Longevità da record per la scimmia clonata

Si chiama ReTro, dal nome di una delle tecniche utilizzate per la sua creazione (trophoblast replacement), ed è un maschio di macaca mulatta, una specie di primate asiatico appartenente alla famiglia dei Cercopitecidi. A gennaio 2024, questo simpatico animale ha compiuto tre anni e mezzo. Niente di eccezionale, se non fosse che si tratta del primo esemplare clonato di scimmia a vivere così a lungo. 

Come la pecora Dolly. ReTro è nato il 16 luglio 2020, ma gli studiosi della Chinese Academy of Sciences di Pechino hanno annunciato la sua esistenza solo ora, dichiarando inoltre che la bestiola gode di ottima salute. Per la clonazione, il team di scienziati cinesi  ha utilizzato una tecnica denominata “trasferimento nucleare di cellule somatiche” (SCNT), nel quale il nucleo di una di queste viene trapiantato in una cellula uovo priva di nucleo, in modo che si sviluppi in seguito diventando un organismo geneticamente identico al donatore. Si tratta dello stesso metodo  – ma perfezionato – usato nel 1996 per creare la pecora Dolly, il primo animale clonato della storia.

Metodo perfezionato. Malgrado abbia avuto successo con un gran numero di animali (tra cui maiali, cani, topi, bovini e conigli), fino a oggi l’SCNT era stato deludente quando si tentava nei primati, dato che gli esemplari così creati morivano poco dopo la nascita. Il motivo, stando agli esperti, derivava dalle anomalie presenti nella placenta clonata sviluppata dalle madri surrogate. Nel dettaglio, a rivelarsi inefficienti erano le cellule somatiche presenti nello strato esterno del trofoblasto, il tessuto cellulare da cui deriva la placenta fornendo le sostanze nutritive all’embrione in via di sviluppo. 

Embrione “ibrido”. Per risolvere queste problematiche, è stata dunque sviluppata una nuova tecnica che migliora lo sviluppo della placenta negli embrioni sostituendo il trofoblasto. Come? Iniettando la massa cellulare interna di un embrione clonato in un secondo embrione non clonato formato attraverso un processo in vitro. L’embrione ibrido che ne deriva ha dunque un trofoblasto che appartiene a un non clone e in tal modo ne viene “salvato” lo sviluppo, eliminando in anticipo le anormalità. In altri termini, il feto clonato si sviluppa all’interno di una placenta non clonata, geneticamente diversa da esso.

Dubbi etici. Stando a Falong Lu, co-autore della ricerca, il procedimento seguito dal suo team, riassunto in uno studio pubblicato su Nature Communications, potrebbe avere risvolti pratici positivi, aiutando per esempio la ricerca con la creazione di cloni utilizzabili nella sperimentazione biomedica.

Nondimeno, solleva scenari inquietanti: anche se gli scienziati non hanno ancora clonato nessuna grande scimmia “parente” dell’uomo, come uno scimpanzé o un gorilla, secondo alcuni, i passi da gigante nella clonazione dei primati potrebbero presto portare alla clonazione umana. Una prospettiva che comporterebbe il sorgere di una serie di spinosissime questioni etiche.

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