BH3, il buco nero più massiccio della Via Lattea

A scanso di equivoci va subito detto un elemento importante: il più grande buco nero –  Sagittarius A* – della nostra galassia, la Via Lattea, si trova al suo centro e possiede una massa paragonabile a circa 4 milioni di volte quella del nostro Sole. Ma quel buco nero è frutto di una lunga evoluzione della nostra galassia, prodotta dallo scontro tra altre galassie durante i quali buchi neri di vario tipo si sono fusi in quello che oggi possiamo “osservare”.

Il buco nero stellare più grande della via Lattea. Recentemente, invece, un gruppo di astronomi ha identificato il buco nero stellare più massiccio mai scoperto nella Via Lattea nei dati della missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea: in altre parole si tratta del buco nero più grande diretta conseguenza della morte di una stella. Lo si è scoperto grazie ad uno strano movimento di una stella che ruota attorno ad esso. I dati del Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Australe (VLT) e di altri osservatori a Terra, sono stati poi utilizzati per verificare la massa del buco nero, stimandola 33 volte quella del Sole.

Gaia BH3: Massiccio e vicino alla Terra. I buchi neri stellari si formano dal collasso di stelle massicce, e quelli più massicci precedentemente identificati nella Via Lattea possiedono una massa all’incirca 10 volte superiore a quella del Sole. Anche il buco nero stellare che era il più massiccio conosciuto nella nostra galassia fino ad oggi, Cygnus X-1, non supera le 21 masse solari. Si capisce dunque che il buco nero in questione è davvero eccezionale. Sorprendentemente, questo buco nero è anche estremamente vicino a noi: a soli 2.000 anni luce di distanza, nella costellazione dell’Aquila, è il secondo buco nero più vicino alla Terra. Soprannominato Gaia BH3 (o BH3), è stato trovato mentre il gruppo di astronomi stava rivedendo le osservazioni realizzate dal telescopio Gaia in preparazione di un nuovo imminente rilascio di dati, da mettere a disposizione di tutti i ricercatori. 

Una stella povera di metalli. Per confermare la scoperta, vari astronomi hanno utilizzato anche dati provenienti da osservatori a Terra, incluso lo strumento UVES (Ultraviolet and Visual Echelle Spectrograph) sul VLT dell’ESO, situato nel deserto di Atacama in Cile. Queste osservazioni sono state importanti perché hanno rivelato proprietà fondamentali di una stella-compagna del buco nero, la quale, insieme ai dati di Gaia, hanno permesso agli astronomi di misurare con precisione la massa di BH3.

Ma come si formano buchi neri di tali dimensioni? Attualmente l’ipotesi più valida ritiene che potrebbero formarsi dal collasso di stelle con pochissimi elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio nella loro composizione chimica. Si ritiene che queste cosiddette stelle povere di “elementi pesanti” perdano poca massa nel corso della loro vita, e quindi abbiano più materiale rimasto per produrre buchi neri di massa elevata dopo la loro morte. Ma finora mancavano prove che collegassero direttamente le stelle povere di elementi pesanti ai buchi neri di massa elevata. Ora, poiché le stelle in coppia tendono ad avere composizioni simili, risulta evidente che la compagna di BH3 contenga importanti indizi sulla stella che è collassata per formare questo eccezionale buco nero.

I dati UVES hanno mostrato che la compagna era una stella molto povera di elementi pesanti, indicando che anche la stella che collassò per formare BH3 era povera di essi, proprio come previsto. Ulteriori osservazioni di questo sistema potrebbero rivelare di più sulla sua storia e sullo stesso buco nero. Lo strumento GRAVITY sull’interferometro VLT dell’ESO, ad esempio, potrebbe aiutare gli astronomi a scoprire se questo buco nero stia attirando materia dall’ambiente circostante verso sé, ad esempio dalla stella compagna. La ricerca dunque, su questo incredibile oggetto è solo agli inizi.

