Il pedagogista Novara: “La scuola non è una gara. Togliamo i voti: creano ansia e non rispecchiano le potenzialità”

“In questa crisi che sta vivendo la scuola, nel rapporto tra studenti e professori, la questione principale è la percezione che l’alunno sia il suo voto. Io dico che bisogna uscire dall’idea che il voto sia necessario. Chiedo una scuola senza voti”.

Continua la lettura su: https://www.repubblica.it/cronaca/2024/04/30/news/il_pedagogista_novara_la_scuola_non_e_una_gara_togliamo_i_voti_creano_ansia_e_non_rispecchiano_le_potenzialita-422777589/ Autore del post: La Repubblica Fonte: https://www.repubblica.it

Articoli Correlati

It is formatted for the final examination.

Il format dello scrutinio finale

di Francesco Scoppetta

Il Festival di Sanremo ha avuto 73 edizioni e le ultime 3 le ha condotte Amadeus. Ma è evidente che il suo format cambia ogni anno. Il format televisivo è il modello di un programma televisivo, è un apparato di regole che determinano lo svolgersi del programma stesso. Lo stesso format genera innumerevoli varianti per cui è difficile dire che sia sempre lo stesso prodotto. E’ come una casa la cui facciata rimane la stessa ma all’interno viene ristrutturata secondo i desideri di chi la abita. Già a Sanremo se modifichi il peso delle componenti che votano (la bilancia si sposta dagli esperti al pubblico o viceversa) cambia il risultato, come succede con i vari sistemi elettorali della politica, dal proporzionale al maggioritario e tutte le combinazioni intermedie.

Senza inoltrarci nei rituali, laici o religiosi (funerale, messa, memorial) prendiamo il format “intervista televisiva”. E’ chiaro che il format condotto da Vespa è diverso da quello di Biagi, o di Fazio o di Floris o di Minoli o della Fagnani. Potremmo continuare ad esaminare tantissimi format, il “convegno culturale”, la “commemorazione”, “la presentazione di un evento culturale o sportivo”, la “conferenza stampa degli inquirenti dopo gli arresti”, il “messaggio augurale di fine anno” di un’autorità, la riunione di condominio, e arriveremo alla stessa conclusione: il format è quello ma è soggetto a tantissime variazioni che lo rendono speciale. Il contenitore è unico ma cambia il contenuto.

Se ogni format si basa su una formula (idea) o è una organizzazione di dati, soffermiamoci adesso su un altro format, ce ne sono in ogni angolo della vita associata, lo scrutinio finale in una scuola. Nonostante regole ormai codificate (quelle scolastiche risalgono al 1925) non si può certo dire che in tutte le scuole italiane gli scrutini vengano svolti allo stesso modo. O meglio, formalmente è così, ma sono le variazioni pratiche quelle che personalizzano ogni scrutinio all’interno della penisola e anche all’interno di ogni scuola. Fissiamo innanzitutto la norma (ripresa dall’OM 92/2007 e dal Dpr 122/2009).

art. 79 del R.D. 4/5/1925 n. 653

Il voto di profitto nei primi due trimestri si assegna separatamente per ogni prova nelle materie a più prove e per ogni singolo insegnamento nelle materie comprendenti più insegnamenti.Nello scrutinio dell’ultimo periodo delle lezioni il voto è unico per ciascuna delle materie di cui alla tabella A.

I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni.

Se non siavi dissenso, i voti in tal modo proposti s’intendono approvati; altrimenti le deliberazioni sono adottate a maggioranza, e, in caso di parità, prevale il voto del presidente.

Le norme giuridiche sono soggette ad interpretazione. Il modo in cui interpretiamo i testi si evolve nel tempo a causa del cambiamento dei costumi sociali e dell’etica. Una semplice interpretazione letterale dell’art. 79 (senza inoltrarci nelle decine di interpretazioni possibili, logica, teleologica, analogica, sistematica…) ci fa scoprire i buchi presenti.

