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Storia romana per alunni del serale

Viste le lacune di molti e le difficoltà ad affrontare programmi completi con gli alunni del serale, ho pensato di sintetizzare in un unico file tutta la storia romana. Un’impresa ardua, ma ci ho provato! Molto spesso gli alunni dei percorsi serali sono persone che hanno frequentato i primi anni di scuola superiore e poi hanno interrotto gli studi; quando tornano a scuola sono passati anni, in alcuni casi anche decenni, per cui ricordarsi la storia antica è veramente difficile. Si trovano, così, a dover affrontare direttamente lo studio della storia medievale, se non addirittura quella contemporanea, senza ricordare o senza aver mai saputo nulla di quella precedente. Se consideriamo il fatto che la nostra storia è l’evoluzione di quella romana e che la nostra lingua e la nostra letteratura sono collegate alla latinità, allora è proprio un peccato restare con questo vuoto di conoscenza. Per questo motivo ho pensato di sintetizzare in poche pagine tutta la storia romana, sperando di lasciare qualche traccia in chi tempo per approfondire ne ha poco. Ovviamente è bene aiutare la comprensione del testo e accompagnare la lettura dello stesso con interruzioni verbali atte a puntualizzare ed esplicare argomenti accennati brevemente, in modo da fornire un quadro chiaro di oltre venti secoli di storia.

Tratti salienti di Storia Romana

La nascita di Roma fu la
conseguenza di un lungo processo, cui contribuirono non solo i latini, ma anche
molte altre popolazioni, tra cui gli etruschi, i sabini e i greci. Il
popolamento dell’Italia avviene attraverso varie sovrapposizioni di
popoli.

La fondazione di Roma è fissata
alla metà dell’VIII sec. a. C. , in quel periodo l’Italia
presenta una serie di popoli: etruschi, greci, fenici, umbri, siculi, sicani,
latini, ecc. E’ in un’ Italia dal popolamento eterogeneo, ma dominate da due
culture avanzate (etrusca e greca) che nasce Roma. Nei primi anni sono numerose
le lotte interne: Roma si espande sottomettendo i popoli che la contrastano,
primo tra tutti quello dei latini da cui i romani stessi discendono.

La leggenda della fondazione di Roma

Secondo la tradizione, Roma sarebbe stata fondata il 21 aprile del 753 a. C. I romani, diventati i padroni del mondo, attribuivano alla loro città origini divine. Partendo da antiche leggende, il poeta Virgilio ( 70-19 a. C.) ne raccontò la storia nel poema Eneide. Enea, figlio di Venere, fuggito da Troia in fiamme col vecchio padre Anchise e il figlio Ascanio chiamato anche Iulo, giunse, guidato dagli dei, presso la foce del Tevere. Accolto dal re Latino, sposò la figlia mentre suo figlio Iulo fondava Albalonga (sui colli Albani, nel Lazio). Qui finisce l’Eneide, ma il racconto continua, tramandato da grandi storici di Roma (Tito Livio il più autorevole e il greco Dionigi di Alicarnasso), che hanno raccolto altre leggende. Passarono gli anni. Re di Albalonga divenne Numitore, ma il fratello Amulio lo spodestò e costrinse la figlia di lui, Rea Silvia, a diventare sacerdotessa della dea Vesta rinunciando quindi al matrimonio. Tuttavia il dio Marte, invaghitosi di lei, si unì alla fanciulla e nacquero due figli, Romolo e Remo. Temendo di perdere il trono Amulio li fece mettere in una cesta e gettare nel Tevere, ma la cesta, protetta dagli dei, s’impigliò nei rami di un fico e una lupa li allattò, consentendo loro di sopravvivere.

In realtà, alcuni storici, sostengono che Romolo altri non fosse che un pastore a capo di un gruppo dedito al brigantaggio.

Dalla monarchia alla Repubblica a Roma

Dal latino Senatvs PopvlvsQve Romanvs – il Senato e il Popolo Romano = il Senato e il popolo, cioè le due classi dei patrizi e dei plebei che erano a fondamento dello Stato romano.

Durante il periodo monarchico l’organizzazione politica è basata sulla monarchia costituzionale elettiva: il potere diviso tra re, senato e comizi curiati (assemblee di cittadini romani). Romolo (romano) fu il primo dei 7 re di Roma, gli altri furono: Numa Pompilio (sabino), Tullo Ostilio (romano),  Anco Marzio (sabino), Tarquino Prisco (etrusco), Servio Tullio (etrusco), Tarquinio il Superbo (etrusco).

La cacciata dell’ultimo re espone Roma
alle mire dei popoli vicini, come Volsci, Sabini e la Confederazione latina.

La
rivolta dei patrizi, dei popoli italici, degli abitanti delle colonie della
Magna Grecia sono le ragioni che determinano l’avvento della repubblica.

I
romani si troveranno ad affrontare guerre contro i sanniti , guerre contro i
greci e contro i cartaginesi per governare in Italia, nell’Asia Minore e
nell’Africa del Nord.

