I PFAS mettono il cancro in movimento?

Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), o acidi perfluoroacrilici, una famiglia di composti chimici industriali molto usati e ampiamente diffusi nell’ambiente, e considerati fattori di rischio per una serie di malattie, potrebbero accelerare la progressione del cancro. Lo suggerisce uno studio che ha provato ad esporre a concentrazioni consistenti di PFAS gruppi di cellule di cancro al colon in laboratorio.

inquinanti indelebili. I PFAS sono acidi molto forti caratterizzati da una particolare stabilità termica che li rende resistenti alla maggior parte dei processi di degradazione. Sono largamente impiegati nella cosmesi, nel rivestimento delle padelle, nel packaging in cartone per alimenti, nei prodotti tessili e nel mobilio, negli indumenti per sport outdoor, nelle vernici, nei pesticidi, nei prodotti farmaceutici e nelle schiume ignifughe. Quest’ultimo impiego fa sì che una particolare categoria di lavoratori, i pompieri, sia più esposta ai PFAS rispetto alla popolazione generale per la frequente esposizione ai ritardanti di fiamma.

Gli effetti sui tumori già in essere. Si ritiene che la prolungata esposizione ai PFAS, diffusi per la loro tenacia ormai praticamente ovunque nell’ambiente, sia collegata ad effetti negativi sul sistema endocrino e all’insorgenza di alcuni tipi di cancro (per approfondire). I pompieri sono più inclini rispetto alla popolazione generale a sviluppare alcuni tumori, tra cui quello del colon-retto. Nel nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology, un team di epidemiologi dell’Università di Yale ha esposto cellule di cancro al colon a livelli di PFAS comparabili a quelli presenti nel sangue dei vigili del fuoco.

Le cellule erano organizzate in “palline” tridimensionali chiamate sferoidi, costituite in un caso da cellule con una comune mutazione del gene KRAS, legata a una forma più aggressiva di cancro al colon. Le cellule sono state messe a contatto con le due classi più comuni di PFAS, il PFOA (acido perfluoroottanoico) e il PFOS (perfluorottanosulfonato): il primo, spesso utilizzato per i rivestimenti impermeabilizzanti, è stato classificato come cancerogeno dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) a novembre 2023. Il secondo, usato nelle schiume antincendio, è ritenuto possibilmente cancerogeno.

Più mobili. Le sostanze hanno indotto le cellule cancerose a migrare in nuove posizioni, una caratteristica tipica – benché non l’unica – delle cellule responsabili di metastasi. Indagando più a fondo, gli scienziati hanno osservato che i PFAS hanno alterato sostanze cruciali per il metabolismo cellulare, e ridotto le sostanze antinfiammatorie che di solito hanno proprietà protettive contro il cancro.

Queste trasformazioni sono risultate più profonde nelle cellule affette dalla mutazione che rende il cancro più aggressivo.

Anche se non sempre gli studi in colture cellulari sono confermati dai successivi test clinici, la ricerca suggerisce un nuovo e poco conosciuto effetto deleterio dei PFAS, e invita a correre ai ripari pensando prima di tutto alle categorie professionali più a rischio.

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PFAS nell’acqua: l’inquinamento è ormai pervasivo

Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), o acidi perfluoroacrilici, composti chimici industriali resistenti ai maggiori processi naturali di degradazione e ormai onnipresenti nell’ambiente, stanno inquinando in modo pervasivo le nostre fonti di acqua, inclusa quella potabile: la loro presenza nell’acqua del rubinetto era già stata dimostrata, ma un nuovo studio ne ha trovate tracce importanti anche in campioni idrici di falda o di superficie prelevati lontano dai siti notoriamente contaminati. La ricerca è stata pubblicata su Nature Geoscience.

Qui per restare. I PFAS sono acidi molto forti e stabili, dalle proprietà idrorepellenti e oliorepellenti, prodotti dall’uomo e non presenti naturalmente nell’ambiente. Sono ampiamente utilizzati nei prodotti industriali per aumentare la resistenza alle alte temperature, all’acqua e al grasso, e si trovano nei rivestimenti delle padelle antiaderenti, nel packaging di carta ad uso alimentare, in tappeti e prodotti di abbigliamento, nelle schiume antincendio, in vernici e pesticidi, cosmetici e prodotti farmaceutici.

Per le loro caratteristiche chimiche permangono senza degradarsi nel suolo e nell’acqua, e anche se i loro effetti sulla salute sono ancora oggetto di indagine, sono considerati fattori di rischio per diverse malattie, da alcuni tipi di tumori alle malattie della tiroide e del sistema endocrino, dall’ipertensione in gravidanza alle patologie dell’intestino.

Anche dove non ti aspetti. La nuova analisi ha preso in considerazione circa 45.000 campioni di acqua raccolti e analizzati in quasi 300 studi precedenti sui PFAS condotti in varie parti del mondo (principalmente tra USA, Canada, Europa, Australia e la costa pacifica dell’Asia). Il 31% dei campioni di acqua di falda prelevati in siti che non si trovavano vicino a fonti note di contaminazione da PFAS è risultato comunque avere livelli di queste sostanze considerati “fuori soglia”, rispetto ai valori sicuri stabiliti dall’EPA, l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti. Lo stesso discorso è valso per il 16% dei campioni di acqua di superficie (fiumi, torrenti, laghi, stagni) testati.

Un campanello d’allarme. Anche se i campioni provengono da Paesi in cui l’attenzione ai PFAS è molto alta, e potrebbero perciò dipingere un panorama eccessivamente pessimistico sulla loro distribuzione, i risultati sono comunque indicativi della diffusione capillare dell’inquinamento da sostanze chimiche industriali. Se si trovano PFAS anche in luoghi considerati insospettabili – ipotizzano i ricercatori – c’è ragione di credere che gli acidi perfluoroacrilici siano presenti in qualche livello praticamente ovunque sul Pianeta.

Concentrarsi sull’acqua non è la soluzione. Alcuni Paesi in cui l’inquinamento da PFAS è particolarmente marcato, come Australia e Stati Uniti, si stanno muovendo nella direzione di regole molto stringenti che portino i livelli di queste sostanze nell’acqua potabile vicino allo zero.

Ma il messaggio dello studio non vuole essere, nello specifico, che l’acqua che beviamo non è salubre: piuttosto fa pensare a quante sostanze durevoli immettiamo negli ecosistemi, senza conoscerne il reale effetto sulla nostra salute. 

Agire alla radice. Senza contare che togliere i PFAS dall’acqua da bere non risolverebbe il problema della contaminazione globale: «Una volta rilasciati nell’ambiente, è incredibilmente difficile sbarazzarsene, se non impossibile» ha spiegato al New York Times David Andrews, scienziato dell’Environmental Working Group, organizzazione no-profit che si occupa di salute dell’uomo e del Pianeta. I PFAS «possono essere rimossi dall’acqua potabile, ma la soluzione definitiva è non usarli all’origine, specialmente quando sono presenti chiare alternative».

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