La nana bruna con le aurore misteriose

Un gruppo di astronomi, attraverso le osservazioni del telescopio spaziale James Webb della NASA, ha scoperto una nana bruna (W1935, un oggetto più massiccio di Giove, ma più piccolo di una stella, dove non si verificano reazioni nucleari all’interno) che produce una emissione (rilevata all’infrarosso, di metano).

Che c’è di strano? È una scoperta abbastanza inaspettata perché si tratta di una nana bruna fredda, che non ruota attorno ad una stella ospite: pertanto non c’è una fonte “evidente” di energia per la sua atmosfera superiore, condizione che dovrebbe essere necessaria per giustificare l’emissione del metano. Gli astronomi pensano che ciò possa essere dovuto a processi che generano aurore.

Questi risultati sono stati presentati al 243esimo incontro dell’American Astronomical Society a New Orleans. Per meglio capire il mistero dell’emissione nell’infrarosso del metano, il gruppo di lavoro ha preso in considerazione il nostro sistema solare. Dove l’emissione di metano, infatti, non è un fatto così raro nei giganti gassosi come Giove e Saturno: in questi pianeti si ha la certezza che il riscaldamento dell’atmosfera superiore, che alimenta questa emissione, è legato alle aurore. Sulla Terra, le aurore polari si formano quando particelle energetiche “soffiate” nello spazio dal Sole vengono catturate dal campo magnetico terrestre.

Anche da “noi”. Cadendo nella nostra atmosfera lungo le linee del campo magnetico vicino ai poli della Terra, queste si scontrano con le molecole di gas, creando i meravigliosi drappi di luce danzanti. Giove e Saturno hanno processi aurorali simili che implicano l’interazione con il vento solare, ma ricevono anche contributi aurorali di particelle dalle loro lune attive vicine come Io (per Giove) ed Encelado (per Saturno).

Per le nane brune isolate, come è W1935, non esiste un vento stellare che possa contribuire al processo aurorale e spiegare la presenza nell’alta atmosfera dell’energia extra necessaria per l’emissione di metano, è questo crea un mezzo mistero. Al momento gli astronomi ipotizzano che processi interni non ancora individuati o interazioni esterne con il plasma interstellare o ancora, con una luna attiva vicina, possano aiutare a spiegare l’emissione. 

Come è avvenuta la scoperta. La scoperta delle aurore si è svolta come un romanzo poliziesco. Un team guidato da Jackie Faherty, un astronomo dell’American Museum of Natural History di New York, ha ottenuto la facoltà di utilizzare il telescopio Webb per indagare su 12 nane brune fredde. Tra questi c’erano W1935 e W2220 che, secondo i dati del telescopio James Webb, sembravano quasi essere uno il clone dell’altro dal punto di vista della composizione.

E coincidevano anche i dati relativi a luminosità, temperature e caratteristiche spettrali (vedi grafico sopra).

Unica eccezione, sorprendente, era che W1935 mostrava emissioni di metano, un fenomeno non registrato su W2220. Ciò è stato osservato a una distinta lunghezza d’onda dell’infrarosso alla quale Webb è particolarmente sensibile. «Ci aspettavamo di vedere metano perché tale elemento è presente ovunque su queste nane brune. Ma invece di assorbire la luce, abbiamo visto esattamente l’opposto: il metano brillava. Il mio primo pensiero è stato: che diamine? Perché l’emissione di metano esce da questo oggetto?», ha spiegato Faherty.

W1935 è il primo candidato aurorale al di fuori del sistema solare con la firma dell’emissione di metano. È anche il candidato aurorale più freddo al di fuori del nostro sistema solare, con una temperatura effettiva di circa 200 gradi Celsius.

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Alcuni pianeti saranno inghiottiti dal Sole?

Il telescopio spaziale James Webb della NASA ci ha offerto una visione in anteprima sul futuro del nostro sistema solare. In estrema sintesi, secondo gli astronomi che hanno utilizzato dati raccolti dal JWST, fra 5 miliardi di anni, quando il Sole, dopo essere diventato una stella “gigante rossa” (grande 100 volte più di adesso), si starà trasformando una “nana bianca” delle dimensioni della Terra, allora “inghiottirà” il pianeta Mercurio, molto probabilmente Venere e forse anche la Terra stessa. 
Dal cannibalismo si salveranno certamente i pianeti più esterni, a partire da Giove, ma questi potrebbero essere allontanati rispetto alla posizione attuale o addirittura espulsi dal Sistema Solare. 

