Otto cittadini su 10 promuovono l’acqua di rubinetto, ma la metà beve solo quella in bottiglia

L’acqua del rubinetto è considerata buona, comoda e amica dell’ambiente, ma quasi la metà dei cittadini beve solo quella in bottiglia. Nonostante che oltre 8 persone su 10 (83,4%) promuovano la qualità dell’acqua di rete, quella che tutti abbiamo a disposizione nelle nostre case, gli italiani restano i più grandi consumatori di acqua in bottiglia d’Europa, con tutto quello che ne consegue dal punto di vista della sostenibilità ambientale, come l’enorme produzione, il trasporto e lo smaltimento di bottiglie plastica. E anche la massiva diffusione delle borracce – oggi quasi il 90% ne possiede almeno una – non corrisponde a un utilizzo costante: solo 1 cittadino su 4 la porta con sé ogni giorno.

È quanto emerge da una ricerca condotta con metodo CAWI su un campione di 1.300 cittadini tra il 7 e l’11 Marzo 2024, realizzata da CSA Research per Gruppo CAP, il gestore del servizio idrico integrato

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MOSAICO CON LE BOTTIGLIE

Ciao a tutti, oggi voglio farvi vedere un lavoro a dir poco meraviglioso della professoressa Nunzia Polignano e della sua classe, un mosaico realizzato interamente con le bottiglie di plastica.Premetto che da tempo avrei voluto fare un lavoro simile anche se mi frenava l’enorme quantità di plastica che, anche in questo caso, certamente sarà finita ovunque ma dopo aver visto questo splendido lavoro credo proprio che ci proverò!Per realizzare questa splendida opera d’arte per prima cosa i ragazzi hanno disegnato su un cartellone un paesaggio marino, splendida idea per comprendere il tema del riciclo e della plastica che va a finire in mare.Successivamente hanno tagliato delle piccole tesserine dalle bottiglie di plastica e aiutandosi con pennelli e colla hanno iniziato il lavoro, certosino ma davvero magnifico!Davvero meraviglioso, vero? Complimenti a Nunzia e alla sua classe, che ne dite, replicate anche voi?Per altro a tema plastica qui:OROLOGIO DI PLASTICA RICICLATACOLOMBA CON CUCCHIAIO DI PLASTICAsimpatici PINGUINI con CUCCHIAI DI PLASTICABOTTIGLIE NATALIZIE (riciclo bottiglie di plastica)PRESEPE CON RICICLO TAPPI PLASTICA E ALLUMINIODale Chihuly progetti scolastici da vetro a plasticaMERAVIGLIOSI MANDALA… DI RICICLO PLASTICA!IL POLPO CHE SI MUOVE (RICICLO BOTTIGLIE DI PLASTICA)PARURE COLLANA E BRACCIALE stiloso e di ricicloLA NOTTE STELLATA, RICICLO TAPPIORECCHINI CHE PASSIONE, PLASTICA RICICLATA CARTA, CARTONE, STOFFACAPOLAVORI CON RICICLO TAPPI BOTTIGLIEE tanto, tanto altro!Potete trovare un altro lavoro di Nunzia qui:MOSAICO CON IL DAS E LE TEMPEREAlla prossima con nuovi ricicli creativissimi! 111. LA CAMERA DI VINCENT AD ARLES, MAXI PIXEL ART DA PARETE, 168 schede 110. MAXI PUZZLE, IL MAGO DI OZ, 16 PEZZI, da parete 105. WINNIE THE POOH, PIXEL ART MURALES, 40 SCHEDE COOPERATIVE PIÙ 32 di CORNICE 104. MAXI PUZZLE 16 PEZZI DA PARETE 103. IL BACIO DI KLIMT IN PIXEL ART, 20 SCHEDE, CONTORNO E FIORELLINI 101. IL PUZZLE ALBERO DELLE STAGIONI con elementi (foglie, fiori, fiocchi, mele, fiocchi di neve)

Ripulire l’isola di plastica: ne vale la pena?

Lo scorso settembre, l’ultima evoluzione del progetto The Ocean Cleanup – l’organizzazione no-profit ambientalista olandese da tempo impegnata nello sviluppo di tecnologie per combattere l’inquinamento da plastica – ha dimostrato, in un test nelle acque occupate dalla Grande isola di plastica del Pacifico, di essere in grado di raccogliere fino a 18 tonnellate di plastica in un singolo “rastrellamento” di questo fortice di spazzatura fluttuante.

Ora la macchina mangia-rifiuti, una rete chilometrica sospinta da parte a parte da due navi, è pronta per affrontare una rimozione sistematica della Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica grande 3 volte la Francia che le correnti hanno formato tra le Hawaii e la California. Il punto – affrontato in un approfondito articolo pubblicato sul New Scientist – è: ne vale davvero la pena?

No: rischiamo danni peggiori. Nonostante le migliori intenzioni della no-profit, eliminare quello che è ormai divenuto un triste simbolo dell’Antropocene potrebbe essere, ora che l’abbiamo creato alterando per sempre gli ecosistemi, un’impresa poco utile; non solo, persino dannosa. È la conclusione apparentemente controintuitiva cui sono giunti, dopo diversi anni di studi, scienziati dell’ambiente e biologi marini, e per almeno quattro diverse ragioni che qui proviamo a sintetizzare.

