Le CAR-T erodono un tumore cerebrale letale
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Cellule immunitarie ingegnerizzate di nuova generazione sembrano molto efficaci nel ridurre la massa di uno dei più temuti tumori cerebrali: il glioblastoma. Una forma avanzata di terapia a base di cellule CAR-T (linfociti T geneticamente modificati) è risultata, in due piccoli ma importanti studi preliminari, in grado di assottigliare in pochi giorni la massa dei tumori al cervello, benché in molti casi le lesioni si siano in seguito ripresentate.
Dunque non si può ancora parlare di una cura, ma senz’altro di un approccio molto promettente nel trattamento di questi tumori. Le ricerche di cui parliamo sono state pubblicate il 13 marzo su Nature Medicine e sul New England Journal of Medicine.
Quale tumore. Il glioblastoma è un tumore cerebrale aggressivo noto per essere resistente ai trattamenti. Emerge nelle cellule di supporto del sistema nervoso centrale, può crescere rapidamente e mescolarsi alle cellule sane, formando masse diffuse e difficili da rimuovere chirurgicamente. Nelle forme ricorrenti come quelle dei pazienti coinvolti in questi studi, la sopravvivenza può essere inferiore ai 10 mesi.
Globuli bianchi con i superpoteri. Le cellule CAR-T si ottengono in laboratorio a partire dai linfociti T, ovvero i globuli bianchi del paziente, che vengono prelevati e modificati geneticamente per prendere di mira particolari bersagli del tumore da trattare. Di norma, i linfociti T neutralizzano le minacce costituite da patogeni e cellule maligne; la modifica introdotta fa sì che esprimano sulla loro superficie un recettore CAR (recettore chimerico di antigene), capace di aumentare la risposta immunitaria. Le cellule immunitarie ingegnerizzate vengono poi fatte moltiplicare in vitro prima di essere reinfuse nel paziente.
Doppio bersaglio. Queste terapie iperpersonalizzate, rare e costose (perché basate sulle cellule immunitarie del singolo paziente), sono usate per trattare tumori del sangue (come leucemie, linfomi e mielomi) resistenti alle altre cure, e stanno dando risultati promettenti anche contro alcuni tumori solidi. Negli ultimi anni sono state sviluppare CAR-T contro specifiche molecole espresse sulla superficie di alcune forme di glioblastoma, ma per queste due ricerche sono state create CAR-T che prendono di mira non una singola molecola, bensì due.
Da più fronti. Il team di Bryan Choi, neurochirurgo del Massachusetts General Hospital di Boston, e primo autore dell’articolo sul NEJM, ha realizzato con i colleghi CAR-T capaci di agganciarsi a una forma mutata di una proteina chiamata recettore del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) prodotta da alcune cellule di glioblastoma; ma ha anche incoraggiato le sue CAR-T a produrre anticorpi che vanno a caccia di una forma non mutata di EGFR, di solito non prodotta dalle cellule cerebrali, ma caratterizzante molte cellule di glioblastoma.
Il team ha in pratica “armato” le CAR-T contro le forme mutata e non mutata di EGFR in modo da aggirare l’abilità del glioblastoma di nascondersi dalle difese immunitarie.
Risultati positivi (ma non definitivi). La terapia è stata somministrata a tre adulti con glioblastoma: nel giro di pochi giorni i loro tumori si sono ridotti in dimensione, anche se in seguito si sono ripresentati: in uno dei tre pazienti, tuttavia, il cancro è tornato ad espandersi più di sei mesi dopo dopo la terapia.
Allungare la tregua. Il secondo team di ricerca guidato da Stephen Bagley, neuro-oncologo della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia, ha creato CAR-T che mirassero sia alla EGFR sia a un’altra proteina che si trova sui glioblastomi, un recettore dell’interleuchina-13.
I tumori cerebrali si sono ridotti in tutti e sei i pazienti trattati. In una persona, il glioblastoma è tornato a crescere dopo un mese, un’altra non ha avuto progressioni per sette mesi; una terza ha lasciato il trial, e nei restanti tre pazienti i tumori non sono tornati a espandersi, anche se sono trascorsi meno di sei mesi dalla terapia. Dunque staremo a vedere, anche se l’obiettivo, per ora – vista la tendenza di questo tumore a tornare – è prolungare il più possibile il periodo di risposta alla cura.
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