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6 evasioni leggendarie

L’arte della fuga ha reso leggendari perfino ladri e assassini. Perché, in effetti, non basta la fortuna: ci vuole una certa dose di intelligenza e coraggio per evadere da prigioni (quasi) inespugnabili. Ma quali sono le evasioni più famose della storia del crimine – e non solo –  che spesso hanno ispirato il cinema con film ad alta tensione come Fuga da Alcatraz o La grande fuga? Ecco sei fuoriclasse della fuga che hanno fatto leggenda, nel bene e nel male.
Giacomo Casanova: la fuga dai Piombi. Oltre che nell’arte amatoria, Giacomo Casanova dimostrò di avere una certa abilità anche nell’arte della fuga: lo dimostrò scappando dal carcere dei Piombi, situato nel sottotetto del Palazzo Ducale di Venezia, dove fu gettato nel luglio 1755 con varie accuse, tra cui quella di blasfemia. Dopo un primo tentativo andato a male, si fece aiutare da un altro detenuto, il frate Marino Balbi, a cui fornì un ferro acuminato nascosto in una Bibbia. Nella notte d’Ognissanti del 1756, il religioso forò il soffitto della sua stanza, percorse il sottotetto e bucò poi il soffitto della cella di Giacomo. Usciti sul tetto, i due si calarono nel palazzo, ma, impossibilitati a sfondare il portone dall’interno, si affacciarono alla finestra facendosi aprire da un custode, spacciandosi per due magistrati. Dopodiché, si allontanarono in gondola. Nel 1788, Casanova racconterà la sua avventurosa evasione nel libro Storia della mia fuga dai Piombi.

Prigione di Alcatraz: il condotto di ventilazione rimosso nella cella della fuga del 1962 di Frank Morris e i fratelli John e Clarence Anglin. Il carcere statunitense costruito sull’isola di Alcatraz, al largo della costa di San Francisco, in California, fu operativo dall’11 agosto 1934 al 21 marzo 1963.
© Wikipedia

Henry Brown: pacco con sorpresa. Quando il padrone lo separò dalla moglie incinta e dai suoi tre figli, lo schiavo nero Henry Brown (1815-1897), originario della Virginia, decise che era arrivato il momento di guadagnarsi la libertà fuggendo verso Philadelphia, città in cui la schiavitù era stata abolita. Come? Facendosi letteralmente “spedire”. Ad aiutare Brown fu l’abolizionista Samuel Alexander Smith, che lo chiuse in una grande cassa recante la dicitura “prodotti secchi”. Partito da Richmond il 23 marzo 1849, il “pacco umano” giunse nella sede dell’Anti-Slavery Society di Philadelphia dopo 27 estenuanti ore di viaggio su treni, carri e navi. Ormai libero, nei mesi seguenti Henry Brown si diede al teatro mettendo in scena vari spettacoli per la causa abolizionista, ma venne costretto a scappare in Gran Bretagna dopo l’approvazione del Fugitive Slave Act (1850), legge che puniva gli schiavi fuggitivi. Fu libero di tornare in America solo nel 1875. Morì a Toronto, in Canada.

John Dillinger: come Robin Hood. Al momento dell’arresto, a Tucson (Arizona), nel gennaio 1934, il bandito John Dillinger (1903-1934) era considerato una celebrità in tutti gli Stati Uniti.

Noto per l’eleganza e le maniere da “gentiluomo”, nell’immaginario collettivo era una sorta di Robin Hood, vista l’abitudine, nel corso delle rapine in banca, di incendiare i registri contabili per cancellare i debiti delle persone in difficoltà economiche. Per evadere dal carcere di Crown Point (Indiana), dov’era rinchiuso da meno di due mesi in attesa di processo, John usò uno stratagemma banalissimo, ma efficace. Si procurò un pezzo di legno che modellò a forma di pistola e colorò poi con del lucido da scarpe. Con quest’arma minacciò i secondini e riuscì così a entrare in possesso di un vero mitragliatore. Fuggì quindi a bordo dell’auto del direttore del carcere. Pochi mesi dopo fu catturato e ucciso dall’Fbi.

Roger Bushell: via dal lager dei piloti. Costruito nel 1942 nell’attuale Polonia, il campo di prigionia Stalag Luft III ospitava migliaia di piloti degli Alleati ed era considerato dai nazisti a prova di evasione. Ma tale certezza fu infranta da un gruppo di prigionieri guidati dal pilota britannico di origini sudafricane. Il piano di fuga prevedeva la costruzione di tre grandi tunnel (nomi in codice Tom, Dick e Harry) estesi per quasi 100 metri fuori dal perimetro del campo. Alla fine, ne fu tuttavia completato solo uno (Harry), che consentì comunque a 76 prigionieri di evadere nella notte del 24 marzo 1944. Per i fuggitivi l’epilogo fu però tragico: braccati dalla Gestapo, 73 di loro (tra cui Bushell) furono scovati e giustiziati. La loro impresa ispirerà poi il celebre film La grande fuga (1963) con Steve McQueen.

Fuga da Alcatraz: un tunnel di cucchiaini. Aperto nel 1934 sull’omonima isola della baia di San Francisco, il carcere di massima sicurezza di Alcatraz chiuse dopo 29 anni guadagnandosi la fama di prigione durissima e inespugnabile. Eppure proprio inespugnabile non fu. L’11 giugno del 1962 Frank Morris e i fratelli John e Clarence Anglin realizzarono un’incredibile evasione, poi raccontata nel film Fuga da Alcatraz (1979). Dispersi? Per circa un anno, i detenuti scavarono con dei cucchiaini un tunnel per collegare le celle al condotto di aerazione, che terminava fuori dall’edificio. Durante i lavori tenevano occultato il buco nella cella con cartoni dipinti mentre, la notte della fuga, per ingannare le guardie e guadagnare tempo, sistemarono dei manichini sotto le coperte nei loro letti. Una volta fuori, costruirono una zattera con i propri indumenti e del mastice, e presero il mare. Quello che accadde dopo non si è mai saputo con esattezza.

Molti pensano che la rudimentale imbarcazione non abbia permesso loro di raggiungere la riva a causa delle fortissime correnti, e che gli evasi siano morti annegati.

Una scena di La grande fuga (1963) che racconta l’evasione dallo Stalag Luft III a Sagan (Polonia) che ospitava migliaia di piloti degli Alleati.
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Billy Hayes: fuga di mezzanotte. Nel 1970, il ventitreenne americano Billy Hayes fu arrestato in Turchia per possesso di hashish. Condannato a quattro anni di reclusione, poi diventati 30, il giovane fu mandato in due diversi penitenziari, giungendo infine nel 1975 nella prigione di Imrali, su un’ isoletta nel Sud del Mar di Marmara. Qui poteva godere di relativa libertà di movimento, tanto che un giorno riuscì a eludere la sorveglianza, si allontanò dall’edificio e raggiunse l’area portuale. “In una notte tempestosa, quando le barche da pesca si spostavano vicino alla riva, nuotai fino a raggiungere una di esse e cominciai a remare”, racconterà più tardi Hayes, che dopo nove estenuanti ore di traversata, toccò terra vicino al villaggio di Bandirma. Per confondersi con la popolazione si scurì i capelli e, così camuffato, riparò prima in Grecia e poi negli Usa. La sua vicenda, raccontata da Hayes stesso in un libro, ha ispirato il film Fuga di mezzanotte (1978), che però suscitò diverse polemiche per la scarsa fedeltà all’autobiografia di Hayes riguardo alla rappresentazione delle condizioni carcerarie turche, dipinte in tinte più fosche di quanto fossero in realtà.

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