Chiamami Giorgia, o Evita. Quanto pesa politicamente l’archetipo femminile
Lo aveva già detto. In seguito a quella contestatissima definizione di “il presidente del consiglio” che aveva indignato tutte le donne d’Italia, che certo non potevano rinnegare la rivoluzione semantica e linguistica appena conquistata. Lei aveva risposto: chiamatemi come volete, chiamatemi pure Giorgia. E ha di nuovo spiazzato tutti invitando a scrivere Giorgia nientemeno che sulla scheda delle elezioni europee di giugno. Ma non come hanno detto molti commentatori perché così, forzando al plebiscito, comincia a far passare nell’opinione pubblica il premierato – quindi per puro calcolo politico – ma perché con il suo nome ripropone la sua particolare, unica leadership. Giorgia, nome di donna. Che è tutt’uno con il suo popolo. Perché la strana coppia donna-popolo è la valenza simbolica di Giorgia Meloni. Lo è stata sin dall’inizio, quando ha pianificato la sua ascesa, con quel refrain inciso nella pietra: sono una donna sono una madre sono cristiana. Mentre noi femministe ci sfiancavamo a dosare e calibrare differenza e parità, chiedendoci per quale mistero divino per le donne di destra era più facile accedere al potere, e mentre quelle faticosamente arrivate nelle istituzioni dovevano ogni giorno affrontare le umilianti forche caudine delle cooptazioni e degli sgambetti maschili, Lei tornava semplicemente alle origini, all’archetipo femminile. Niente mimetizzazioni nel maschile, niente mortificanti quote rosa. Sono una donna, non vi basta?
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