Nell’VIII secolo la Grecia estendeva la sua
influenza nell’Italia meridionale; Magna Grecia viene denominata l’area
geografica colonizzata.

Dal 509 a.C. i patrizi decisero di
istituire un nuovo tipo di governo in cui le decisioni venissero prese non da
un re, ma da tutti gli abitanti di Roma: tale governo fu chiamato res
publica, ossia “cosa pubblica”. Al posto del re furono eletti due consoli,
che rimanevano in carica per un solo anno. Accanto a loro venivano eletti,
sempre ogni anno, altri magistrati che si occupavano di amministrare la città e
il suo territorio. In pratica però nei primi anni della repubblica il potere
rimase nelle mani dei patrizi, gli unici che potevano essere eletti consoli e
diventare magistrati o senatori. I plebei, ossia tutto il resto
della popolazione non appartenente alle famiglie dei patrizi, erano esclusi da
qualsiasi decisione politica.

I plebei volevano però partecipare alla vita
politica. Così nel 494 a.C. attuarono una sorta di sciopero: si riunirono su un
colle fuori dalle mura di Roma (secessione
sull’Aventino e sul monte Sacro), non svolgendo più alcun lavoro e non
partecipando al servizio militare. Sarebbero ritornati alla vita normale solo
se i patrizi avessero loro concesso di eleggere i propri rappresentanti
politici, i tribuni della plebe, e di riunirsi in assemblee formate
da soli plebei, i concili della plebe. I patrizi furono costretti ad
accettare le loro richieste. Dalla metà del V secolo i plebei ottennero altre
concessioni che permisero progressivamente la loro piena partecipazione alla
vita politica. Il conflitto tra patrizi e plebei finì nel 367 a.C.,
quando una legge stabilì che uno dei due consoli dovesse essere plebeo
(leggi licinie sestie). In questo
modo i plebei riuscirono ad avere libero accesso anche al Senato, dato che i
consoli, una volta terminato il loro anno di carica vi entravano di diritto.
Ricordiamo, però, che per accedere al consolato servivano mezzi economici che
solo una piccola parte della plebe possedeva.

Nel I  secolo
a.C. fu eletto console Gaio Mario, a
lui si oppose Silla, portavoce delle
idee della nobiltà.

La guerra civile tra Mario e Silla e la dittatura di quest’ultimo avevano dimostrato che le istituzioni repubblicane (Senato, magistrature e comizi) avevano perso gran parte del loro valore e riuscivano a imporsi, sulla scena politica, generali che potevano contare sull’appoggio del proprio esercito. Morti Mario e Silla, infatti, fu la volta di altri tre generali: Marco Licinio Crasso, Gneo Pompeo e Caio Giulio Cesare.

Fattosi valere come generale di Silla nella guerra
civile contro Mario, Pompeo venne eletto console nel 70 a.C. insieme con
Crasso.

Il Senato preoccupato che Pompeo, divenuto troppo
potente, seguisse i passi di Silla e instaurasse una dittatura, non volle
riconoscere i provvedimenti da lui presi in Oriente e rifiutò di concedere le
terre che aveva promesso come premio ai suoi soldati. Pompeo, per ottenere
quanto gli spettava, cercò quindi l’appoggio degli uomini allora più influenti
a Roma: Marco Licinio Crasso e Caio Giulio Cesare,
un patrizio che era diventato il capo dei popolari
(sostenendo gli interessi dei plebei per ottenere l’allargamento
delle basi del potere favorendo allo stesso tempo i grandi commercianti, i
finanzieri e i cavalieri; a questa fazione si opponevano gli ottimati, “i migliori”: ristretto
gruppo di famiglie che rappresentavano la nobilitas,
alla quale facevano parte le antiche famiglie patrizie e quelle plebee più in
vista. Pompeo sosteneva questa fazione).

Nel 60 a.C. i tre strinsero un patto privato, noto
con il nome di primo triumvirato, in quanto indicava l’unione di tre (tres) uomini (viri)
a capo del governo.

La
guerra civile tra Cesare e Pompeo

Nel 53 a.C. Crasso era morto e si era quindi rotto
il triumvirato. Cesare, finita la sua campagna militare in Gallia, voleva
tornare a Roma e candidarsi al consolato. Il Senato, temendo che
Cesare portasse al potere i popolari, preferì sostenere Pompeo e lo elesse
unico console. Ordinò poi a Cesare di fare rientro a Roma come privato
cittadino, sciogliendo il suo esercito. Cesare rifiutò. Nel 49 a.C. si diresse
verso Roma e a capo delle sue truppe attraversò il fiume Rubicone,
che segnava il confine del territorio sacro di Roma. Era una vera e propria
dichiarazione di guerra contro il Senato e Pompeo. Questi, consapevole della
forza di Cesare, preferì lasciare Roma e fuggire prima nel Sud Italia e di lì
in Oriente, per avere il tempo di radunare un esercito. Cesare lo raggiunse e
lo affrontò a Farsalo, in Grecia. I pompeiani furono sconfitti e
Pompeo fuggì in Egitto, dove venne ucciso dal re Tolomeo XIII, che credeva così di farsi amico Cesare. Questi,
invece, lo punì per il suo atto, lo depose dal trono e consegnò il regno alla
sorella Cleopatra.