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1. Nulla possiamo contro le microplastiche. Il “Sistema 3” di The Ocean Cleanup consiste in una barriera fatta di rete, lunga 2,2 km e profonda 4 metri, trainata alle estremità da due navi che si muovono a bassa velocità: i rifiuti di plastica vengono incanalati verso un’area centrale detta “zona di ritenzione” dove la plastica è raccolta, per essere poi depositata su una nave e stipata in appositi container destinati ad impianti di riciclo.

Benché questa tecnologia sia in grado di ripulire l’area di un campo di calcio ogni cinque secondi, rimuovere i rifiuti più grossi e consistenti degli 1,8 migliaia di miliardi di pezzi che si stima formino la Grande isola di Plastica del Pacifico non risolverà il problema della microplastiche, ciascuna di meno di 5 millimetri di larghezza, che potrebbero costituire il 94% dei rifiuti di questa chiazza di spazzatura.

Ormai decine di studi scientifici dimostrano che sono proprio questi microframmenti di plastica a rappresentare il problema peggiore per gli animali marini. Secondo una ricerca del 2021 condotta dal GEOMAR Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania, la prolungata esposizione alle microplastiche danneggia in modo grave l’abilità dello zooplancton (cioè la componente animale del plancton) di sequestrare carbonio dall’atmosfera e produrre ossigeno, in ultima analisi erodendo la capacità degli organismi oceanici di sostenere la vita sulla Terra.

Al momento purtroppo non disponiamo di metodi per rimuovere su larga scala le microplastiche dagli oceani (né dagli altri ambienti in cui sono ormai diffuse).

2. Si guarda nel punto sbagliato. Focalizzare gli sforzi sulle isole di plastica oceaniche potrebbe poi rimuovere l’attenzione dalle aree in cui si concentra l’inquinamento da plastica, ossia le coste. Per quanto impressionante, la Grande isola di plastica è soltanto la punta dell’iceberg del problema della plastica nei mari.

Ogni anno 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, e solo l’1% di questa si accumula in queste regioni di materiali plastici galleggianti favorite dalle correnti (non esiste infatti una sola isola di plastica oceanica). Si pensa che gran parte dei rifiuti rimanga entro i 160 km dalla spiaggia, sospinta dai continui movimenti delle correnti finché non si disintegra in pezzi più piccoli. Una buona parte finisce persino intrappolata nei ghiacci Artici.

Oltretutto, come ha spiegato al New Scientist Nick Mallos dell’organizzazione Ocean Conservancy, «tutti i vortici di plastica si formano nella parte più centrale dei bacini oceanici. Arrivarci è molto costoso e dispendioso in termini di tempo e carburante», mentre sarebbe più efficiente concentrare gli sforzi di pulizia negli ambienti costieri.

Si stima che il Great Pacific Garbage Patch sia composto da 1,8 migliaia di miliardi di frammenti di plastica (circa 250 per ogni abitante del mondo) e che occupi un’area di circa 1,6 milioni di km2 – pari a circa tre volte la Francia.
© Shutterstock

3. È Una goccia nel mare. Secondo uno studio del novembre 2023 coordinato da Melanie Bergmann, biologa marina dell’Alfred Wegener Institute, in Germania, se anche i 200 dispositivi di The Ocean Cleanup funzionassero per 130 anni rimuoverebbero soltanto il 5% della plastica dispersa negli oceani. Il che dà l’idea non tanto dell’efficienza della tecnologia, quanto della portata del problema che dobbiamo affrontare e del fatto che è importante lavorare sulle cause, non sui sintomi. Senza contare che l’86% dei rifiuti di plastica analizzati nella Grande isola di plastica del Pacifico sembra provenire dal settore della pesca. L’operazione non interesserebbe quindi la fetta di plastica che ha origine da terra e che si accumula lungo le coste trascinata in mare dai fiumi. 

4. C’è vita tra i rifiuti. Infine c’è la questione di come la vita marina si sia adattata a questo mare di plastica che abbiamo gettato nei mari. Nel 2022, analizzando i pezzi di plastica più grossi recuperati nel Great Pacific Garbage Patch, la biologa Rebecca Helm, all’epoca all’Università del North Carolina, Asheville, ha scoperto che su di essi si è formato un nuovo ecosistema, costituito soprattutto da neuston, organismi come insetti marini, invertebrati, crostacei, molluschi, meduse che vivono sull’interfaccia aria-acqua.

In altri due successivi studi, gli scienziati dello Smithsonian Environmental Research Center del Maryland hanno osservato che il 90% dei reperti di plastica dell’isola del Pacifico analizzati ospitano ora piante marine o animali, e che tre quarti di queste specie sono costiere, e si sono ora adattate a vivere in mare aperto sfruttando la plastica. Questi nuovi ecosistemi sarebbero, con operazioni di pulizia per giunta poco efficaci nel debellare il problema tout-court, inevitabilmente cancellati. Come dice Helm: «Se i disturbi dell’ecosistema causati dalla plastica sono il vero problema, disturbare ulteriormente l’ecosistema per ripulire la plastica è effettivamente una soluzione?».

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L’isola di plastica ha bandiera e passaporto

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