Andy Warhol, ‘White Disaster’ venduto all’asta per 85,4 mln di dollari

Il monumentale quadro ‘White Disaster (White Car Crash 19 Times)’ di Andy Warhol (1928-1987), raffigurante un incidente stradale in bianco e nero della famosa serie ‘Death and Disasters’, è stato venduto per 85,4 milioni di dollari (82,2 milioni di euro) mercoledì sera 16 novembre all’asta da Sotheby’s a New York. Il risultato ne fa una delle opere più costose del maestro della Pop Art mai vendute all’asta.

L’opera ha superato ‘Triple Elvis (Ferus Type)’ (1963) venduto per 81,9 milioni di dollari nel 2014 da Christie’s, classificato al terzo posto delle opere di Warhol più costose. Il record per un dipinto della serie ‘Car Crash’ risale al 2013, quando ‘Silver Car Crash (Double Disaster)’ è stato acquistato per 105,4 milioni di dollari, stabilendo allora il record per un lavoro di Warhol. Quel record è stato infranto quest’anno quando il 9 maggio scorso il ritratto di Marilyn Monroe dal titolo ‘Shot sage blue Marilyn’ (1964) è stato venduto da Christie’s a New York per 195 milioni di dollari.

Due offerenti al telefono con Gregoire Billaut, responsabile della casa d’arte contemporanea a New York, e David Schrader, responsabile delle vendite private, si sono contesi l’enorme dipinto serigrafato. Le offerte, durate meno di due minuti, si sono aperte a 66 milioni di dollari e sono rapidamente salite a 70 milioni, prima di arrivare al martello finale di 74 milioni di dollari, che con le tasse incluse ha portato il prezzo finale a 85,4 milioni. Lo staff di Sotheby’s ha applaudito dopo l’aggiudicazione.

‘White Disaster (White Car Crash 19 Times)’ del 1963 fa parte dei grandi quadri dei primi anni ’60 con immagini di incidenti automobilistici, rivolte e suicidi che erano apparse in precedenza sui media. Warhol era anche profondamente preoccupato dalla prospettiva e dall’idea della morte. Quest’opera incarna appieno questa oscura zavorra nella sua forma più drammatica e di grande impatto: ‘White Disaster (White Car Crash 19 Times)’ misura 3,6 metri di altezza e presenta 19 immagini in bianco e nero di un incidente stradale mortale. L’ultima volta che era stato venduto all’asta era il 1987, quando venne pagata 660.000 dollari.

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Andy Warhol per gli animali in pericolo

Quando pensiamo ad Andy Warhol ci vengono subito in mente i suoi ritratti in serie di Marilyn Monroe, la sua zuppa Campbell o il detersivo Brillo: tutte icone dei consumi di massa, persone che diventano merci o merci che diventano feticci.

Ma c’è un lato meno noto del famoso artista pop statunitense e cioè il suo impegno per le specie animali in via d’estinzione.
Tutto ha inizio nel 1983, da una discussione tra l’artista e il gallerista Ronald Feldman sul problema dell’erosione delle coste, un argomento che Warhol conosceva bene essendo proprietario di un’ampia spiaggia a Long Island di circa 60.000 mq.

Dopo quello scambio di idee il gallerista decise di commissionare a Warhol un portfolio di dieci opere dedicate ad altrettanti animali in pericolo per via della distruzione dell’habitat, dell’abbattimento per scopi commerciali o sportivi o per altre cause artificiali o naturali.

Le serigrafie, dal formato quadrato di circa 96 cm di lato, raffigurano gli animali nel classico linguaggio pop, fatto di campiture squillanti sfalsate rispetto alla stampa dell’animale in bianco e nero e linee di contorno in tinte contrastanti.
Brownie Harris, Andy Warhol nella Factory, NYC
Il primo animale che ha realizzato è stato l’Elefante africano, il più grande animale terrestre ma anche uno di quelli a maggiore rischio di estinzione per via del bracconaggio e del commercio illegale dell’avorio. Il caso ha voluto che quest’opera sia stata realizzata in corrispondenza del decimo anniversario dell’Endangered Species Act, una legge federale dedicata proprio al finanziamento di progetti per la conservazione delle specie in pericolo.

Il secondo animale è la Raganella Pine Barrens (Dryophytes andersonii), una rana arborea presente solo nel sud-est degli Stati Uniti la cui esistenza è minacciata dalla progressiva perdita dell’habitat specifico di questo animale.

La terza opera raffigura il Panda gigante, una specie originaria della Cina centrale che è diventata simbolo degli animali in via di estinzione fin dalla metà del Novecento. Per fortuna, grazie ai grandi sforzi per tutelare il plantigrado, oggi il rischio è diminuito e il panda è classificato semplicemente come “vulnerabile“.Nella versione definitiva, dopo innumerevoli prove di colore, Warhol ha scelto di privilegiare il rosso, in modo da creare un evidente rimando alla bandiera della Repubblica Popolare Cinese.