Nonostante la sua politica mirasse a non scontentare
nessuno, una parte della classe senatoria non accettò il suo enorme potere,
considerandolo un pericolo per la repubblica. Così alle Idi di marzo del 44 a.C.,
mentre entrava in Senato, Cesare fu ucciso a pugnalate da un gruppo di
senatori.

Nel calendario romano le Idi erano
il tredicesimo giorno di ogni mese, ad eccezione dei mesi di marzo, maggio,
luglio e ottobre nei quali cadevano il quindicesimo giorno.

I senatori che avevano ucciso Cesare avrebbero
voluto il ritorno della repubblica, ma troppe cose erano ormai
cambiate nella società e nell’organizzazione politica di Roma. Cesare aveva
nominato come erede nel suo testamento il figlio adottivo (nonché suo
pronipote) Gaio Ottavio. Questi prese il nome del padre Gaio Giulio
Cesare Ottaviano e, deciso prima di tutto a vendicare la morte del
padre, si alleò con Marco Antonio, luogotenente di Cesare, e con un
altro generale, Marco Emilio Lepido.  Nel 43 a.C. i tre formarono il secondo triumvirato.

Marco Antonio si innamorò di Cleopatra, la sposò e
instaurò una monarchia di tipo orientale. La popolazione romana e
il Senato iniziarono a temere che Antonio volesse costituire un regno
indipendente, sottraendo a Roma le province orientali. Ottaviano capì che era
il momento di rompere il triumvirato per ottenere tutto il potere e, messo da
parte Lepido, dichiarò Antonio nemico di Roma. Radunò quindi un esercito,
raggiunse l’Egitto e si scontrò con Antonio ad Azio, nel 31 a.C. L’esercito egiziano,
nonostante fosse più numeroso, venne sconfitto. Antonio e Cleopatra fuggirono,
ma, inseguiti da Ottaviano, si tolsero la vita. Ottaviano rimaneva ormai
l’unico incontrastato dominatore di Roma. Con Cleopatra finì l’ultima delle
grandi monarchie ellenistiche, nate dalla spartizione dell’immenso impero di
Alessandro Magno.

L’Impero
a Roma

Tredici anni dopo la morte di Cesare, Ottaviano si
ritrovava unico erede del potere del padre adottivo e doveva scegliere quale
tipo di governo instaurare a Roma: la dittatura l’avrebbe portato
all’insuccesso, così come era capitato a Cesare, e anche il modello di monarca
orientale pensato da Marco Antonio non era ben visto dai Romani. Capì che
l’unico modo per non fallire era riproporre un governo basato sulle vecchie
istituzioni repubblicane, in modo da ottenere il consenso di tutte le
classi sociali. Il primo titolo che si fece attribuire fu infatti quello
di restitutor rei publicae, colui che restaura la repubblica.
In realtà ripristinò i comizi e i concili della plebe che, come in età
repubblicana, eleggevano tutti i magistrati. Le magistrature, però, diventarono
solo delle cariche onorifiche e persero del tutto i loro
poteri, che passarono nelle mani di Ottaviano. La scelta politica di Ottaviano
metteva quindi definitivamente fine alla repubblica, ma, per come
veniva proposta, appariva ai Romani una completa restaurazione delle
istituzioni repubblicane. Nel 27 a.C. il Senato attribuì a Ottaviano il titolo
di Augusto (cioè “degno di venerazione”). Con Ottaviano
comincia di fatto l’epoca imperiale.

Ottaviano abbellì Roma con nuovi templi e monumenti.
Uno tra i più importanti fu sicuramente l’Ara pacis, l’Altare
della pace, che Ottaviano fece costruire proprio al centro del Campo di Marte,
la piazza dedicata al dio della guerra. Con quest’opera ben visibile a tutti i
cittadini, Augusto si presentava come l’iniziatore di una nuova era di
pace dopo tanti anni di guerre.

Il sistema politico creato da Augusto rimase
invariato fino all’inizio del III secolo. Questo lungo periodo di stabilità
assicurò a tutta la popolazione dell’Impero pace e benessere. Un aspetto che,
però, Ottaviano non aveva curato e che diventò spesso motivo di tensione e di
conflitto era la successione. Come scegliere il successore di un’eredità così
importante? Augusto aveva capito che la successione dinastica,
ossia l’eredità di padre in figlio o tra membri della stessa famiglia, sarebbe
stato l’unico modo per evitare forti contrasti e garantire stabilità. Così dopo
di lui si succedettero imperatori della sua stessa famiglia, la dinastia
giulio-claudia, fino al 68 d.C., quando Nerone, l’ultimo
imperatore della dinastia, morì. La successione dinastica non rimase però una
regola fissa. Dopo un’altra dinastia, la dinastia flavia (69-96),
in cui l’Impero passò dal padre Vespasiano ai suoi due
figli, Tito e Domiziano, venne inaugurato, sotto
la spinta del Senato, che sperava così di controllare maggiormente la scelta
degli imperatori, il sistema dell’eredità per adozione: ogni
imperatore prima di morire aveva il compito di scegliere (e quindi di
“adottare”) il suo successore.

