più recenti ci sono quelle di Jim Dine degli anni Ottanta e Novanta. Le sue Veneri sembrano regredire alla fase di blocco appena sbozzato: mancano della testa e appaiono spigolose e ruvide. Ma il colore, in tinta unita o a chiazze vivaci, rende questi oggetti quasi astratti, specialmente nelle dimensioni colossali che in alcuni casi assumono. Quando queste statue sono disposte in gruppi di tre la classicità raddoppia, attraverso un evidente richiamo al tema delle Tre grazie.

A fronte di tutto questo, di una passione sfrenata verso una dea venuta da una sperduta isola greca che pare non vedere mai flessioni, si può ben dire che l’azione di propaganda messa in atto dalla Francia abbia funzionato davvero alla grande! E però, per trasformare una statua in un’icona, qualcosa di speciale ci dev’essere.

Quella donna di marmo ci guarda da millenni, indifferente al succedersi dei giorni e delle stagioni, alle generazioni umane che, passando, la guardano negli occhi. Aspetta paziente senza aspettare nulla: la sua imperfetta perfezione le basterà per sempre.

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