Continua la lettura su: https://www.focus.it/scienza/spazio/scoperto-buco-nero-piu-grande-mai-trovato-nella-via-lattea Autore del post: Focus Rivista Fonte: http://www.focus.it

Articoli Correlati

I campi magnetici di Sagittarius A*

Una nuova veduta di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio che si annida al centro della nostra galassia, ha permesso di scoprire che ai margini di questo mostro sono presenti campi magnetici intensi organizzati a spirale, di struttura analoga a quelli già osservati attorno al buco nero nella galassia M87. La nuova immagine che è stata ottenuta dalla collaborazione Event Horizon Telescope (EHT) è la prima in luce polarizzata, una tecnica che permette di ricavare informazioni aggiuntive sull’intensità e l’orientamento delle linee di campo. 

La scoperta, pubblicata su due diversi articoli scientifici sull’Astrophysical Journal Letters, suggerisce che questa somiglianza non riguardi solo gli unici due buchi neri di cui sia stato finora possibile fotografare l’orizzonte degli eventi, ma si estenda anche agli altri: la presenza di intensi campi magnetici potrebbe essere comune a tutti i buchi neri.

La nuova veduta del buco nero Sagittarius A* nella luce polarizzata ottenuta dall’EHT. Questa è la prima volta che gli astronomi sono riusciti a misurare la polarizzazione, una caratteristica dei campi magnetici, così vicino al bordo di Sagittarius A*. Le linee sovrapposte nell’immagine segnano l’orientamento della polarizzazione, che è legata al campo magnetico attorno all’ombra del buco nero.
© EHT Collaboration

EHT: che cos’è e cosa ha fatto finora. Le osservazioni che hanno reso possibile l’immagine che vedete qui sopra (e nel confronto in apertura di pagina) sono state compiute nel 2017 da una rete di otto radiotelescopi sparsi per tutta la Terra, che unendo le forze creano un telescopio virtuale di dimensioni planetarie, l’EHT. Negli ultimi anni questo progetto ha studiato l’ambiente circostante di due buchi neri supermassicci, Sagittarius A* (l’asterisco si pronuncia star), che si trova al centro della Via Lattea, e M87*, situato al centro della galassia ellittica supergigante Virgo A (o M87).

Il buco nero M87*, un mostro di 6,5 miliardi di masse solari in una galassia a 56 milioni di anni luce da noi, è il protagonista della prima, storica immagine dell’ombra di un buco nero supermassiccio, “la foto del secolo”, pubblicata il 10 aprile 2019. Nel 2022 l’EHT ha pubblicato la prima foto del “nostro” buco nero, Sagittarius A*, un “pozzo” di 4 milioni di volte la massa del Sole che ingloba materia a 27.000 anni luce dalla Terra, più di mille volte più piccolo e meno massiccio di M87*.

Materiale in uscita. Nel 2023, una nuova immagine aveva catturato per la prima volta un potentissimo getto di materiale espulso dalla regione attorno a M87 – un getto relativistico. Gli studi sulle emissioni di luce attorno a questo buco nero avevano rivelato che i campi magnetici che lo circondano gli permettono di lanciare potenti getti di materiale nell’ambiente circostante. Anche se la caratteristica più spesso associata ai buchi neri supermassicci è quella di inghiottire materia e radiazioni nelle immediate vicinanze, questi mostri celesti possono emettere getti di plasma potentissimi che si estendono ben oltre le galassie in cui si annidano.

Su questo lavoro si fondano le nuove analisi, che ipotizzano che lo stesso sia possibile anche per Sagittarius A*.

Spiccata somiglianza. «Quello che vediamo ora è che ci sono intensi e organizzati campi magnetici a spirale vicino al buco nero al centro della Via Lattea», dice Sara Issaoun, astronoma del NASA Einstein Fellow dell’Harvard & Smithsonian Center for Astrophysics e membro della collaborazione EHT. «Abbiamo appreso che Sagittarius A* ha una struttura di polarizzazione sorprendentemente simile a quella osservata nel più grande e potente buco nero M87*, e anche che campi magnetici intensi e ordinati sono essenziali per le interazioni tra i buchi neri e il gas e la materia attorno ad essi».

Vedere l’energia. Come spiega l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, «la luce diventa polarizzata quando passa attraverso determinati filtri: è ciò che accade, per esempio, quando attraversa le lenti degli occhiali da sole polarizzati, che perciò riducono i riflessi e l’abbagliamento e ci consentono di vedere meglio. Un fenomeno analogo accade quando la luce attraversa regioni molto calde dello spazio che sono pervase dai campi magnetici». Questo permette agli astronomi di osservare con un incredibile dettaglio quello che accade attorno ai buchi neri e di mappare le loro linee di campo magnetico.