Durante l’Impero di Vespasiano fu progettato e
costruito l’Anfiteatro Flavio,
inaugurato nell’80 dal figlio Tito. Questo grandioso monumento, noto con il
nome di Colosseo per le sue
dimensioni enormi, poteva contenere 50 000 spettatori. Era destinato a ospitare
spettacoli per il popolo, come le lotte tra i gladiatori e le battaglie navali,
per le quali si riempiva di acqua il centro dell’anfiteatro.

Successore di Vespasiano fu il figlio Tito che
governò soli tre anni (morì per una forte febbre) con la stessa moderazione del
padre e si trovò costretto a fronteggiare disastri naturali quali l’incendio di
Roma e l’eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei, Ercolano e
Stabia; domò una grave rivolta a Gerusalemme a seguito della
quale fu distrutto il tempio e iniziò la diaspora degli Ebrei. 

Alla fine del III secolo d.C., dopo un lungo periodo
di crisi, salì al potere Diocleziano, che cercò di porre lo stato
sotto il suo totale controllo.

Convinto che i cristiani
fossero un pericolo per il bene dello Stato, nel 303 scatenò contro di loro una
lunga e sanguinosa persecuzione: furono distrutti i templi,
confiscati i beni delle chiese, bruciati i libri sacri e molti subirono la
condanna a morte.

Nel 312, alla fine di  lotte sanguinose, prese il potere Costantino.
Il primo provvedimento del nuovo imperatore fu l’editto di Milano del 313 d.
C., conosciuto anche con il nome di editto di tolleranza,
perché concedeva ai cristiani la libertà di praticare la loro fede. Il
cristianesimo fu posto sullo stesso piano del paganesimo e di tutte le altre
religioni dell’Impero. Tuttavia Costantino favorì in ogni modo i cristiani:
concesse loro privilegi, diede ai vescovi incarichi importanti nella cura
dell’amministrazione e della giustizia, dichiarò la domenica giorno di festa
obbligatorio e fece costruire numerose chiese. L’imperatore si era reso conto
che il cristianesimo era ormai molto diffuso, soprattutto nelle città, e
pensava che la fede in un unico Dio e una religione di grande forza potessero
rendere lo Stato più forte e stabile. Grazie alla libertà di culto il cristianesimo
si diffuse anche in zone molto lontane dell’Impero.

Alla morte di Diocleziano, inizialmente, l’impero
aveva due padroni, Costantino in Occidente e Licinio
in Oriente. Costantino aveva ottenuto la vittoria decisiva contro il
rivale Massenzio alle porte di Roma nel 312 d. C. , anno in
cui fece costruire l’arco di Costantino per commemorare la vittoria. Nel 324
d. C. riuscì a unificare l’impero ed essere unico
imperatore. La capitale non fu portata a Roma, ma fu costruita una nuova città
chiamata Costantinopoli che divenne la capitale; politica,
cultura ed economia gravitarono così a Oriente.

Negli anni successivi alla morte di Costantino il
numero dei cristiani aumentò rapidamente finché il cristianesimo divenne
la religione più diffusa tra gli abitanti delle città:
ovunque, soprattutto nelle regioni orientali dell’Impero, si formarono comunità
cristiane molto ben organizzate sotto la guida di un vescovo. La vittoria
definitiva del cristianesimo arrivò nel 379 d.C., quando divenne
imperatore Teodosio. Egli pensava che il cristianesimo e i vescovi
fossero un valido sostegno per rafforzare la propria autorità; per questo
motivo, con l’editto di Tessalonica del 380 d.C., stabilì che il cristianesimo
fosse la sola religione ammessa
nell’Impero: venivano così vietate tutte le altre religioni e gli antichi
riti pagani, definiti «insani e dementi». Era la fine del paganesimo.

La
divisione dell’Impero romano e il crollo dell’Impero romano d’Occidente

Alla morte di Teodosio, l’Impero romano fu diviso in
due: l’Impero romano d’Oriente e l’Impero romano d’Occidente. Soprattutto
quest’ultimo fu preso d’assalto dai popoli germanici (Franchi, Angli e Sassoni,
Vandali, Burgundi, Visigoti e Unni) che in alcune zone dell’Impero arrivarono a
formare dei veri e propri insediamenti.

