Le scimmie si fanno i dispetti per stabilire i confini sociali

Una piccola botta con la mano, una tirata di capelli, un colpo con la corda (senza far male). A ripetizione, alla mamma o al papà, o ad altri membri del gruppo. Per il puro gusto di dar fastidio, di disturbare, di intromettersi, per gioco. Le scimmie, a osservarle da vicino, sono delle vere e proprie burlone, proprio come noi (quando vogliamo e quando il caso lo permette). Bonobo, scimpanzé, gorilla e oranghi mostrano infatti comportamenti assimilabili ai nostri dispetti.

A raccontare tutto questo, sulle pagine dei Proceedings of the Royal Society B è un team di ricercatori sparsi tra la Germania e la California. Qui, negli zoo di Lipsia e San Diego, hanno fimato e studiato i comportamenti di alcuni gruppi di bonobo, orango, gorilla e scimpanzé, ponendo l’attenzione sui loro comportamenti sociali e in particolare su quello che gli autori chiamano playful teasing, una sorta di presa in giro, di

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Scomparso l’etologo Frans de Waal

Ha sfidato il principio di unicità dell’uomo, considerando gli animali “più umani”. E noi “più animali”. Ha dimostrato che empatia, altruismo, cooperazione, senso di giustizia e persino le alleanze per il potere le abbiamo in una certa misura ereditate dalle grandi scimmie. Ci ha lasciato il suo immenso contributo, al confine fra etologia e filosofia: il primatologo Frans de Waal se ne è andato nella notte del 15 marzo ad Atlanta, a 75 anni. Nella città americana dirigeva il Living Link Center al Yerkes Primate Center, istituto di ricerca avanzata che si propone di studiare l’evoluzione umana indagando sulle nostre strette somiglianze genetiche, cognitive e comportamentali con le grandi scimmie.

Visionario. Ho conosciuto de Waal a Nairobi nel 1982 quando in un congresso internazionale di primatologia era venuto a presentare la sua ricerca sulla “politica negli scimpanzé”. Era un giovane ricercatore olandese che aveva avuto modo di studiare una comunità di scimpanzé, messa in semilibertà su un’isola artificiale dello zoo di Arnhem (Paesi Bassi). Quell’uso del termine “politica” poteva sembrare esagerato. Ma perché lo utilizzava e che cosa aveva scoperto?

Politica fra gli scimpanzé. In sostanza, fra gli scimpanzé per diventare il maschio alfa e mantenere la posizione dominante, non occorreva essere grandi e grossi, ma era necessario tessere una rete di alleanza con altri maschi. Cementare i legami attraverso il grooming (pulizia reciproca del pelo), la divisione del cibo, condividere la simpatia verso le stesse femmine e aiutarsi reciprocamente in caso di conflitti con altri. Sta di fatto che fra gli scimpanzé di Arnhem ci fu persino un caso di “assassinio politico”, proprio così lo aveva definito de Waal. L’alleanza fra quattro maschi, aveva portato alla congiura: assalirono il vecchio leader per dare il comando a un altro. E provocarono la sua morte per le ferite riportate nella lotta.

Pacifismo naturale. La seconda volta che lo intervistai fu in occasione del suo libro Far la pace fra le scimmie (Rizzoli 1991). Il primatologo si era trasferito alla Zoo di San Diego per seguire, oltre agli scimpanzé (Pan troglodytes) i bonobo (Pan pamiscus). Il tema era divulgare il fatto che in realtà in queste due specie di scimmie antropomorfe si spende molto più tempo a costruire relazioni pacifiche e a mantenere la pace che a competere e ad aggredirsi.

Contributo femminile. In questo erano di aiuto, fra gli scimpanzé, soprattutto le femmine che facevano da cuscinetto.

Dividevano o distraevano i contendenti, mentre tutta la comunità disapprovava la violenza con urli e gesti di paura e repulsione. E dopo una litigata si cercava spesso la rappacificazione.

De Waal si rese conto dell’esistenza dell’empatia negli scimpanzé (il mettersi nei panni degli altri, per sentire dentro di sé la loro gioia o la loro sofferenza) quando vide diverse volte un individuo che aveva subito un torto o un’aggressione essere avvicinato da un proprio simile che lo consolava con abbracci o sedute di grooming. Lo studioso realizzò che si trattava di mettere da allora in poi in luce gli sforzi che gli scimpanzé fanno per la pace e il loro senso di compassione invece di proseguire un certo trend anglosassone che si focalizzava sulla competizione. Tanto più che le altre scimmie antropomorfe studiate da de Waal, i bonobo, risultavano del tutto pacifiche.

