Il console ucraino non vuole il “Boris” alla scala. Ma ha torto
Premesso che fra l’aggressore e l’aggredito si parteggia per l’aggredito, che gli ucraini fanno benissimo a difendersi e che sanno benissimo farlo, la lettera con la quale il loro console a Milano, Andrii Kartysh, chiede alla Scala di soprassedere al Boris Godunov di Sant’Ambroeus appare proprio la classica pipì fatta fuori dal vasino. Non in nome del sovranismo operistico già rivendicato da alcuni commentatori, per cui la programmazione della Scala la sceglie la Scala (spesso sbagliandola, per la verità), non ci facciamo imporre il repertorio dallo straniero e così via. E nemmeno perché cambiare opera tre settimane prima della “prima” è pura fantascienza: nessuno pretende che i diplomatici sappiano come funziona un teatro, ma almeno potrebbero farsi spiegare che i titoli si scelgono anni prima di mandarli in scena. Quindi che il ’22-’23 scaligero sarebbe iniziato con un’opera russa in russo era deciso molto prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
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