Tra il 406 e il 407 d.C. numerose tribù
germaniche, spinte dal popolo degli Unni, varcarono il Reno e
si riversarono in Occidente alla ricerca di nuove terre da abitare. Ormai
caduto in una crisi profonda, l’Impero d’Occidente non si risollevò più.
Nel 476 il generale di stirpe germanica Odoacre,
comandante della guardia imperiale in Italia, fu acclamato re dai soldati e
depose l’ultimo imperatore, Romolo Augustolo. Questa data segna
il crollo definitivo dell’Impero romano d’Occidente. Le invasioni barbariche determinarono,
così, la fine dell’Impero romano d’Occidente!

Da questo momento iniziano a formarsi i regni
romano-barbarici.

In Italia il re
degli ostrogoti venne, con il sostegno dell’imperatore d’Oriente, a
scacciare Odoacre (493). Teodorico era cresciuto nella corte
romana ed era grande ammiratore della civiltà imperiale. Non volle che goti e
romani si mescolassero, proibendo i matrimoni misti, ed ebbe cura di far vivere
pacificamente i due popoli, ciascuno con le proprie leggi. Lasciò ai romani l’amministrazione del regno
e riservò ai goti la difesa militare. La sede del re
ostrogoto era Ravenna che si
arricchì di monumenti, tra cui il Mausoleo
(tomba di Teodorico) , oggi patrimonio
mondiale dell’Umanità.

Alla morte di Teodorico in Europa troviamo in Oriente l’imperatore Giustino.
Suo successore, nel 527 d. C., fu il nipote, di bassa estrazione sociale, Giustiniano.
Il suo sogno è la restaurazione imperiale. Tale obiettivo si scontra
inevitabilmente con i goti in Italia, al termine di un continuo susseguirsi di
battaglie che frastagliano l’intera Europa troveremo una Roma completamente
distrutta e spopolata.

Giustiniano non seppe comprendere come, da un punto
di vista economico, l’impero si reggesse sull’Asia e sul Medio-Oriente,
piuttosto che sull’Italia. Alla sua morte il regno era parecchio indebolito.

Lasciò ai posteri la più completa e coerente
raccolta di diritto romana, il Codice, che trovò nell’Impero
d’Oriente e nell’Italia meridionale (sottoposta ai bizantini) una chiara
affermazione.

L’Impero romano d’Occidente era oramai crollato
sotto le spinte dei barbari, quello d’Oriente – l’impero bizantino – rimaneva ricco e forte. Costantinopoli, la capitale,
era la città più ricca e grande del Mediterraneo.

Distacco
tra Oriente e Occidente

Culturalmente tra bizantini e romani c’era un’enorme
distacco: i bizantini parlavano e scrivevano in greco, lingua che
l’Europa occidentale aveva completamente dimenticato. Inoltre, i bizantini si
consideravano gli unici continuatori della civiltà romana.

In campo religioso, nell’VIII secolo, i
vescovi di Roma si opposero alla distruzione delle sacre icone (immagini
sacre solitamente dipinte su tavola), ordinata dagli imperatori di
Costantinopoli che consideravano superstizioso il culto delle immagini. Questo
è l’inizio della rottura che avverrà tra le due Chiese nell’XI secolo.

L’Impero romano d’Oriente, separatosi
dall’occidente dopo la morte di Teodosio I nel 395 d.c. dovrebbe segnare la
fine dell’impero “romano” per sostituirlo con il termine
“bizantino”, da Bisanzio, l’antico nome della capitale Costantinopoli,
oggi Istambul.

L’Impero
bizantino, tra molte lotte, terminò nel 1453 con la conquista di
Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani guidati da Maometto II. Non fu
solo un cambiamento di dominatori ma un cambiamento di civiltà, ovvero una
retrocessione di civiltà.

                                                                                                                                 Prof.ssa E. Gurrieri

Di seguito trovate il pdf scaricabile

Tratti-salienti-di-Storia-Romana-convertito

Roma on the road. Con Rutelli alla scoperta della città eterna

In giro per la capitale con un cicerone d’eccezione, l’ex sindaco. Tra natura e storia, un libro per romani e turisti con consigli di bellezze da visitare e storie e luoghi personali

Sullo stesso argomento:

“Roma camminando” con la guida di un ex sindaco! “Tutte ‘e strade pòrteno a Roma” in romanesco, “Omnes viae Romam ducunt” in latino, è proverbio antichissimo che ha anche ora significato metaforico, ma che all’origine aveva proprio senso letterale: per l’efficiente sistema di strade dell’antica Roma, su cui in buona parte si basa ancora l’attuale sistema viario italiano. Molte strade consolari partivano da Roma e quindi, se prese in senso contrario, davvero “portavano a Roma”. Tant’è che le attuali strade statali contrassegnate con i numeri da 1 a 8 sono tutte ex strade consolari romane: Aurelia, Cassia, Flaminia, Salaria, Tiburtina, Casilina, Appia, Ostiense.

“La splendida fatica di Marco Besso, che a partire dal 1899 raccolse proverbi e motti relativi a Roma (‘Roma e il Papa nei proverbi e nei modi di dire’), dedica ben 23 pagine a illustrare le versioni dell’espressione ‘tutte le strade portano a Roma’ nelle più diverse lingue del mondo”, ricorda l’ex sindaco Francesco Rutelli, che appunto “Tutte le strade partono da Roma” intitolò un suo libro del 2020. 

