Allerta brillamenti solari in corso

In queste ultime settimane il Sole sta aumentando la propria attività superficiale con esplosioni di forte intensità. Il tutto in linea con il fatto che si sta avvicinando al “massimo solare”. In poco più di 24 ore, tra il 6 e il 9 maggio 2024 ha rilasciato brillamenti solari di Classe X, con un valore rispettivamente X1.3, X1.2 e X4.5.

Cosa vuol dire? Per capire cosa significano questi valori va detto che le esplosioni solari, meglio definite come “brillamenti solari”, sono esplosioni sul Sole che avvengono quando l’energia immagazzinata in campi magnetici contorti (di solito sopra le “macchie solari”, ossia le aree più scure e fredde del Sole) viene improvvisamente rilasciata. I brillamenti producono un’esplosione di radiazioni attraverso lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X e ai raggi gamma. Gli astronomi classificano i brillamenti solari in base alla luminosità dei raggi X, nell’intervallo di lunghezze d’onda da 1 a 8 Angstrom.

Sole -Nasa

Brillamenti solari catturati dalla Nasa tra il 5 e il 6 maggio 2014.
© NASA/SDO

Categorie e conseguenze. Ci sono 3 categorie: le esplosioni di classe X: sono le più intense e sono eventi importanti che possono innescare blackout radio su tutto il Pianeta e tempeste radioattive di lunga durata. 

Le esplosioni di classe M invece, sono di medie dimensioni; possono causare brevi blackout radio che colpiscono le regioni polari della Terra. Rispetto agli eventi di classe X e M, i brillamenti di classe C sono piccoli e con poche conseguenze evidenti qui sulla Terra. Va poi ricordato che ciascuna categoria di brillamenti di raggi X ha nove suddivisioni che vanno da C1 a C9, da M1 a M9 e da X1 a X9 con valori in scala logaritmica, ciò significa, ad esempio, che M1 è 10 volte più forte di C1 e X1 è 10 volte più forte di M1 e così via.

A quando il “massimo solare”? Prevedere quando si avrà il massimo solare non è facile anche se stando allo Space Weather Prediction Center (SWPC) della NOAA, dovrebbe verificarsi tra maggio 2024 e l’inizio del 2026. Ma per comprendere il significato di “massimo solare” bisogna fare un passo indietro. Il Sole attraversa un ciclo di alta e bassa attività che dura circa 11 anni, guidato dal campo magnetico solare. Il “massimo solare” vede la massima frequenza e intensità delle “macchie solari”, come sta avvenendo in questo periodo e da altre attività sulla superficie.

Tempesta solare. Quando dalle macchie solari si ha un’esplosione un flusso di particelle viene emesso nello spazio.

Talora questo flusso può trovarsi sulla linea che unisce il Sole con la Terra e in quel caso si possono avere forti perturbazioni a tutti i sistemi terrestri legati in qualche modo a campi elettrici e campi magnetici, dai satelliti, ai sistemi di comunicazione radio fino alle centrali elettriche.

Effetto wow. Un altro effetto, più spettacolare, che segue un’esplosione solare è l’aurora boreale conseguenza dell’impatto delle particelle emesse dal Sole sul campo magnetico terrestre. Il ciclo che sta arrivando al suo massimo è il 25esimo, da quando si iniziarono a classificare questi cicli, nel 1755. L’ultimo massimo si ebbe nel 2013, undici anni fa.

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I campi magnetici di Sagittarius A*

Una nuova veduta di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio che si annida al centro della nostra galassia, ha permesso di scoprire che ai margini di questo mostro sono presenti campi magnetici intensi organizzati a spirale, di struttura analoga a quelli già osservati attorno al buco nero nella galassia M87. La nuova immagine che è stata ottenuta dalla collaborazione Event Horizon Telescope (EHT) è la prima in luce polarizzata, una tecnica che permette di ricavare informazioni aggiuntive sull’intensità e l’orientamento delle linee di campo. 

La scoperta, pubblicata su due diversi articoli scientifici sull’Astrophysical Journal Letters, suggerisce che questa somiglianza non riguardi solo gli unici due buchi neri di cui sia stato finora possibile fotografare l’orizzonte degli eventi, ma si estenda anche agli altri: la presenza di intensi campi magnetici potrebbe essere comune a tutti i buchi neri.

La nuova veduta del buco nero Sagittarius A* nella luce polarizzata ottenuta dall’EHT. Questa è la prima volta che gli astronomi sono riusciti a misurare la polarizzazione, una caratteristica dei campi magnetici, così vicino al bordo di Sagittarius A*. Le linee sovrapposte nell’immagine segnano l’orientamento della polarizzazione, che è legata al campo magnetico attorno all’ombra del buco nero.
© EHT Collaboration

EHT: che cos’è e cosa ha fatto finora. Le osservazioni che hanno reso possibile l’immagine che vedete qui sopra (e nel confronto in apertura di pagina) sono state compiute nel 2017 da una rete di otto radiotelescopi sparsi per tutta la Terra, che unendo le forze creano un telescopio virtuale di dimensioni planetarie, l’EHT. Negli ultimi anni questo progetto ha studiato l’ambiente circostante di due buchi neri supermassicci, Sagittarius A* (l’asterisco si pronuncia star), che si trova al centro della Via Lattea, e M87*, situato al centro della galassia ellittica supergigante Virgo A (o M87).

