È morta Alice Munro. La densità morale ed emotiva dei romanzi, nel cristallo dei racconti
Era l’ultima celebre portabandiera, aveva dedicato alla brevità tutta la sua carriera, per la quale aveva vinto il premio Nobel nel 2013, in quanto indiscussa “maestra del racconto contemporaneo”
Il racconto come genere letterario, fuori da qualche premietto o rivista, non esiste più. Da un bel po’ non sono più i tempi in cui uno scrittore – come facevano i Maupassant o i Jack London e pure i Carver – può sopravvivere di settimana in settimana, vendendo qualche pagina autoconclusiva ai giornali per pagarsi da bere e da dormire. Il racconto già da un bel po’ non stava tanto bene. Ora che Alice Munro è morta a 92 anni, anche il racconto muore del tutto. Lei ne era l’ultima celebre portabandiera, aveva dedicato alla brevità tutta la sua carriera, per la quale aveva vinto il premio Nobel nel 2013, in quanto indiscussa “maestra del racconto contemporaneo”, in grado di far stare “la complessità epica di un romanzo in appena qualche pagina”.
Canadese, Munro era nata nel segno del Cancro sulle rive del lago Huron da un padre che cercava di allevare volpi grigie e visoni, per poi passare ai tacchini. Munro raccontava di aver iniziato a scrivere verso i 13 anni e di non aver mai smesso, per poi iniziare a mandare negli anni ’50 i suoi racconti al New Yorker, allora ascensore automatico verso la fama. Il primo racconto uscito sulla rivista fu nel ’77. Due anni di università con borsa di studio – “unica vacanza dal lavoro domestico” – e poi il matrimonio prestissimo con un soldato appena tornato dal fronte. “Quando ero incinta scrivevo disperatamente in ogni istante perché pensavo che dopo non sarei mai più stata in grado. Ogni gravidanza mi ha spinto a fare qualcosa di grosso prima che nascesse il bimbo. Ma non sono riuscita comunque a fare niente di grande”. Ma i piccoli tasselli, le short stories di Munro, tutte insieme nelle raccolte bianche dei Supercoralli Einaudi, diventano una cosa molto molto grossa. Goccia dopo goccia, insomma. Il suo primo libro uscì quando aveva 36 anni.
Ambienti rurali dell’Ontario del sud, ma anche scene surreali all’apparenza ordinaria, gente nei paesini con problemi domestici, una scrittrice che si affitta un ufficio per poter scrivere in pace lontano dal caos casalingo ma finisce per distrarsi con il padrone dell’ufficio e non combina nulla, una donna che va a trovare il padre sul letto di morte e va al planetario per accettare il lutto, donne delle pulizie che sognano una vita diversa, una donna che torna a casa e trova il marito che si è suicidato, tutte scene raccontate con la grande precisione di chi non può sprecare nemmeno una riga di inchiostro. Tutte storie dove le donne hanno una voce preponderante e onesta rispetto alla media della letteratura novecentesca. Compattezza e POV femminile. I suoi racconti, diceva Joyce Carol Oates, “hanno la densità, morale, emotiva e a volte storica dei romanzi di altri scrittori”. Anche Edna O’Brien e Richard Ford erano suoi fan. “Non capisco il romanzo”, diceva negli anni ’80 Munro, “non capisco da dove dovrebbe venire l’esaltazione”, mentre la sento quando scrivo un racconto. In altre occasioni aveva detto che prima o poi un romanzo l’avrebbe scritto. Ma non l’ha mai fatto, restando fedele alla compatta forma di letteratura che l’ha resa celebre.
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