Forse per questo, però, spesso chi queste strade la ha percorse, anche nelle moderne modalità del treno e dell’aereo, una volta arrivato nella Città eterna pensa che il più è fatto, e si concentra solo su alcune mete. Per carità: chiunque a Roma ci viva, quando arrivano parenti o amici da fuori è il primo a consigliare di non disperdersi, e di selezionare il top di quella scelta immensa di cose da vedere che l’Urbe offre. “La maestà der Colosseo” e “la santità der cupolone” innanzitutto, come le indica fiore all’occhiello anche “Roma capoccia” di Antonello Venditti. Segue il giro delle piazze appunto sempre affollate di turisti. Piazza Navona con la Fontana dei quattro fiumi in cui secondo la leggenda Bernini derise l’antistante chiesa di Sant’Agnese in Agone, col Rio de la Plata che fa il gesto spaventato, “oddio, mo’ casca!”, e il Nilo che si copre gli occhi, “mamma mia che schifezza!”; e Sant’Agnese “la sora Agnesina” che sul tetto si porta le mani al petto, “voi nun ve preoccupate che alla chiesa ce penso io”.  Solo una leggenda, perché quando l’edificio fu terminato in realtà le statue c’erano già. 

  

Poi Piazza della Rotonda. Rutelli consiglia di provare a digitare su un motore di ricerca “copie del Pantheon dal mondo”. “Dai casi più celebri (la Rotonda del Palladio a Vicenza, o quella di Possagno, come le omonime Rotunda di Monticello e della Virginia University volute da Thomas Jefferson) risaliamo ai versi del Belli sulla denominazione del Pantheon, ‘ma doppo s’è chiamata la Ritonna’. ‘Piazza della Rotonda’ è quanto tuttora leggiamo sulla targa stradale. Il ‘gioioso senso di riverenza’ suscitato in Goethe dalla visita al Pantheon è parte di un entusiasmo che è fluito ininterrotto nella storia, come scoprirete dalla vostra visita virtuale. Che non può dar conto di tutto; aggiungo perciò alla lista l’accurata riproduzione settecentesca, in formato ridotto, nel parco privato creato dagli Hoare a Stourhead, in Inghilterra. E il Pantheon ricostruito dai nazisti, vincitori immaginari della Seconda guerra mondiale nella serie prodotta da Amazon ‘The Man in the High Castle’ (‘L’uomo nell’alto castello’): con la fedele volta a cassettoni”. 

  

Piazza di Spagna, ancora, con la scalinata di Trinità dei Monti. Piazza Venezia, con l’Altare della Patria e il vicino Campidoglio. E Piazza di Trevi, con la fontana dove Anita Ekberg fa il bagno nella “Dolce vita”, che Totò e Nino Taranto rivendono a un ingenuo italoamericano in “Totò truffa”, e su cui riferisce anche “Arrivederci Roma”. “La canzone di Rascel”, ricorda Rutelli, “si conclude con un’‘inglesina’, consapevole che ‘ce sta ‘na leggenda romana legata a ‘sta vecchia fontana, per cui se ce butti un soldino costringi er destino a fatte tornà’. La ragazza ‘buttò la moneta e sospirò: Arrivederci, Roma, Goodbye, au revoir’.”. Ma “tendiamo a dimenticare l’ultima strofa: ‘Mentre l’inglesina s’allontana, un regazzinetto s’avvicina, va nella fontana, pesca er soldo e se ne va’. Chi può negare ai romani il disincanto strafottente, talvolta autocritico, sulfureo?”.

  

E nel “giro essenziale” consigliato a chi Roma se la deve vedere in tre giorni rientra infine, ma già un po’ dopo, Castel Sant’Angelo. Che in altri contesti meriterebbe da solo il viaggio, ma nella Città eterna finisce appunto in secondo piano. Già ci vuole che la permanenza si spinga a cinque o sei giorni per  suggerire l’aggiunta di Musei Vaticani, Fori imperiali e Circo Massimo. E anche così alla gran parte dei turisti mordi e fuggi finisce ad esempio per sfuggire un’opera universalmente nota come il Mosè di Michelangelo, con quelle corna in fronte in realtà frutto di una cattiva traduzione latina del termine ebraico per “fasci di luce”. Ma ci vuole una deviazione apposta per San Pietro in Vincoli: che non è il San Pietro “cupolone” dove di Michelangelo si vedono invece la Pietà e la Cappella Sistina, e quest’ultima passando per i Musei.