Il quarto animale è l’Aquila di mare testabianca (o aquila calva), l’uccello nazionale degli Stati Uniti, presente nell’iconografia governativa e nell’immaginario patriottico. Ma proprio per questo motivo è stato cacciato a lungo per farne un trofeo arrivando nel 1920 sull’orlo dell’estinzione. Oggi ne esistono 150.000 esemplari e non è più nella lista degli animali in pericolo.
In questo caso Warhol si concentra sulla testa vista di profilo, come nel sigillo ufficiale degli Stati Uniti e non ne altera più di tanto i colori originali.

Il quinto animale è la Tigre siberiana, un felino presente in parte della Russia e della Cina nord-orientale. L’animale è tutt’ora in forte pericolo di estinzione essendo presente in poche centinaia di esemplari. Le cause della sua progressiva scomparsa vanno ricercate nell’alterazione del suo habitat ma anche nella caccia di frodo e nella diminuzione delle prede.Per questo soggetto Warhol ha scelto di evidenziare molto i contorni e il disegno della pelliccia colorando gli occhi di un azzurro profondo che contrasta con il suo complementare arancione.

Il sesto animale del portfolio è la Farfalla San Francisco Silverspot (Speyeria callippe callippe), un insetto che è stato inserito tra le specie in pericolo dal governo federale solo nel 1997, nonostante fosse una sottospecie molto rara presente solo nel territorio attorno San Francisco.La stampa della farfalla, una vera esplosione di colore, a metà tra un sogno psichedelico e una vetrata medievale, è considerata una delle opere più riuscite della raccolta.

La settima serigrafia raffigura l’Orangutan, un animale straordinariamente intelligente ma anche in grave pericolo di estinzione. È l’unico grande primate presente fuori dall’Africa. Ne esistono tre specie che vivono nelle foreste del Borneo e di Sumatra. Complessivamente ne rimangono 70.000 esemplari.Warhol ha scelto un primo piano del volto, il cui sguardo spiritato riesce a quasi a ipnotizzare l’osservatore.

L’ottavo animale del portfolio è la Zebra di Grévy (o zebra imperiale), un animale simbolo dell’Africa, assieme al rinoceronte e all’elefante. Questa zebra è tipica del Kenya e dell’Etiopia e prende il nome dal presidente francese Jules Grévy a cui venne dedicata negli anni ’80 dell’Ottocento dal governo dell’Abissinia.
Rispetto alle altre specie di zebra, che ricordano i cavalli, questa ha le proporzioni simili a quelle del mulo ma è anche la più grande di dimensioni. Dagli anni ’70 è in pericolo di estinzione per via della caccia: il suo mantello infatti viene venduto a prezzi altissimi.La versione di Warhol ha colori sgargianti e fitte striature che sembrano trasformare la testa in una composizione astratta.

La nona opera è dedicata al Rinoceronte nero, un animale di cui tre sottospecie si sono già estinte. Storicamente i rinoceronti erano diffusi in tutta l’Africa subsahariana, ma oggi il loro numero si è drasticamente ridotto a causa del bracconaggio e dei cambiamenti dell’habitat legati alle tante guerre civili. Per esprimere questo dramma Warhol sceglie l’immagine di un rinoceronte crollato per terra, sconfitto, quasi impossibilitato a rialzare la sua grossa mole.

La scelta dei colori in questo caso è lontanissima da quelli dell’animale e della savana, ma non sono tinte casuali: per ogni specie Warhol ha provato decine di combinazioni prima di arrivare a quella finale. Ecco altre versioni del rinoceronte nero.

Il decimo e ultimo animale è la pecora delle Montagne Rocciose, nota anche come Bighorn per via delle grosse corna ricurve. Si tratta di un ovino selvatico nordamericano che fa parte della mitologia dei popoli nativi. Ma nel 1900 la popolazione scese a poche migliaia di esemplari, rischiando l’estinzione (la sottospecie Bighorn di Audubon, endemico del Dakota, si è estinta nel 1925). Oggi non è più in pericolo grazie al pluridecennale impegno dei Boy Scout dell’Arizona.

In verità Warhol aveva sempre amato gli animali fin dai tempi della scuola, quando ne disegnava a decine durante l’ora di scienze e una delle sue prime carte da parati, del 1967, era dedicata alla mucca.

Ma questa volta era diverso: gli animali non erano visti come semplici soggetti dalle forme interessanti, ma come fragili esseri viventi, da proteggere facendone conoscere attraverso l’arte la drammatica condizione di pericolo. “Penso che avere la terra e non rovinarla sia l’arte più bella che chiunque possa mai voler possedere“, disse l’artista a questo proposito.
Coerentemente con questa visione, nel 1992, cinque anni dopo la morte dell’artista, la spiaggia di Warhol è stata donata dall’omonima Fondazione a The Nature Conservancy, un’organizzazione ambientalista no profit, ed è diventata una riserva protetta in cui è possibile creare opere d’arte e studiare da vicino l’ambiente costiero oceanico.
Dagli animali più piccoli come rane e insetti, fino ai giganti del pianeta, Warhol ci ha lasciato un segno tangibile di arte impegnata ma mai retorica. Una lezione di cui oggi c’è un gran bisogno.
***
P.S. Per questo articolo ho consultato il sito della Revolver Gallery

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