«Mostrando la luce polarizzata dai gas roventi attorno ai buchi neri, stiamo deducendo direttamente la struttura e l’intensità dei campi magnetici che attraversano il flusso di gas e materia di cui il buco nero si nutre e che espelle» dice Angelo Ricarte, scienziato della Harvard Black Hole Initiative e co-coordinatore del progetto. «La luce polarizzata ci insegna molto di più sull’astrofisica, sulla proprietà dei gas e sui meccanismi che avvengono mentre il buco nero si nutre».

Un’ardua impresa. Riuscirci non era scontato, perché Sagittarius A* non rimane fermo e in posa per le foto: più piccolo di M87* inghiotte meno materia ma lo fa più rapidamente, e cambia di continuo. Per ottenere la nuova immagine sono stati necessari strumenti ancora più sofisticati di quelli messi in campo per M87*, con particolare riconoscimento al lavoro di due telescopi situati in Cile, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), di cui l’ESO è partner, e l’Atacama Pathfinder Experiment (APEX), gestito dall’ESO (European Southern Observatory).

Molte cose in comune. Le nuove osservazioni potrebbero consentire di arrivare a una regola più generale che riguarda i buchi neri.

«Con un campione di due buchi neri, con masse molto diverse e galassie ospiti molto diverse, è importante determinare su che cosa convergono e su cosa no» conclude Mariafelicia De Laurentis, professore di astronomia e astrofisica all’Università di Napoli Federico II, ricercatrice all’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e viceresponsabile scientifica dell’EHT.

«Dal momento che entrambi ci stanno indirizzando verso forti campi magnetici, questo suggerisce che ciò possa essere una caratteristica universale e forse fondamentale dei sistemi di questo tipo. Una delle somiglianze tra questi due buchi neri potrebbero essere i getti (relativistici), ma mentre ne abbiamo già fotografato uno molto lampante in M87*, dobbiamo ancora trovarlo in Sagittarius A*».

VAI ALLA GALLERY

Fotogallery
La storia delle immagini dei buchi neri

James Webb ha visto la galassia più antica

Quella che per gli astronomi e per il telescopio spaziale Hubble era poco più di un puntino di luce si è rivelata una delle galassie più antiche, se non la più antica mai scoperta e frutto della fusione di galassie ancora più vecchie. A raccontarci tutto ciò è il telescopio spaziale James Webb. La collaborazione internazionale di un progetto chiamato Glass del James Webb Space Telescope ha effettuato osservazioni dettagliate della galassia soprannominata Gz9p3, che si vede come era appena 510 milioni di anni dopo il Big Bang.

Miliardi di stelle. Una galassia dunque, dell’Universo ancora infante, visto che ora ha 13,8 miliardi di anni. Il gruppo di lavoro ha scoperto che, proprio come molte altre galassie primordiali osservate dal JWST, Gz9p3 è molto più massiccia e matura di quanto ci si aspetterebbe per una galassia dell’Universo da poco nato. In quella galassia infatti, sono già presenti miliardi di stelle, mentre invece ci si attenderebbe la presenza di solo qualche centinaia di milioni di astri.

Gz9p3, la galassia in fusione più brillante conosciuta nei primi 500 milioni di anni dell’Universo (osservata tramite JWST) A sinistra: la fotografia mostra un nucleo a “doppio nucleo” all’interno della regione centrale, indice della fusione di due galassie. A destra: i contorni del profilo di luce rivelano una struttura allungata e grumosa prodotta dalla fusione delle galassie. Dietro di essa la presenza di materiale fuoriuscito dallo scontro, che sembrerebbe ancora in atto.