   

“Se no, ti ci vuole un anno, a vedere quello che meriterebbe di essere visto”, è il consiglio finale che si dà al visitatore rapido. Però c’è poi gente che a Roma effettivamente per anni ci rimane, e spesso per tutta una vita, e senza appunto esaurire mai tutto questo altro immenso repertorio. Appunto, è questa la sfida di Rutelli in questo nuovo libro: “Roma, camminando” (Laterza, collana I Robinson/Letture, 288 pp., 16,00 euro). “Allora partiamo da dove tutto è cominciato”, spiega. “Dal Tevere. E iniziamo a camminare”. A chi dice che non ha tempo o voglia, è “dedicata” la dedica: ad Alessandro Crescenzi, “tra gli ultimi italiani colpiti dal male tremendo della poliomielite, sconfitto per noialtri da un vaccino. Sottoponendosi a terapie costanti (e dolorose), e utilizzando in modo pionieristico e ostinato tecnologie avanzate, Sandro mi ha insegnato che fermarsi è sbagliato, e non esplorare incessantemente è idiota”. “Anche con una carrozzina elettronica”. 

  

Per turisti con un po’ di tempo, ma soprattutto per chi a Roma ci vive, e di certe ricchezze non se ne accorge quasi più. “Ecco che quegli stessi luoghi che percorriamo distrattamente ci mostreranno un volto diverso e nuovo. Ci accorgeremo delle infinite stratificazioni di questa città; dei millenni di cultura, potere e bellezza che si sono succeduti sovrapponendosi e mai elidendosi”. Da cui la polemica contro Mussolini. Per Rutelli il duce effettivamente fece per lo meno una cosa buona: Cinecittà, da cui parte il secondo itinerario consigliato, dopo il primo attorno al Tevere. Ma più in generale i suoi sventramenti sono una dimostrazione massima dell’“impoverimento irreversibile che deriva dallo scarnificare l’antico, eliminando le stratificazioni storiche non nocive”. 

  

Ma gli itinerari a tema proposti dal sindaco cicerone, che ogni tanto si mette anche a ricordare le cose fatte come sindaco, e a citare Cicerone, sono 18: “Ci permetteranno ogni volta di scoprire un aspetto diverso magari proprio là dove non saremmo mai andati”. “Così percorreremo la via Tuscolana per conoscere gli acquedotti che la attraversano e le scenografie romane negli Studi di Cinecittà, oppure risaliremo gli ultimi chilometri della via Francigena per ritrovare i panorami che per secoli i pellegrini ammiravano al termine del loro viaggio o, ancora, visiteremo i Fori per scoprire i luoghi della politica della Roma antica. Riusciremo perfino ad arrivare al mare sulle nostre gambe!”. L’itinerario “Il mare di Roma” è il penultimo, ed è consigliato in circostanze molto particolari. “Siamo in aeroporto. Abbiamo tre ore prima della coincidenza; oppure ci hanno cancellato un volo in arrivo. Meglio: arrivati, possiamo non precipitarci al primo impegno romano; ovvero, prima di ripartire dal centro città vogliamo dare un’occhiata a qualcosa da scoprire qui attorno”. Effettivamente, sembra essere il più lungo. “Lunghezza variabile, tempo di percorrenza variabile” è l’indicazione data, come a dire: ognuno fa quel che può.

   

“Attraversare Roma sarà una magnifica esperienza, perché nessuna come lei accoglie chi vuole conoscerla davvero”, promette Rutelli. Ma si rende conto che un turista è appunto cosa diversa da un maratoneta: cosa peraltro abbastanza chiara a qualunque residente si sia trovato a riprendere in serata un ospite che la mattina era partito “a vedere Roma”, e in serata è tornato allo stesso tempo entusiasta nello spirito e distrutto nel fisico. Il già citato itinerario numero 17, “Il Mare di Roma”, tra antichità, Medioevo, ’900 e oggi mette assieme aeroporto di Fiumicino, Museo delle navi romane, Lungomare di Fregene, Tor San Michele, edifici in stile razionalista sul lungomare di Ostia, Villa di Plinio, pineta di Castel Fusano, Borgo e castello di Ostia antica, parco archeologico di Ostia antica, necropoli di Porto all’Isola sacra, Portus e bacino esagonale di Traiano.

  

Oltre a questo itinerario, l’indicazione su distanza e tempo variabili li ha anche l’itinerario 14: “Passando dalla tomba di Nerone” (Insugherata-Veio). Un percorso che il circuito del grande turismo ignora del tutto, ma che presenta la grande sorpresa di un paradiso naturalistico nel territorio di una grande metropoli. “Sono stati individuati oltre 630 specie vegetali e numerosi endemismi (ovvero, specie proprie di questo territorio). Sughere e roverelle nei versanti più caldi; carpini, ornielli, farnie, aceri nei boschi misti; lecci nelle aree con affioramenti rocciosi; castagni e noccioli nelle aree inferiori dei diversi versanti; piante igrofile lungo i corsi d’acqua: salici, pioppi; e numerose felci. Se chiedete a un conoscente se immagini che a Roma città possa vivere la salamandrina dagli occhiali, vi guarderà male (pensando magari alla cattiva gestione dei gruppi di cinghiali che si affacciano nelle zone abitate). Ma la risposta è affermativa: questa specie esclusivamente italiana, nell’Insugherata, è in compagnia del riccio, della talpa, dell’istrice, del moscardino; di serpenti quali orbettino e biscia dal collare; di uccelli nidificanti come gheppio, fagiano, gufo, tortora, cuculo”. 