Il buco nero M87*, un mostro di 6,5 miliardi di masse solari in una galassia a 56 milioni di anni luce da noi, è il protagonista della prima, storica immagine dell’ombra di un buco nero supermassiccio, “la foto del secolo”, pubblicata il 10 aprile 2019. Nel 2022 l’EHT ha pubblicato la prima foto del “nostro” buco nero, Sagittarius A*, un “pozzo” di 4 milioni di volte la massa del Sole che ingloba materia a 27.000 anni luce dalla Terra, più di mille volte più piccolo e meno massiccio di M87*.

Materiale in uscita. Nel 2023, una nuova immagine aveva catturato per la prima volta un potentissimo getto di materiale espulso dalla regione attorno a M87 – un getto relativistico. Gli studi sulle emissioni di luce attorno a questo buco nero avevano rivelato che i campi magnetici che lo circondano gli permettono di lanciare potenti getti di materiale nell’ambiente circostante. Anche se la caratteristica più spesso associata ai buchi neri supermassicci è quella di inghiottire materia e radiazioni nelle immediate vicinanze, questi mostri celesti possono emettere getti di plasma potentissimi che si estendono ben oltre le galassie in cui si annidano.

Su questo lavoro si fondano le nuove analisi, che ipotizzano che lo stesso sia possibile anche per Sagittarius A*.

Spiccata somiglianza. «Quello che vediamo ora è che ci sono intensi e organizzati campi magnetici a spirale vicino al buco nero al centro della Via Lattea», dice Sara Issaoun, astronoma del NASA Einstein Fellow dell’Harvard & Smithsonian Center for Astrophysics e membro della collaborazione EHT. «Abbiamo appreso che Sagittarius A* ha una struttura di polarizzazione sorprendentemente simile a quella osservata nel più grande e potente buco nero M87*, e anche che campi magnetici intensi e ordinati sono essenziali per le interazioni tra i buchi neri e il gas e la materia attorno ad essi».

Vedere l’energia. Come spiega l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, «la luce diventa polarizzata quando passa attraverso determinati filtri: è ciò che accade, per esempio, quando attraversa le lenti degli occhiali da sole polarizzati, che perciò riducono i riflessi e l’abbagliamento e ci consentono di vedere meglio. Un fenomeno analogo accade quando la luce attraversa regioni molto calde dello spazio che sono pervase dai campi magnetici». Questo permette agli astronomi di osservare con un incredibile dettaglio quello che accade attorno ai buchi neri e di mappare le loro linee di campo magnetico.

«Mostrando la luce polarizzata dai gas roventi attorno ai buchi neri, stiamo deducendo direttamente la struttura e l’intensità dei campi magnetici che attraversano il flusso di gas e materia di cui il buco nero si nutre e che espelle» dice Angelo Ricarte, scienziato della Harvard Black Hole Initiative e co-coordinatore del progetto. «La luce polarizzata ci insegna molto di più sull’astrofisica, sulla proprietà dei gas e sui meccanismi che avvengono mentre il buco nero si nutre».

Un’ardua impresa. Riuscirci non era scontato, perché Sagittarius A* non rimane fermo e in posa per le foto: più piccolo di M87* inghiotte meno materia ma lo fa più rapidamente, e cambia di continuo. Per ottenere la nuova immagine sono stati necessari strumenti ancora più sofisticati di quelli messi in campo per M87*, con particolare riconoscimento al lavoro di due telescopi situati in Cile, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), di cui l’ESO è partner, e l’Atacama Pathfinder Experiment (APEX), gestito dall’ESO (European Southern Observatory).

Molte cose in comune. Le nuove osservazioni potrebbero consentire di arrivare a una regola più generale che riguarda i buchi neri.

«Con un campione di due buchi neri, con masse molto diverse e galassie ospiti molto diverse, è importante determinare su che cosa convergono e su cosa no» conclude Mariafelicia De Laurentis, professore di astronomia e astrofisica all’Università di Napoli Federico II, ricercatrice all’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e viceresponsabile scientifica dell’EHT.

«Dal momento che entrambi ci stanno indirizzando verso forti campi magnetici, questo suggerisce che ciò possa essere una caratteristica universale e forse fondamentale dei sistemi di questo tipo. Una delle somiglianze tra questi due buchi neri potrebbero essere i getti (relativistici), ma mentre ne abbiamo già fotografato uno molto lampante in M87*, dobbiamo ancora trovarlo in Sagittarius A*».

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La storia delle immagini dei buchi neri

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