Essi sono: 1) non è esplicitato il numero di insufficienze che giustificano la bocciatura; 2) non è esplicitato se la proposta di voto del docente possa essere modificata. Tali buchi (incertezze) vengono riempiti o dal preside (con una sua interpretazione formalizzata in un regolamento) o dalla prassi dei singoli consigli di classe o della scuola intera. Ma ancora più giù, essendoci la libertà di insegnamento, dal singolo docente che resta quindi la pedina incontrollabile e ingovernabile del meccanismo.

Per farmi capire, vorrei spiegare come in un secolo ogni scrutinio scolastico si sia modificato grazie ad alcune interpretazioni evolutive della scuola militante. Le tre più decisive sono state:

1) posto che nella scala decimale ci sono due cinquine e quella positiva comincia dal 6, l’utilità marginale del voto 5 (cd mediocre) è stata via via considerata più vicina alla sufficienza che all’insufficienza;

2) di conseguenza, per evitare che tutti i 5 diventassero in automatico 6, si è inventata l’attribuzione del cd “voto consiglio” (come se tutti i voti di uno scrutinio non fossero deliberati dal consiglio);

3) infine si è deciso che la bocciatura potesse esserci solo in presenza di più insufficienze e non di una sola.

Grazie a tali invenzioni (e ad altre) è stato reso possibile che ogni consiglio di classe diventasse una monade e si costruisse il suo format preferito. Credete forse che lo scrutinio della classe IA e della classe IB nel liceo di Pincopallo, pur presieduto dallo stesso preside, riproducano lo stesso format? Nella sostanza no. Come i festival di Amadeus, lui ne ha organizzati e presentati tre, ma ha usato 3 format diversi.

“Il collegio dei docenti definisce modalita’ e criteri per assicurare omogeneita’, equita’ e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della liberta’ di insegnamento” (Dpr n.122/209, art.1 c.5).

Ipotizziamo che in un liceo si sia stabilito che un alunno venga non promosso in presenza di tre insufficienze gravi e che soltanto due mediocrità (5) vengano, con voto consiglio, alzate a 6. Applicando tali regole in tutti i consigli svolti sotto la direzione del preside, credete forse che si sia ottenuta l’uniformità di trattamento degli allievi in tutte le sezioni? Certo che no e lo spiego con l’esempio dell’alunno Mario promosso con due soli debiti formativi (insufficienze da riparare a settembre). Vediamo come Mario sia arrivato alla promozione. Egli, senza che il preside lo sapesse, aveva in realtà il giorno prima dello scrutinio una situazione fallimentare: aveva ben sei 5 e due 4. Cioè ben 8 insufficienze su 11/12 materie. Cominciato lo scrutinio, le mediocrità sono scese a tre perchè autonomamente prima della riunione tre docenti le hanno alzate a 6 (si chiama arrotondamento); ne sono rimaste altre tre. Visti i numeri allora il preside applica i criteri comuni, con voto consiglio due mediocrità le alza a sei e infine promuove Mario con sospensione del giudizio per i debiti formativi nelle materie in cui aveva insufficienza grave (4). L’ultimo cinque rimasto sul tavolo si chiede al docente di alzarlo lui perchè la regola è bocciare con 3 insufficienze gravi e qui ne abbiamo solo due.

Moltiplicate questo caso vero per le migliaia di situazioni che si affrontano negli scrutini finali di tutte le scuole italiane e si può capire che il format “scrutinio finale” è come il festival di Sanremo, è cangiante e quanto di più imprevedibile ci possa essere. Se in pratica si può promuovere con 8 insufficienze, il format “scrutinio” si svolge ormai senza più alcuna certezza giuridica. Sono anche sempre più frequenti gli interventi della magistratura per vizi di forma della valutazione, pur insindacabile nel merito. Vediamo allora brevemente di rammentare cosa dice questa normativa che (formalmente) non è mai stata cambiata in poco

meno di un secolo perchè ritenuta dal Ministero una sorta di stella polare, un faro per condurre in porto senza far naufragio la barca degli scrutini.

