Scrittori, popolo e machiavellismi. La scomparsa del critico ideologo Alberto Asor Rosa
La sua principale vocazione consisteva nel ridurre all’osso i modelli di pensiero altrui, trasformandoli in un’arma passepartout rozza ma affilata. Peccato che la volontà di rimanere al centro della scena lo abbia portato a imbarcarsi in imprese inadeguate al suo profilo
Ha detto un grande critico che solo negli anni ’60 il ’900 si è rivelato pienamente a sé stesso, strappandosi di dosso gli ultimi civili indumenti ottocenteschi. Allora il secolo ha dichiarato a voce spiegata che l’intelligenza è una cosa sola con il male, cioè con un machiavellismo senza veli né limiti; e che tutto ciò che è sospetto d’innocenza, d’ingenuo pathos umanistico o di semplice lealtà morale esclude sia dalla vera vita sia dalla vera cultura. In un paese come il nostro, che in quel periodo passava bruscamente dalla civiltà contadina al boom e al ’68, questa rivelazione ha portato alla ribalta un tipo di intellettuale-politico la cui unica coerenza stava nella recita di una fredda spregiudicatezza, capace di garantirgli la vittoria su tutti i tavoli. Il suo atteggiamento era quello di chi disprezza la tradizione, ma è pronto a servirsene in qualunque modo per ragioni tattiche. E’ in un contesto del genere che si è imposto Alberto Asor Rosa, morto oggi a 89 anni.
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