A queste conclusioni gli astronomi sono giunti, si diceva, utilizzando il telescopio spaziale James Webb della NASA, che ha  “fotografato” per la prima volta pianeti su orbite, simili a quelle dei pianeti del nostro Sistema solare, attorno a stelle “nane bianche”. In particolare i pianeti esaminati seguono orbite simili a quelle dei pianeti giganti del Sistema solare esterno, grandi abbastanza da riuscire sfuggire all’inferno di quando la stella era una gigante rossa.
Che c’è di interessante. Le nane bianche sono stelle interessanti per cercare i pianeti extrasolari perché brillano solo con l’uno per cento della luminosità del Sole. Ciò rende più semplice per i telescopi bloccare la luce della stella per rivelare il debole bagliore dei pianeti circostanti. Susan Mullally, astronoma dello Space Telescope Science Institute, e i suoi colleghi hanno utilizzato JWST per studiare quattro nane bianche vicine entro 75 anni luce dalla Terra. Intorno a due nane bianche, il gruppo di astronomi ha individuato oggetti che sembrano essere pianeti. 

Uno possiede 1,3 volte la massa di Giove e segue un’orbita simile a quella di Saturno attorno alla sua stella. L’altro ha 2,5 volte la massa di Giove e un’orbita leggermente più grande di quella di Nettuno. Spiega Mullally: «Questa è la prima vera indicazione che pianeti come Giove e Saturno possono sopravvivere all’evoluzione del loro Sole mentre questo si trasforma in una nana bianca». Mullally e i suoi colleghi hanno pubblicato l’articolo sul server di arXiv (una piattaforma che raccoglie bozze finali di articoli pronti per la stampa su riviste scientifiche) che è stato accettato per la pubblicazione su The Astrophysical Journal Letters.
Una novità. Prima di questo studio si avevano solo indizi di pianeti sopravvissuti attorno a nane bianche debolmente luminose.

 Ciò succede soprattutto quando tali stelle vengono oscurate periodicamente perché eclissate dai pianeti in orbita attorno ad esse. Nel 2011 il telescopio spaziale Spitzer della NASA aveva individuato direttamente un potenziale pianeta in orbita attorno a una nana bianca con un’orbita enorme, 2.500 volte la distanza Terra-Sole e ciò aveva lasciato gli astornomi un po’ perplessi. Pianeti più vicini, con orbite più simili a quelle di Giove e Saturno, non erano stati rilevati fino alle osservazione del telescopio Webb.

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Quanto è grande il telescopio più grande del mondo

La prima scienza di Euclid: 5 foto mozzafiato

Euclid, il telescopio spaziale dell’ESA, inaugura la sua missione scientifica con cinque vedute senza precedenti dell’Universo, parte della sua campagna di osservazioni preliminari. Le immagini accompagnano i primi dati scientifici della missione, resi pubblici oggi e dettagliati in 10 articoli scientifici di prossima pubblicazione. Questo malloppo di informazioni scientifiche arriva a meno di un anno dal lancio del telescopio e sei mesi dopo le sue prime immagini a colori del cosmo.

Che cos’è Euclid. Euclid è un telescopio spaziale costruito e gestito dall’Agenzia Spaziale Europea con il contributo della NASA. È stato pensato per studiare l’espansione dell’universo, la materia oscura e l’energia oscura, tra i temi di maggiore interesse dell’astrofisica moderna. È partito il 1 luglio 2023 a bordo del Falcon 9 di SpaceX che lo ha messo in orbita a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Nella sua vita operativa di sei anni mapperà circa 15.000 gradi quadrati di cielo extragalattico, pari al 36% di tutta la volta celeste, osservando 12 miliardi di galassie.

L’ammasso di galassie Abell 2390, a 2,7 miliardi di anni luce. La foto comprende circa 50.000 galassie, molte delle quali di dimensioni analoghe alla Via Lattea. Ammassi galattici come questo contengono una quantità esorbitante di massa, fino a 10 trilioni di volte quella del Sole, in buona parte sotto forma di materia oscura. Ecco perché sono candidati ideali per gli studi di Euclid.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Chi ben comincia… Le nuove immagini ottenute da Euclid e prodotte in appena 24 ore di osservazioni sono almeno quattro volte più nitide di quelle catturate da telescopi terrestri. Comprendono grandi porzioni di cielo che scrutano nella luce visibile e in quella infrarossa, a profondità straordinarie.
In un singolo giorno, il telescopio spaziale ha prodotto un catalogo che comprende 11 milioni di oggetti nella luce visibile e 5 milioni in quella infrarossa. Queste prime osservazioni hanno preso di mira 17 oggetti astronomici, dalle vicine nubi di gas e polveri agli ammassi distanti di galassie, in preparazione alla principale campagna di osservazioni del telescopio.

Un’abilità speciale. «La bellezza di Euclid è che copre vaste regioni del cielo con grande dettaglio e profondità, e può catturare un’ampia gamma di oggetti diversi tutti nella stessa immagine – da quelli deboli a quelli luminosi, da lontani a vicini, dai più massicci ammassi di galassie ai piccoli pianeti. Otteniamo una visione molto dettagliata e molto ampia allo stesso tempo. Questa straordinaria versatilità ha portato a numerosi nuovi risultati scientifici che, se combinati con i risultati delle indagini di Euclid nei prossimi anni, modificheranno in modo significativo la nostra comprensione dell’Universo» spiega Carole Mundell, direttore scientifico di ESA.