Ogni insegnante si presenta allo scrutinio, presieduto dal dirigente scolastico (o, in sua assenza, da un docente della classe da lui designato) con la proposta di voto, già fatta pervenire al dirigente, in modo che egli possa avere il quadro completo della situazione di ciascun alunno. Se la proposta di voto per ogni singolo alunno non viene condivisa da uno o più componenti del consiglio di classe e non si raggiunge un accordo, si ricorre alla votazione, che è obbligatoria e non consente, quindi, astensione da parte di nessun componente. Nel caso di parità di voti prevale la proposta a cui il Presidente ha dato il voto, rimanendo fermo il numero dei voti dato a ogni proposta ( DLgs 297/94, art. 37, comma 3).

Come si vede, la normativa è abbastanza semplice e non parla di insufficienze con relativo numero nè di debiti formativi. Prefigura uno scenario in cui allo scrutinio di una classe il prof Rossi presenta la sua proposta di voto per l’alunno Tizio (per esempio 4) e i suoi colleghi possono approvarla o non approvarla. Se l’approvano tutti, lo scrutinio è finito perchè con un solo 4 Tizio è bocciato. Se non l’approvano, all’unanimità o a maggioranza, si apre una lacuna interpretativa perchè la normativa nulla dice su cosa fare dopo che il voto proposto è stato rigettato.

Col passare degli anni (le interpretazioni evolutive delle norme servono a questo) dell’art. 79 è stato rigettato dai docenti il mondo in bianco e nero che sembra prefigurare, la sua logica binaria, dove non esistono nè i mezzi voti (di cui parleremo tra poco) nè il voto mediocre (il 5 come voto vicino alla sufficienza). Se i colleghi dissentono dal voto 4 dato all’alunno dal prof Rossi, quel voto passa automaticamente a 6? E se i colleghi invece approvano quel voto 4, è possibile poi trovare il modo di non bocciare l’alunno? Su queste domande come dicevo le singole scuole hanno sviluppato le loro prassi a cominciare dal primo strappo alla procedura che hanno voluto operare per ridurre i tempi: non si discute, come la norma interpretata alla lettera vorrebbe che si facesse, ogni singola proposta di voto, ma si opera uno sguardo d’insieme: messe sul tavolo tutte le proposte di voto che concernono l’alunno Tizio, si tenta di fare sintesi o mediazione. Se tutti i voti sono positivi è promosso, se le insufficienze (che sono i voti dal 5 in giù) sono molte è non promosso. Tolte dal tavolo le situazioni di questi studenti con valutazione chiara o scura, si passa infine alla zona grigia con le proposte di voto degli alunni in bilico.

La normativa del 1925 su un punto, qualsiasi sia l’interpretazione a cui la si voglia sottoporre, è chiara: le proposte di voto o si accettano oppure vengono messe ai voti. Ogni proposta è definitiva, e solo il consiglio la può modificare, dunque non sono contemplati ed ammessi tutti quegli scrutini-mercato dove ogni insegnante, fatta una proposta iniziale, può cambiarla a proprio piacimento durante lo svolgimento dello scrutinio. Insomma, la normativa prefigura uno scenario che, come dicevo, è binario, se lo studente Tizio ha 4 insufficienze (voti dal 5 in giù in italiano, storia, matematica e scienze) si discutono le singole insufficienze e se non vengono approvate (non c’è alcun riferimento alle motivazioni: è quella domanda di Eduardo al figlio Nennillo, te piace ‘o presepe?) si deve votare.

Si comincia a discutere il voto in italiano, si decide, all’unanimità oppure a maggioranza di approvarlo, poi via via si passa alle altre tre materie e se una sola insufficienza (compreso il 5) viene confermata (fatta propria) dal consiglio, l’alunno è respinto. Questo è il format previsto dalla normativa per lo “scrutinio finale”.

Ogni docente di ciascuna scuola italiana può capire quanto (poco o molto) sia distante dalle prassi abituali adottate negli anni. Insomma, ogni scuola ha le sue abitudini storiche circa gli scrutini, le replica in automatico e il format viene fatto proprio dai consigli di classe di quella scuola. Questo è lo scenario migliore, perchè quello peggiore è consentire il format inventato da ciascun consiglio di classe (una volta si usava l’espressione “il consiglio di classe è sovrano“) con la conseguenza che in una scuola si riconoscono le sezioni facili e quelle difficili, qualora il dirigente non sia in grado (o non intenda) costruire un format di scuola.