Frutto di uno scontro primordiale. Gz9p3 accresce il mistero dell’Universo primordiale in quanto non solo è più massiccia del previsto, ma è circa 10 volte più massiccia di altre galassie osservate dal JWST in epoche simili della storia dell’Universo. Spiega Kit Boyett, membro del gruppo di ricerca e dell’Università di Melbourne, per la pubblicazione Pursuit dell’Istituto: «Solo un paio di anni fa, Gz9p3 appariva come un singolo punto di luce attraverso il telescopio spaziale Hubble, ma ora utilizzando il JWST abbiamo potuto osservare questo oggetto con un certo dettaglio com’era 510 milioni di anni dopo il Big Bang, circa 13 miliardi di anni fa. Gz9p3 è semplicemente straordinaria. Oltre alle dimensioni e alla maturità, anche la sua forma rivela indizi sulla sua creazione».
Gli astronomi hanno potuto determinare che Gz9p3 ha una forma complessa con due macchie luminose che rivelano due nuclei densi. Ciò indica che Gz9p3 è stato probabilmente creato quando due galassie primordiali si sono scontrate nell’Universo neonato. Questa collisione poteva essere ancora in corso nel periodo in cui gli astronomi hanno studiato Gz9p3 con il JWST.

Più stelle del previsto. «L’immagine JWST della galassia – spiega Boyett – mostra una morfologia tipicamente associata a due galassie interagenti. E la fusione non è terminata, perché vediamo ancora due componenti. Quando due oggetti massicci si uniscono in questo modo, di fatto nel processo eliminano parte della materia che apparteneva a ciascuna di esse.

E tutto ciò lo si può osservare nelle immagini del Webb».

Oltre a determinare l’età, la massa e la forma di questa antica galassia, Boyett e colleghi sono riusciti a sondare più in profondità Gz9p3, per esaminare la popolazione stellare di queste galassie in collisione. Poiché le stelle giovani sono più luminose delle loro controparti più vecchie, di solito dominano le immagini delle galassie. «Per esempio – dice Boyett – una popolazione giovane e brillante, nata dalla fusione delle galassie, che ha meno di qualche milione di anni, supera per luminosità una popolazione più anziana che ha già più di 100 milioni di anni».

I metalli delle stelle. Utilizzando la spettroscopia (il meccanismo in grado di determinare la composizione delle stelle) gli astronomi sono riusciti a separare le due categorie in questa galassia primordiale. Le stelle più vecchie sono più ricche di “metalli”, in quanto hanno già fuso tutto l’idrogeno in esse contenuto, il quale si è trasformato in elio che a sua volta, fondendo, ha dato origine ai metalli che si osservano. Ciò significa che le stelle più vecchie sono più ricche di metalli rispetto alle stelle più giovani, che sono ancora dominate dall’idrogeno e da una certa quantità di elio. Da questo studio gli astronomi hanno scoperto che la popolazione di vecchie stelle in Gz9p3 era molto più grande di quanto si sospettasse in precedenza.

Mentre gli astronomi erano consapevoli di questo ciclo di vita e morte stellare e del crescente arricchimento di metalli delle successive generazioni di stelle, le osservazioni di Gz9p3 indicano che le galassie potrebbero essere diventate “chimicamente mature” più velocemente di quanto si sospettasse in precedenza. In altre parole, le due galassie si sono arricchite di stelle molto velocemente e ciò, molto probabilmente, è legato proprio alla loro fusione. Quando le galassie si scontrano, infatti, possono accelerare la formazione delle stelle non solo in numero, ma anche nella velocità con la quale nascono, si accrescono e muoiono.

Anche la nostra Galassia. La maggior parte delle grandi galassie dell’Universo sono cresciute in questo modo; la nostra galassia, la Via Lattea, mostra essa stessa una storia di fusioni. Oggi la Via Lattea forma stelle a un ritmo stentato, ma questo cambierà quando entrerà in collisione con la nostra vicina galassia, Andromeda, tra circa 4,5 miliardi di anni.

 Ciò causerà un afflusso di gas che darà il via a un nuovo attacco di nasciate stellari.

VAI ALLA GALLERY

Fotogallery
Gli estremi dell’Universo

Vuoi rimanere aggiornato sulle nuove tecnologie per la Didattica e ricevere suggerimenti per attività da fare in classe?

Sei un docente?

soloscuola.it la prima piattaforma
No Profit gestita dai

Volontari Per la Didattica
per il mondo della Scuola. 

 

Tutti i servizi sono gratuiti. 

Associazione di Volontariato Koinokalo Aps

Ente del Terzo Settore iscritta dal 2014
Tutte le attività sono finanziate con il 5X1000