Il gruppo di galassie Dorado è uno dei più ricchi dell’emisfero meridionale. Euclid cattura in questa veduta le loro interazioni in corso, che lasciano come strascichi meravigliose code di marea (espulsioni di gas: tra le regioni più fertili dell’universo per la nascita di nuove stelle). Capire come le galassie evolvono e si scontrano nel tempo migliora i modelli sulla storia dell’Universo.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Un assaggio delle sue capacità. Le nuove immagini provano che il telescopio Euclid è capace di trovare pianeti che orbitano liberi da stelle in vaste regioni di formazione stellare; che riesce a mappare diverse popolazioni stellari per capire come le galassie sono cambiate nel tempo; che può individuare specifici ammassi di stelle in lontani ammassi di galassie; riconoscere nuove galassie nane mai identificate finora; seguire la luce di stelle strappate dalle loro galassie madri.

«Le immagini e i risultati scientifici associati sono straordinariamente diversi in termini di oggetti e distanze osservate. Includono una varietà di applicazioni scientifiche e allo stesso tempo rappresentano appena 24 ore di osservazioni. Forniscono solo un’idea di ciò che Euclid può fare. Non vediamo l’ora di avere i prossimi sei anni di dati!» dice Valeria Pettorino, astrofisica e Project Scientist del progetto Euclid.

L’ammasso di galassie Abell 2764, a 3,5 miliardi di anni luce, è una regione di spazio molto densa contenente centinaia di galassie orbitanti all’interno di un alone di materia oscura. Euclid ha catturato una vasta gamma di oggetti in questo angolo di cielo, come diverse galassie in background dalla luce molto tenue oltre a una stella molto luminosa vicina all’ammasso, Beta Phoenicis. La dimostrazione di come il telescopio riesca a “tenere insieme” oggetti di luminosità molto diverse in una stessa veduta, senza lasciarsi accecare dalle fonti più abbaglianti.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Cacciatore di materia ed energia oscure. Possiamo pensare ad Euclid come a un “detective dell’Universo oscuro” con una missione, se non impossibile, almeno assai ardua: indagare in che modo materia ed energia oscura abbiano agito per creare gli ammassi di galassie che noi vediamo. Sappiamo infatti che il 95% dell’Universo è fatto di queste misteriose entità la cui presenza, però, modifica in maniera molto sottile l’aspetto e il moto degli oggetti celesti, ed è pertanto di difficile comprensione.

Come spiegato su Asimmetrie, la rivista dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, «mentre la materia, oscura o visibile che sia, tende attraverso l’attrazione del campo gravitazionale a favorire la formazione delle galassie e la loro concentrazione in ammassi, l’energia oscura si opporrebbe a questa spinta, limitando la formazione di strutture cosmiche su larga scala. A seconda di quale di queste due “forze” domina, si ha una decelerazione o un’accelerazione nell’espansione dell’universo. Questo gioco di forze ha lasciato traccia di sé nella storia dell’universo: una traccia leggibile attraverso l’osservazione di come è distribuita la materia a diverse distanze da noi».

Qui Euclid ha osservato NGC 6744, una delle più grandi galassie a spirali oltre il nostro vicinato spaziale, a 30 milioni di anni luce. Questo è proprio il tipo di galassia che forma la maggior parte delle stelle nell’Universo vicino, e il telescopio è riuscito a catturare alcuni suoi magnifici dettagli, come le strisce di polvere simili a piume che emergono come “speroni” dai bracci della spirale. Le osservazioni consentiranno non solo di contare le singole stelle all’interno di NGC 6744, ma anche di tracciare la più ampia distribuzione di stelle e polvere nella galassia.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Lenti e onde. Per rivelare come materia ed energia oscura influiscono sull’Universo visibile, nei prossimi sei anni Euclid osserverà forme, distanze e moto di miliardi di galassie negli ultimi 10 miliardi di anni luce. E arriverà a creare la più grande mappa 3D del cosmo mai realizzata.

Lo farà sfruttando il fenomeno delle lenti gravitazionali: oggetti celesti che, per la massa elevatissima, esercitano una forza di gravità tale da deviare la luce che passa loro accanto, e che sono utilissimi per studiare la distribuzione di materia e gravità nell’Universo.

Come spiegato su Media INAF, Euclid ci permetterà di scoprire un enorme numero di lenti gravitazionali, più di centomila, aumentando di oltre cento volte il numero di lenti attualmente conosciute. Il telescopio analizzerà anche le oscillazioni acustiche della materia barionica, periodici raggruppamenti di materia che hanno avuto origine quando le onde di pressione acustica attraversarono l’Universo primordiale e che hanno lasciato un segno nel fondo cosmico a microonde, fondamentali per lo studio dell’evoluzione cosmica.

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