Rene di maiale trapiantato in un paziente in vita

Il 16 marzo 2024, con un intervento durato 4 ore, Richard Slayman, 62enne statunitense con malattia renale all’ultimo stadio, è diventato il primo paziente in vita a ricevere un trapianto di rene di maiale. L’organo era stato geneticamente modificato per ridurre al minimo le probabilità di rigetto e la procedura, che per il momento sembra essere andata per il meglio, apre le porte a opportunità di cura importanti per i pazienti costretti alla dialisi o da tempo in lista per un trapianto, di rene o di altri organi.

Un successo storico. L’intervento, effettuato da un’equipe del Massachusetts General Hospital di Boston, non è il primo trapianto di rene di maiale in un uomo: è il primo in un uomo in vita, destinato a uscire dall’ospedale per condurre un’esistenza normale o quasi. Questo tipo di xenotrapianto, cioè di trapianto che utilizza un organo prelevato da una specie diversa, era già stato tentato cinque volte in passato su pazienti dichiarati in morte cerebrale e ancora connessi a sistemi di supporto vitale. Il più recente era avvenuto nel luglio 2023 al NYU Langone Health (ne avevamo scritto qui) e il rene aveva continuato a funzionare per oltre un mese.

Preparato apposta. In questo caso il rene di maiale, fornito dalla compagnia di biotecnologie eGenesis, presentava 69 modifiche genetiche per ridurre il rischio di rigetto (la reazione potenzialmente letale che si verifica quando il sistema immunitario riconosce l’organo trapiantato come estraneo e gli si scatena contro), per renderlo più compatibile con il corpo umano e per distruggere porzioni di genoma che codificano per i retrovirus e altri virus dei maiali, che possono infettare l’uomo e che in passato hanno causato il fallimento di alcuni xenotrapianti.

Nel 2022 David Bennett, un 57enne con malattia cardiaca terminale, era diventato la prima persona al mondo a ricevere un cuore di maiale geneticamente modificato, ma era morto un paio di mesi dopo in seguito a un’infezione dovuta a un cytomegalovirus suino.

per ora… Funziona! Poco dopo l’intervento, il rene di maiale ha iniziato a produrre urina e a filtrare creatinina, una sostanza di scarto che si trova nel sangue e che viene filtrata dai glomeruli (i piccoli vasi sanguigni che si trovano nei nefroni, unità funzionali del rene), usata per valutare la funzione renale. Il paziente si è ripreso talmente bene che ha potuto interrompere la dialisi (la rimozione artificiale di scorie e liquidi dal corpo necessaria quando i reni non funzionano).

Ora cammina in autonomia e potrebbe essere dimesso presto.

Senza alternative. Richard Slayman è affetto da diabete di tipo 2, malattia renale e ipertensione. Nel 2018 aveva ricevuto un trapianto di rene da un donatore umano, ma dopo cinque anni l’organo aveva smesso di funzionare e Slayman era stato costretto a riprendere la dialisi (che aveva già effettuato in passato). Era in lista per un secondo trapianto che però sarebbe arrivato tra 5 o 6 anni, mentre gravi complicanze vascolari della dialisi lo costringevano a un ricovero ogni due settimane. Non avrebbe resistito ancora a lungo.

Quando i medici gli hanno proposto di sottoporsi a uno xenotrapianto, Slayman ha posto molte domande e infine ha accettato: «L’ho visto non solo come un modo per aiutare me, ma anche per dare speranza alle migliaia di persone che attendono un trapianto per sopravvivere» ha dichiarato. La FDA ha acconsentito alla procedura sotto al protocollo di uso compassionevole, previsto per i pazienti affetti da malattie potenzialmente letali e che non hanno altre opzioni terapeutiche.

Il futuro è questo? Gli xenotrapianti sono proposti da decenni come possibile soluzione alla carenza di organi per trapianti. Soffermandoci soltanto sui reni, anche in Italia la domanda di organi è molto più alta rispetto all’offerta disponibile e i tempi medi per un trapianto sono superiori ai 3 anni. Allo stesso tempo gli xenotrapianti sono ancora una procedura molto rischiosa, che aggrava il nostro sfruttamento degli animali e che potrebbe favorire il passaggio di patogeni tra specie. Prima di una loro applicazione clinica su larga scala serviranno anni, e altri studi approfonditi.

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Morto il primo paziente con un rene di maiale

Non ce l’ha fatta Richard Slayman, il 62enne statunitense che a metà marzo 2024 aveva scritto la storia della chirurgia per essersi sottoposto – primo paziente in vita al mondo – a un trapianto di rene con un organo “donato” da un maiale. A poco meno di due mesi dall’intervento l’uomo è deceduto, come hanno confermato sabato 11 maggio la famiglia di Slayman e i chirurghi del Massachusetts general hospital, che avevano effettuato l’operazione.

Ignote le cause. Al momento non ci sono informazioni precise che facciano pensare che la morte sia stata indotta dall’organo, prelevato da un maiale che era stato geneticamente modificato con la tecnica di editing genetico CRISPR-Cas9 per sviluppare organi compatibili con il corpo umano e che comportassero un basso rischio di rigetto (la reazione potenzialmente letale che si verifica quando il sistema immunitario riconosce l’organo trapiantato come estraneo e gli si scatena contro).
Le modifiche genetiche operate avevano inoltre distrutto porzioni di genoma che codificano per virus tipici dei suini e che avrebbero potuto infettare il ricevente. Proprio un’infezione da cytomegalovirus suino aveva portato, nel 2022, alla morte David Bennett, 57enne con malattia cardiaca terminale divenuto la prima persona al mondo a ricevere un cuore di maiale geneticamente modificato.

Condizioni disperate. Prima dell’intervento su Slayman, reni di maiale erano stati trapiantati soltanto su pazienti in morte cerebrale e ancora connessi a sistemi di supporto vitale, nei quali avevano resistito più di un mese. Il rene trapiantato in Slayman avrebbe dovuto rimanere funzionante per oltre due anni.
Il paziente si era sottoposto allo xenotrapianto mentre già versava in condizioni critiche: nel 2018 aveva ricevuto un “normale” trapianto di rene da donatore umano, ma nel 2023 l’organo aveva smesso di funzionare e Slayman era costretto alla dialisi, con complicanze che lo obbligavano a un ricovero ospedaliero a settimane alterne.

Motivazioni nobili. Non avrebbe resistito a lungo e un nuovo organo sarebbe arrivato, nella sua situazione, non prima di cinque o sei anni. Per questo era stato proposto come candidato per uno xenotrapianto, autorizzato dalla FDA sotto al protocollo di uso compassionevole, previsto per i pazienti affetti da malattie potenzialmente letali e che non hanno altre opzioni terapeutiche.
Aveva accettato consapevole dei rischi e per fornire speranza a tutte le persone che attendono un trapianto d’organo per sopravvivere. La famiglia di Slayman ha ringraziato i medici del Massachusetts general hospital che avevano effettuato l’operazione, dicendo che grazie al trapianto Slayman ha potuto avere con i familiari altre sette settimane di vita.

C’è ancora strada da fare. Spesso proposti come possibile soluzione alla carenza di organi da trapianto, gli xenotrapianti sono ancora molto lontani da fornire quello che promettono, anche se gli ultimi tentativi hanno coinvolto animali geneticamente modificati affinché i loro organi “somigliassero” il più possibile a quelli umani.

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