  

Le indicazioni “variabile” e “mezza giornata” sono date per compiere gli 8 chilometri dell’itinerario numero 7 “La Strada Regina, exitu”, da Porta San Sebastiano al parco dell’Appia antica; e i 6 dell’“itinerario verde” numero 11, dal Celio all’orto botanico. Quest’ultimo, occasione anche per ripercorrere la leggenda della papessa Giovanna. Ma mezza giornata ci vuole pure nell’itinerario 13: “Per il colle Oppio, verso i colossei”. Solo due chilometri, ma è ovvio che bisogna cogliere l’occasione per visitare la Domus Aurea e il Colosseo. Altre visite consigliate: agli studi di Cinecittà del già citato itinerario 2 “La grandezza degli acquedotti (e Cinecittà)”, 6 chilometri da Cinecittà a Porta Furba. Alle Terme di Caracalla, del già citato itinerario 7. Ai Musei Capitolini nell’itinerario numero 8: “Il chilometro zero” come denominazione e chilometro uno come distanza, ma densissima. Palazzo dei Conservatori-terrazza Caffarelli-Palazzo Senatorio-Tabularium-Palazzo Nuovo-statua equestre di Marco Aurelio-Cordonata capitolina-Aracoeli. Come il Pantheon anche il Campidoglio è copiatissimo nel mondo, a partire da quella Capitol Hill di Washington in cui i trumpiani tentarono il golpe. Sarebbe anche il percorso più breve come distanza, ma non il più rapido. Due ore e mezza sono infatti indicate per i 2 chilometri dell’itinerario numero 1 “Sul Tevere, alle origini del cammino di Roma”: Casa dei Crescenzi-Isola Tiberina. 

  

Ma gli spunti sono ovviamente infiniti. “Non posso che consigliarvi, non solo per devozione familiare, una visita alla fontana delle Najadi di piazza Esedra-della Repubblica, opera di mio bisnonno Mario Rutelli (inaugurata nel 1901, completata con il gruppo centrale nel 1911)”, ricorda ad esempio l’ex sindaco nell’itinerario 2, anche se in realtà non starebbe in zona. Il bisnonno torna anche nell’itinerario 12 “Le strade coi numeri”, 2 chilometri da via XX Settembre a Fontana di Trevi con un tempo di percorrenza da 3 ore compresa visita al Quirinale. Prima di arrivare a Palazzo Barberini, con il suo Museo nazionale di arte antica, “contando sulla cortesia dei custodi, sarebbe anche possibile vedere due statue di Mario Rutelli – fino a pochi anni fa sconosciute anche a me – negli spazi comuni di due palazzi di via delle Quattro Fontane”.

  

Non parente biologico ma padre ideologico fu poi per Rutelli Marco Pannella, anche se da un certo punto in poi i loro percorsi si divaricarono. Comunque nell’itinerario 5 “Tra le piazze”, 3 chilometri per 3 ore tra piazza Navona e San Pietro, si ricorda “la recente biografia politica e popolare di piazza Navona. Senza la quale non avrebbero avuto il loro impatto trasformativo le campagne per i diritti civili e per i diritti umani nel mondo”. “Le campagne per i diritti civili in Italia, a partire da quella per il divorzio, avevano anch’esse bisogno di un ‘teatro’. E non poté che essere piazza Navona, grazie alla determinazione di Marco Pannella”. Ultimo itinerario, “Iscrizioni dimenticate e cupole nel cielo”: 1,5 chilometri per 2 ore e mezza con visita al mausoleo di Augusto da Piazza Nicosia e Trinità dei Monti, che inizia un aneddoto sapido. “Conversazione a Montecitorio. Un deputato con pied-à-terre a via di Ripetta: ‘Il collega Mario Rossi [nome di fantasia] è talmente leccaculo verso il ministro Giovanni Verdi [nome di fantasia] che dobbiamo trovargli una casa a via Leccosa’”. Sia consentita la divagazione personale: l’autore di queste note il giornalista iniziò a farlo proprio in una redazione in via Leccosa, quindi queste battute le ha ben presenti.

  

Anche Rutelli ha aneddoti personali, visto che ricorda il suo ruolo per realizzare il nuovo Museo dell’Ara Pacis. Ma lì dà anche un consiglio, a Piazza Nicosia: “Di sera, rivolgete lo sguardo al terrazzo dell’edificio d’angolo tra le vie dei Somaschi e di Monte Brianzo: luminarie e singolari sculture en plein air fanno parte della casa di Anna e Roberto D’Agostino, ‘Dagospia’, centrale elettrizzante dei gossip e dell’informazione della capitale”. In effetti D’Agostino quando gli chiedono se è di destra o di sinistra risponde appunto citando quella dimora. “Di centro. Vivo nel centro storico…”.

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