Balzac aveva capito quant’è difficile dare forma e sostanza all’indicibile
Nel racconto ritradotto e ripubblicato da Elliot è centrale il rapporto tra realtà e rappresentazione, in una Parigi seicentesca dove si muovono un pittore e il suo maestro. “La bellezza è qualcosa di severo e difficile che non si lascia conquistare senza sforzi”
Inventarsi il lupo. Ecco cos’è la letteratura secondo Vladimir Nabokov, che nelle Lezioni ne faceva risalire la nascita non tanto al ragazzino neanderthaliano che, inseguito dal tremendo latrante, grida – appunto – “Al lupo! Al lupo!”, ma al medesimo ragazzino che, nonostante non ci siano né lupo né inseguimento, grida lo stesso (ère fortunate, oggi il medesimo genererebbe solo una rissa tra pedago-star in seconda serata). Certo, il fatto è inaggirabile: il rapporto tra realtà e rappresentazione – centrale ne Il capolavoro sconosciuto di Honoré de Balzac, ritradotto e ripubblicato in questi giorni dall’editore Elliot (100 pp., 10 euro) – è oggetto di studio e di elaborazioni filosofiche da quando esiste l’umanità: non si è dato lupo senza domandarsi da dove venisse e dove andasse; e se l’invenzione del lupo inventi davvero il lupo o no; se inventarsi lupi sia un atto di opposizione alla realtà o di mera frapposizione, o chissà cos’altro; e se aiuti a vedere meglio oppure, al contrario, sparga ulteriore fumo sull’arrosto.
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