Per concludere, il format “scrutinio finale” è molto semplice se si osserva la normativa vigente. Tutte le varianti che l’ingegno italico ha in quasi cento anni escogitato non hanno senso e ragione di esistere, così come i mezzi voti attribuiti nella pratica quotidiana agli allievi, dal momento che la scala da utilizzare è quella decimale con voti interi. I mezzi voti (il 4,5) sono un espediente per aumentare i voti a disposizione del docente per la misurazione (la valutazione è successiva), con il pretesto di una maggiore precisione, la quale spesso deriva dalla pratica irragionevole di fare la media tra due misurazioni: se in due elaborati l’allievo ha preso 6 e poi 5, la somma 11 fornisce la media 5,5. Un esempio dimostra (a chi vuol intendere) le conseguenze illogiche dell’uso dei mezzi voti. Si pensi a quattro prove nelle quali l’allievo prende prima 4, poi 5, poi 6 e infine 7. Il docente che usa la media lo porta allo scrutinio con 5,5 ( 22:4=5,5). Invece di vedere il trend

positivo di miglioramento dell’allievo, lo si inchioda, con una operazione matematica discutibile, alla insufficienza. Siamo dalle parti dei sofisti con le loro argomentazioni speciose, in apparenza valide ma in realtà ingannevoli. E inoltre così facendo si dimostra di non aver capito affatto la differenza tra misurazione e valutazione.

Quelle che ho chiamato varianti non sono altro che abitudini che ogni comunità (il collegio dei docenti) acquisisce, per cui un prof cambiando scuola deve cambiare abitudini. Capire perchè nella scuola X ci siano certe abitudini e non altre, per es. l’abitudine nello scrutinio finale di arrotondare a 6 tre mediocrità con “voto consiglio”, è difficile, almeno quanto capire perchè nel tennis si è stabilito di usare il punteggio “15” – “30” – “40”. Ad oggi, infatti sembra impossibile appurare la verità ma esistono solamente ricostruzioni, più o meno attendibili. Insomma, le abitudini, buone o cattive, non si sa bene come e quando siano nate ma una cosa resta sul tappeto senza che possa essere smentita:

Se lo scrutinio finale è assimilabile ad un format contenitore, il contenuto di tutte le variabili utilizzate in pratica ha complicato sino a contraddire le regole stabilite dall’art. 79 del R.D. 4/5/1925 n. 653.

L’ansia degli adolescenti: cosa fare?

C’è chi pian piano ha iniziato a isolarsi dagli amici perché non si sente a suo agio in mezzo agli altri, chi non tollera più l’idea di essere interrogato o non riesce a presentarsi a scuola quando c’è il compito in classe. C’è chi fatica a uscire all’aperto, tanto da non essere più uscito dalla sua cameretta, dopo le restrizioni imposte dalla pandemia e la scuola a distanza. L’ansia oggi è una compagna costante della vita di tanti adolescenti, uno dei tratti più diffusi di quella che gli esperti hanno ribattezzato la “generazione Covid”.

Ansia da prestazione. Eppure, tutto era iniziato già prima dell’arrivo del virus che ha cambiato il mondo. Secondo un rapporto dei Centers for Disease Control statunitensi, già nel 2019 il 14% dei ragazzini dai 12 ai 17 anni soffriva o aveva sofferto di un disturbo d’ansia; dati confermati anche da stime europee secondo cui da almeno un decennio la salute mentale dei giovanissimi si stava lenta mente deteriorando. I motivi del malessere erano già tanti, anche prima del virus: secondo un documento dell’American Academy of Pediatrics, nell’ultimo decennio vari fattori hanno contribuito all’aumento dell’ansia, fra cui le alte aspettative e la pressione per avere successo, assai maggiori rispetto al passato.
Un’indagine condotta ogni anno su un campione di matricole di college dall’Higher Education Research Institute dell’Università di Los Angeles, per esempio, ha rivelato che nel 2016 il 41% dei diciottenni ha ammesso di sentirsi sopraffatto dalle aspettative e dalla quantità di impegni; nel 1985 accadeva solo al 18%. A questo si aggiungono, secondo gli esperti statunitensi, la sensazione sempre più diffusa che il mondo sia un posto insicuro e minaccioso ma soprattutto l’uso dei social. I teenager sono esposti quotidianamente a smartphone e computer per una media di otto ore e mezzo, parecchie delle quali passate a sbirciare post e video di coetanei che ostentano vite sfavillanti, che li fanno sentire inadeguati e sbagliati. Così, già alle soglie del 2020, i ragazzi con l’ansia da prestazione, l’ansia da paura del mondo o quella di esporsi agli altri erano tantissimi.

