Cosa succede quando gli editori sono costretti a brandizzarsi per non sparire
Da quando la letteratura ha perso il suo prestigio moderno, per non sparire dalla scena editori e autori devono brandizzarsi in modo sempre più spregiudicato, ovvero sostituire allo stile la stilizzazione. Il processo appare plateale nell’unico genere ancora in grado di affacciarsi agli spazi mediatici influenti: quello che si presenta come romanzo più o meno ibridato (col memoir, il saggio, la biografia…). Poco importa se il marchio scelto è minimalista o barocco, intimista o civile, lirico o splatter: ciò che conta è sottolineare caricaturalmente i contorni del prodotto, e assicurargli la vetrina rendendolo immediatamente percepibile come oggetto letterario, anche se proprio questo make-up lo trasforma al contrario in un mero surrogato. La stilizzazione perversa comincia dalla grafica, dalle immagini di copertina e dai titoli dei “romanzi”, che nove volte su dieci hanno un carattere finto-nobile, e in verità stereotipo, di cui gli editor e i gestori di scuole di scrittura, pur esibendo una mutria da severi personal trainer, non sembrano accorgersi. Ma non mostrando orecchio per stonature così evidenti, ci si chiede, potranno mai averlo per le sfumature del testo?
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