Il disagio della scuola non sono solo i voti e i cellulari, ma la Legge del senso
Honi soit chi malamente pensa che il disagio dei giovani, qui intesi studenti delle medie superiori, non sia un dato reale e drammatico, per quanto non decifrabile per intero. Ma c’è qualcosa di vergognoso, o almeno di sciatto e facilotto, anche nella rappresentazione corrente che si dà spesso del problema, lisciando la psiche dei sedicenni che si sentono “schiacciati” dalla scuola e “inadeguati” a stare in classe, “una generazione che sta gridando il proprio malessere” (Massimo Ammaniti). Giornali e addetti variamente autorizzati sgranano il rosario grossolano della sociologia psicoterapeutica: è colpa dei voti, degli smartphone, è colpa del Covid (passato da due anni, e gli studenti che si beccarono il lockdown hanno già passato la maturità) è colpa dei prof inadeguati. Tutte parzialità vere o verosimili, che però annegano in un budino insipido e deresponsabilizzante – il mondo va male, ragazzi miei, vi rubano il futuro – in cui contano
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