Generazione Covid. Il Covid, poi, è stato un enorme detonatore di disagio: Nicole Racine, psicologa dell’Università di Calgary, in Canada, ha analizzato i dati di oltre 80.000 adolescenti durante la pandemia e osservato che oggi il 20% ha sintomi d’ansia, contro una percentuale che negli anni precedenti era in media di circa il 10%.

Una recente indagine di Laboratorio Adolescenza, su un campione di oltre 5.000 adolescenti italiani, conferma il quadro poco confortante. Stando ai risultati, la maggior parte dei ragazzi si sente spesso triste senza ragione, soffre di sbalzi d’umore e oltre il 40% ammette di sentirsi di frequente ansiosa o impaurita al punto da avere la sensazione di non riuscire a respirare (il femminile non è un caso: fra le ragazze i disagi psicologici sfiorano l’80%). Una vera e propria angoscia, insomma, ben diversa dall’ansia “buona” e fisiologica, quella che prende prima di un compito o un’interrogazione e agita, ma non impedisce di uscire di casa e misurarsi col mondo.
«L’ansia diventa un disturbo quando non consente di vivere normalmente, compromettendo le giornate», spiega Stefano Vicari, responsabile della Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. «L’ansia esiste in tante forme, ma tutte hanno un impatto negativo sulla qualità di vita: c’è chi ha una fobia specifica e quindi, per esempio, non riesce a guidare o stare negli spazi aperti o affollati; c’è l’ansia di separazione di chi, specialmente i più piccoli, non vuole lasciare la famiglia; c’è la fobia sociale dei ragazzi che non escono più di casa ed evitano tutti i contatti col mondo. La pandemia ha aggiunto poi la paura di ammalarsi o far ammalare i familiari e tolto mezzi di difesa come il rapporto con gli amici. Gli adolescenti che hanno superato meglio i vari lockdown, senza sviluppare disturbi d’ansia, sono quelli che hanno potuto avere una frequenza scolastica regolare e mantenere in qualche forma i rapporti coi coetanei. Anche avere fratelli o sorelle è risultato protettivo, così come vivere in una casa con spazi esterni e in una famiglia in cui si è privilegiata la lettura e il dialogo rispetto all’uso di strumenti elettronici».

Che cosa (non) devono fare i genitori. Questo anche perché telefonini e social non aiutano, anzi. Come sottolinea Giuseppe Ducci, della Società Italiana di Psichiatria: «L’iperconnessione digitale porta a una disconnessione dalle emozioni: interagire con gli altri senza vederli e ascoltarli in presenza, mettendo solo like, non aiuta i processi di costruzione della personalità necessari in adolescenza, che invece richiedono un confronto diretto con i coetanei. Questo, associato alla mancanza della scuola – che è il contesto principale in cui gli adolescenti imparano ad autoregolare le proprie emozioni –, ha provocato un’impennata di disagio di cui l’ansia è solo il fenomeno più appariscente e, spesso, un sintomo sentinella che nasconde altri problemi (vedi riquadro al termine del servizio)».

Sono insomma le relazioni con gli amici e con i familiari che salvano i ragazzi dall’ansia, ma occorre coltivarle fin dall’infanzia perché possano davvero prevenire il disagio.
«La funzione dei genitori è fondamentale», precisa Vicari. «Adolescenti non ansiosi si “costruiscono” fin da piccoli, per esempio incoraggiando all’autonomia, non acconsentendo a qualsiasi richiesta perché imparino a gestire la frustrazione, aiutandoli a regolare le emozioni positive e negative per non farsene sopraffare, imparando ad ascoltarli e rispettarli ma senza voler essere loro amici: proprio durante l’adolescenza dovranno differenziarsi dai genitori per trovare se stessi, e avere accanto mamme e papà che si comportano da ragazzini non aiuta a trovare la propria strada e può far emergere un disagio emotivo e affettivo».