Sesso e matriarcato. Se negli scimpanzé il gruppo dei maschi era dominante, in quello dei bonobo vigeva una sorta di matriarcato. Erano al potere le femmine, non con la violenza verso i maschi. Ma con il sesso. De Waal fu il primo (assieme al giapponese Nishida Kuroda che le osservò in libertà nella foresta del Congo) a divulgare che le femmine bonobo, come le umane, facevano sesso tutto l’anno, indipendentemente dallo stato di calore o di estro. E lo facevano spesso frontalmente, come fra uomini e donne. Il sesso aveva un significato sociale staccato dalla riproduzione, poiché serviva a mantenere i maschi calmi e collaborativi, che per essere accettati dovevano anche donare o dividere cibo.

Sesso “alla bonobo”. Con rapporti promiscui non c’è paternità sicura ed esclusiva. Così, a differenza dei gorilla (dove dove vige l’harem e un solo maschio capo branco riproduttore) tutti i maschi bonobo devono sentirsi un po’ padri dei cuccioli del gruppo e ben disposti verso di loro. Il meccanismo “sesso in cambio di cibo” diventa un aiuto importante per le femmine con piccoli. Da qui è nata la teoria che alle origini dell’uomo siano state le femmine il primo embrione di socialità. E che queste portarono i maschi a collaborare nella crescita dei cuccioli facendo sesso alla bonobo.

Vicini all’uomo. Mentre si chiariva che i bonobo sono ancora più vicini geneticamente all’uomo degli scimpanzé, de Waal insisteva molto sull’idea che scimpanzé e bonobo possono essere presi a modello per ricostruire il comportamento dei nostri progenitori

Le grandi scimmie si divertono come noi

Scherzi, dispetti e prese in giro sono parte del repertorio di ogni essere umano, e richiedono capacità cognitive complesse: bisogna essere dotati di intelligenza sociale e conoscere le norme che lo scherzo infrangerà, perché questi comportamenti sono basati sulla sorpresa e sul sovvertire le aspettative di chi abbiamo di fronte. Negli umani, i primi segni di capacità umoristiche precedono addirittura quelle verbali, e compaiono intorno agli otto mesi di età. E proprio questa considerazione sta alla base di uno studio sulle scimmie pubblicato sui Proceedings of the Royal Society B: se non serve saper parlare per scherzare e fare i dispetti, è possibile che anche certi primati siano dotati di senso dell’umorismo?

Dispetto o scherzetto? Cominciamo subito con il dire che la risposta è “sì”, e un po’ lo sapevamo già: molti esperti di primati, in passato, tra cui la primatologa Jane Goodall, hanno riportato testimonianze di scimmie “giocherellone”. Quello che mancava era un’analisi sistematica della questione, che è stata condotta da un gruppo di scienziati di diverse istituzioni guidati da una primatologa della UCLA, e che ha viste coinvolte le quattro cosiddette “grandi scimmie”: orango, gorilla, scimpanzé e bonobo, cioè i primati che sono i nostri parenti più stretti. Lo studio, condotto su animali che vivono in cattività (infinitamente più facili da osservare in certi contesti), ha analizzato le interazioni tra scimmie, e i ricercatori hanno sviluppato un codice interpretativo e identificato un totale di 18 diversi tipi di attività di questo genere: per esempio, offrire un oggetto a un’altra scimmia e poi ritirarlo all’ultimo, agitare la mano in faccia a un compagno per distrarlo e dargli fastidio, tirargli il pelo… tutti dispetti che vediamo anche nei bambini pre-verbali, e che sono spesso seguiti da atteggiamenti più giocosi.

Dispetti dalla notte dei tempi. Dispetti, scherzetti e altri comportamenti del genere sono stati osservati solo in situazioni di relax, quando le scimmie si sentono a proprio agio. Hanno anche una caratteristica fondamentale che li distingue dal gioco: servono per attirare l’attenzione della vittima, e sono unidirezionali, nel senso che se una scimmia subisce un dispetto non significa che lo restituirà, o che, come si dice, “starà al gioco” (forse perché i dispetti hanno bisogno dell’elemento sorpresa, che si perde se il gesto è in risposta a una provocazione). In generale, comunque, il modo in cui le grandi scimmie si fanno gli scherzi è molto simile ai dispetti dei bambini umani, prima che imparino a parlare.

Considerando che l’ultimo antenato comune tra noi e le altre grandi scimmie risale a 13 milioni di anni fa, è possibile che i primati siano equipaggiati allo scherzo da allora, e che dispetti e prese in giro siano dunque un comportamento antichissimo, non una nostra invenzione.

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