Se l’ansia è sintomo di qualcos’altro. Quali sono i segnali da non sottovalutare, per capire se l’ansia sta superando i livelli di guardia? Le alterazioni del sonno e dell’alimentazione: se i ragazzi dormono poco, troppo oppure senza orari, se mangiano male o quando capita è bene drizzare le antenne. Anche la stanchezza o, al contrario, l’irrequietezza possono essere segni a cui fare attenzione, così come la mancanza di concentrazione o esprimere troppo spesso preoccupazioni eccessive. Che fare però se un adolescente sembra precipitare nel gorgo dell’ansia? Sicuramente, mantenere la calma: uno studio del Centre for Adolescent Health del Murdoch Children’s Research Institute di Parkville, in Australia, condotto su quasi 2mila ragazzi, ha dimostrato che, in metà dei cas,i i disturbi d’ansia non si ripresenteranno più dopo i 20 anni, soprattutto se i disagi sono durati meno di sei mesi.
«Spesso basta essere vigili, parlare con i figli, ascoltarli e osservarli, senza preoccuparsi di dare subito una risposta terapeutica: occorre tener presente, per esempio, che esistono temperamenti ansiosi, ovvero persone che per costituzione hanno una risposta d’ansia maggiore in situazioni che non impensieriscono altri», osserva Ducci. «Si può aspettare quindi, ma ovviamente se l’ansia compromette la vita quotidiana occorre chiedere una valutazione a uno psicologo, uno psichiatra o un neuropsichiatra: un passaggio necessario perché bisogna capire se l’ansia sia la punta di un iceberg, il sintomo di qualcos’altro. In questi casi dare gli ansiolitici per limitarla sarebbe un grosso errore, perciò serve il parere di un esperto».

Chiedere aiuto a uno specialista. Aggiunge Vicari: «Il primo consiglio è non vergognarsi di chiedere aiuto: un genitore non proverebbe imbarazzo ad avere un figlio con il diabete, né penserebbe di averne la colpa.

Nel caso del disagio mentale invece troppo spesso vince la paura di esporsi. Inoltre, mamme e papà tendono a ritenersi responsabili di quanto accade ai figli con un disturbo d’ansia. Invece non è così e per di più negli adolescenti la probabilità di guarire è alta, se si interviene nel modo e al momento giusti». Si tratta quasi sempre di terapie cognitivo-comportamentali sull’adolescente, che aiutino a riconoscere e disinnescare i pensieri e le situazioni ansiogene, associate a un supporto ai genitori, perché sappiano come comportarsi con i figli per aiutarli a stare meglio.
Non è il caso di pensare subito alle pillole insomma, tutt’altro: nel nostro Paese non c’è ancora la consuetudine di prescrivere con facilità psicofarmaci ai giovanissimi. Questo invece accade negli Stati Uniti, dove dal 2006 al 2015 le prescrizioni di questi medicinali sono cresciute dal 26 al 41% in bambini e ragazzi, esponendoli a vari effetti collaterali (anche perché moltissimi medicinali non sono neppure approvati per l’uso negli under 18). Dagli Stati Uniti importiamo spesso tendenze e comportamenti, c’è da sperare che non accada anche con l’ansiolitico facile agli adolescenti.

VAI ALLA GALLERY

Fotogallery
La rivoluzione nel corpo

Vuoi rimanere aggiornato sulle nuove tecnologie per la Didattica e ricevere suggerimenti per attività da fare in classe?

Sei un docente?

soloscuola.it la prima piattaforma
No Profit gestita dai

Volontari Per la Didattica
per il mondo della Scuola. 

 

Tutti i servizi sono gratuiti. 

Associazione di Volontariato Koinokalo Aps

Ente del Terzo Settore iscritta dal 2014
Tutte le attività sono finanziate con il 5X1000